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Andrea Muccioli:
“Anche mio padre sbagliò,
ma a San Patrignano era una guerra”

  • di Marco Ciotola Marco Ciotola

7 gennaio 2021

Andrea Muccioli: “Anche mio padre sbagliò, ma a San Patrignano era una guerra”
Il figlio di Vincenzo Muccioli è tra le voci ricorrenti della fiction SanPa: luci ed ombre di San Patrignano, di cui però non si dice per nulla entusiasta: “Pura e semplice fiction. Cerca l’effetto pulp creando più ombre possibili intorno al protagonista”, racconta al Corriere della Sera

di Marco Ciotola Marco Ciotola

Sembra davvero non esistere nessuna via di mezzo per quanto riguarda le opinioni sulla serie Netflix del momento, SanPa: al gruppo di adoratori si contrappone quello dei detrattori. Tra i due poco o nulla, o almeno poco o nulla di mediaticamente rilevante finora. Decisamente dalla parte di chi non ha amato la serie c’è Andrea Muccioli, figlio di Vincenzo e suo successore a San Patrignano per 18 anni, fino al 2011.

Andrea nella serie è una delle voci ricorrenti, rientrando in ogni stagione narrativa scritta da Gianluca Neri e diretta da Cosima Spender: nascita, crescita, fama, declino e caduta. Ma nel prodotto finale non riconosce affatto la vera storia di San Patrignano, tanto che – intervistato oggi dal Corriere della Sera – definisce SanPa “non un documentario ma pura e semplice fiction”, vista la continua “ricerca dell’effetto pulp che crei più ombre possibili intorno alla figura del protagonista”, finendo per “falsificarne la storia, il pensiero e il modello”.

Insomma, quelle ombre citate nel titolo stesso sono per Andrea Muccioli l’unico vero focus della serie, che – sostiene – si basa in toto sulle testimonianze del 2,5% di ospiti di San Patrignano raccolte dalla Procura di Rimini:

“La storia di San Patrignano non può essere guardata solo da questa prospettiva […] In questi giorni sono subissato di telefonate di ex ospiti e dei loro genitori che mi dicono che quella non è la realtà che hanno vissuto”

Impossibile – insiste Andrea – ridurre l’intera visione storica e narrativa della comunità alla violenza, anche per un semplice discorso di incompatibilità di un metodo simile con una larga fetta delle persone che frequentavano quegli ambienti:

“Parliamo di un percorso drammatico di accoglienza di giovani, i tossicodipendenti degli anni ’80, che distruggevano le loro famiglie ed erano abbandonati dallo Stato. Venivano da contesti violenti e sarebbe stato inimmaginabile gestirli con la violenza. Perché la violenza la conoscevano e la esercitavano meglio di te. Come si fa a pensare di poter tenere insieme non dico mille persone, ma anche solo dieci con la forza? Scherziamo? Ecco, a proposito di fatti: la riprova di quello che dico sono le centinaia di bambini che i tribunali di tutta Italia ci diedero in affidamento”.

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Certo – prosegue – di errori ce ne sono stati, anche “gravissimi”, in primis derivanti dall’ingenua volontà del padre di “salvare tutti”, trovandosi quindi nel tempo costretto a dare ai ragazzi “responsabilità più grandi di quelle che erano in grado di gestire”. Responsabilità che – stando ai fatti – culminarono del terribile omicidio di Roberto Maranzano, ucciso a calci e pugni a San Patrignano ma trovato cadavere in una discarica a Terzigno, nel napoletano. Il processo accertò quanto solo dopo mesi confessato da Muccioli, ovvero il fatto che fosse a conoscenza del delitto e abbia cercato di oscurarlo. Una vicenda che lo stesso Andrea non esita a definire per lui scioccante, paragonabile a una bomba scoppiatagli in faccia:

“Alla notizia che Roberto Maranzano era morto in comunità Vincenzo reagì dicendo che una cosa del genere non era possibile, e io gli credetti. Quando venne fuori che sei mesi dopo il delitto, nell’89, lui era stato informato, fu come se mi fosse scoppiata una bomba in faccia.”

Da evidenziare anche le sue dichiarazioni relative a Walter Delogu, a lungo braccio destro di Muccioli, ma che poi ne registrò di nascosto le parole mentre ipotizzava di far fuori un testimone dell’omicidio Maranzano, simulando un’overdose. Il tutto – sostiene Andrea sminuendo quelle parole intercettate a “chiacchiere da bar” – ha origine dalla sua pretesa di soldi da Vincenzo:

“L’errore più grande fu dargli una pistola, la stessa che aveva addosso quando venne a chiedere soldi a mia madre…è stato condannato per estorsione”.

Per concludere con una ammissione fondamentale: “Ho visto un ragazzo puntare un coltellaccio in pancia a mio babbo, avevo 16 anni. E sì, in quel periodo lui di schiaffoni ne ha dati non pochi. Sapevo anche dei ragazzi incatenati perché non fuggissero. Certo che la violenza c’era a San Patrignano, stiamo parlando di una guerra. Una guerra che però è stata vinta con la forza dell’amore”.

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