“Se tu ascolti la sua voce e fai quanto ti dirò, io sarò il nemico dei tuoi nemici e l'avversario dei tuoi avversari”. Sta scritto nella Bibbia, nel libro dell’Esodo. A dirlo nientemeno che Dio, appunto il nemico dei tuoi nemici. C’è da credergli, non fosse altro perché l’Esodo è nel Vecchio Testamento, e anche gli atei sanno quanto sia rancoroso e iracondo il Dio di quel periodo lì, prima cioè che decidesse di mandare qui da noi Gesù, amorevole e pronto alla morte per salvare gli uomini. Un concetto piuttosto radicato nel comune sentire, questa cosa che il nemico dei nostri nemici è un nostro alleato, o volendo anche un nostro amico. Certo, non da intendersi come un amico col quale vai a farti una pizza il venerdì sera, o in vacanza in agosto. Più che altro qualcuno che sai non ti tradirà, proprio perché in fondo il motivo per cui ti è amico è l’avere un nemico comune. Una specificità che taglia di mezzo fronzoli e perdite di tempo. Poi c’è da capire la differenza tra le parole avversario e nemico, perché, per dire, nel mondo sportivo la parola avversario è plausibile, a volte capita, parlo di calcio che è lo sport che meglio conosca, che una squadra che ha un determinato traguardo conti sul risultato di una squadra che non gli è comunque ostile, vuoi per il gemellaggio tra le tifoserie, e nel mondo delle tifoserie invece i nemici ci sono, così da poterlo raggiungere anche in propria assenza. Per arrivare in zona salvezza mi serve di vincere ma al tempo stesso che la squadra che si gioca la salvezza con me perda, e la squadra che si gioca la salvezza con me gioca contro una squadra amica, ecco che quello che potrebbe essere il più classico biscotto (vedi alla voce partita concordata), o una partita svogliata si trasforma nella partita della vita. Idem per conquistare un posto in una coppa, per essere promossi di serie. Ci ci aiuta, pur essendo squadre in teoria avversarie. Per sempre grati. Scrivo di musica, e nello scrivere di musica utilizzo due modalità che in genere mandano abbastanza fuori di testa i fan dei cantanti: non uso mezze misure e faccio ampio sfoggio di ironia, a tratti scivolando nel sarcasmo. Chi quindi prende maledettamente sul serio l’essere fan di qualcuno finisce per praticare l’odio, e nel praticare l’odio, si chiamano hater mica per caso, trasla la proprio modalità verso di me, arrivando a sostenere che io odi coloro di cui scrivo in maniera critica, in una parola stronchi. Pensare che si possa odiare qualcuno per le canzoni che fa, per quanto brutte e quindi anche responsabili di una deriva analfabetizzante, parlo di alfabetismo culturale, mi sembra un filo eccessivo. Posso disistimare, certo, ma odiare, francamente, no. Lavorando in questo settore, ahimè, dagli anni Novanta conosco molte delle persone di cui scrivo, quasi tutte, e alcune le conosco anche abbastanza bene, quindi semmai posso provare antipatia o simpatia, ma odio, suvvia, non scherziamo. L’odio è un sentimento potente, come l’amore. Non si regala per sciocchezze.
A dirla tutta non credo di odiare proprio nessuno, parlo di persone che io conosca direttamente. Posso odiare certe figure storiche, anche contemporanee, per i danni che hanno fatto e stanno facendo, ma odiare chi conosco di persona, anche solo di vista, no, lo escludo. Quindi nel leggere quel che state leggendo prendete le parole con una levità che, in assenza del tono della voce e dell’interpretazione magari potrebbe sfuggire, questa frase ha il medesimo scopo delle indicazioni che i compositori classici mettono all’inizio dei righi degli spartiti, siate leggeri. Non pratico l’odio, ma nel settore musicale ho dei nemici. Ho parecchi nemici, a dirla tutta. Non escludo, anzi in molti casi sarei pronto a mettere anche entrambe le mani sul fuoco, che chi io consideri nemico e mi consideri a sua volta un nemico pratichi l’odio nei miei confronti, vestire i panni dell’eccentrico provocatore porta indubbiamente a questi risultati. Mi capita, a volte, quando qualcuno di questi ipotetici nemici mi affronta, questo onestamente succede assai di rado, in genere metterci la faccia, specie di persona, è sport considerato troppo vintage, roba che sarebbe potuta finire in una puntata di Anima mia di Fazio, di sentirmi dire qualche frase che suoni come una sorta di sfida a duello, di quelle che un tempo si ottenevano schiaffeggiando coi guanti, senza infliggere troppa veemenza, l’avversario, e in quei casi rispondo sempre, con garbo ma sfoggiando anche un certo sorriso: “Mettiti in fila”. Sono sempre sopravvissuto ai duelli, sarà che in genere i duelli si tengono all’alba, e io soffro di insonnia, quindi arrivo sul luogo sempre già sveglio da tempo, o sarà che in fondo a duellare con le parole, si chiama mestiere e esperienza, me la cavo bene. Di fatto sono una brutta persona, e se qualcuno reagisce alle provocazioni invece che indietreggiare o farmi da parte tendo a affondare ulteriormente la lama, si parla di parole, attenzione, con maggiore divertimento. Chi pensa che ciò avvenga più che altro per una questione di volersi mettere in mostra, per dirla con le brutte parole dei social, per attirare attenzione, ignora il piacere che si può provare nel dire al re che è nudo quando il re si è appena incazzato perché gli hai detto che è nudo. Sarei disonesto con voi, e perché mai dovrei esserlo?, se non ammettessi che a volte, non sempre ma a volte, affondo la lama anche solo per divertirmi e divertirvi. Perché magari non sarebbe necessario farlo, vuoi perché colui o colei o colu su cui affondo la lama ha fatto di peggio, vuoi per l’irrilevanza del motivo per cui decido di affondare la lama. Ma in fondo faccio parte di questo circo, so bene di essere parte del sistema, seppur sotto forma di outsider e quindi sempre con la possibilità di dire la verità, fatto che sembra interessare assai poco ai miei colleghi, quindi intrattengo, faccio il giullare, e il giullare deve far ridere, anche mentre dice che il re è nudo, appunto. Per queste ragioni ho dei nemici giurati, tanto nemici che la percezione comune, parlo di chi mi legge ma più in generale di chi abita il sistema di cui sopra, è che io passi buona parte del tempo a beffeggiarli, anche se di fatto io passo assai più tempo a provare a costruire lì dove prima c’erano appunto gli ecomostri che ho provato a abbattere. Sono il villain delle favole di alcun* artist*, non citassi adesso Laura Pausini farei ridere i polli, basti lei come esempio valido per tutti. Sono la Crudelia De Mon della sua favoletta, indirizzataria di diti medi anche quando non sono rivolti a me. Sono poi la Crudelia DeMon anche di personaggi che in teoria dovrebbero stare dietro le quinte, addetti ai lavori, addetti ai lavori che in realtà spesso sono assai più “grossi” degli artisti, quantomeno assai più influenti. Chi maneggia il potere vero, è noto, non deve mai esibire il proprio disappunto, fare l’offeso. Infatti quasi mai ricevo risposte piccate. Minacce, a volte, più o meno velate, cui seguono ripicche concrete: l’impossibilità di incontrare qualche personaggio, di andare a qualche evento, insomma, ognuno usa il potere che ha come preferisce. Essendo vecchio e stanco, quando mi si dice che non intervisterò Tizio o Caia perché ho un veto, una sorta di fatwa, o quando vedo sui social che c’è stata una presentazione, un concerto, un evento di cui si sono dimenticati di mettermi a conoscenza, nonché di invitarmi, come il mio ruolo prevederebbe, faccio spallucce, posso scrivere di un disco, di un artista anche senza parlarci o essere invitato alla conferenza stampa, anzi, non vado quasi mai alle conferenze stampa a prescindere, al punto che spesso mi si dice di non avermi invitato per non sprecare tempo (avrei comunque detto no). Panagulis scriveva col sangue sulle pareti della sua sporca e piccola cella, figuriamoci se mi lamento di dover scrivere da casa, in ciabatte, invece che al volo in metropolitana al ritorno da un incontro. Raramente, invece, mi capita che ci siano gli scontri veri, quelli in stile Marvel. Momenti nei quali il testosterone, evidentemente, prende il sopravvento sul raziocinio, e quel che uno pensa emerge come un fiotto di vomito repentino, difficile da trattenere. Avvengono quasi sempre in situazioni conviviali, quindi con un pubblico involontario, spesso basito, a volte divertito. Risse evitate di un soffio, ho parlato di testosterone, direi che è evidente che sto parlando di faccende da uomini (detto con poca accondiscendenza e compiacimento, sia chiaro). Una festa, un evento, il dietro le quinte di un programma tv, questi miei scontri sono parte di un’aura che mi accompagna, lo so, e mi accompagna anche perché sono quello che usa un linguaggio violento, porta vessilli degli hooligan, ha la faccia da delinquente con quei capelli e la barba lunghi. Sia mai che la tanto stigmatizzata violenza della mia penna, violenza per inciso che io non riesco proprio a intendere, come ho più volte detto pratico l’ironia, sono uno stand-up comedian pigro e che non esce di casa, ma quale violenza o cattiveria, sia mai che la tanto stigmatizzata violenza, comunque sia, non sia solo ipotetica ma reale?
Anni fa, per promuovere un mio libro, di cui per eleganza non farò il titolo, ho usato per la quarta di copertina una porzione di insulti che avevo ai tempi ricevuto sui social direttamente dagli artisti. Insulti e rimbrotti. Dissing, in poche parole. Laddove di solito campeggiano i complimenti di un qualche critico o di un qualche collega, avrete letto tutti frasi tipo “il più grande scrittore di noir della sua generazione” a firma Stephen King, per dire, io ho messo i dissing ricevuti. Tantissimi, lì ce n’era una minima porzione. Lo rifacessi oggi dovrei riempire anche la copertina e sicuramente lasciarne fuori altrettanti. Del resto il genere musicale di cui mi sono trovato a scrivere per un periodo importante della mia vita, con particolare attenzione, diciamo quando muovevo i primi passi nel mestiere di critico, era proprio il rap, e nel rap il dissing è di casa. Abbiamo letto tutti la faccenda tra Baby Gang, Simba La Rue e Rondodasosa, coi primi due presi per il culo dal terzo, sotto casa loro a fare dirette sui social, e di conseguenza lì a vomitare minacce sconclusionate nei medesimi social, con tanto di sfide a salire sul ring e altre amenità. Un adulto come me li vede, e pur avendo da sempre seguito il rap, studiato il rap, anche apprezzato parte del rap, gli viene da chiedersi dove stiamo finendo, incastrato tra perplessità e incapacità di comprendere, tanto più che tutti e tre i protagonisti della querelle hanno o hanno avuto pendenze neanche troppo leggere con la legge. A proposito di querelle, per la cronaca io di querele, invece, non ne ho mai ricevute, perché mi piace essere tagliente e ironico, a volte anche verbalmente violento, ma conosco i limiti, e soprattutto mi muovo sempre nella linea di confine tra il diritto di critica e il diritto di satira. Sempre parlando di querele e di querelle, siccome me lo hanno chiesto in troppi, credo sia il caso di specificare che il critico musicale al quale Fedez fa un dissing anche molto violento nel suo finto free style fatto a Real Talk falk è Dikele, non Michele. Cioè non sono io quello cui dice di far bocchini mentre se ne sta a quattro zampe. A me, ai tempi in cui scrivevo per il Fatto Quotidiano ha più volte provato a farmi cacciare, una volta anche in diretta sulle pagine del giornale, mentre faceva il Direttore per un giorno in redazione con J-Ax, oggi passato dalla parte di coloro contro i quali fa dissing. Licenziamento, sì, dissing, no. Stavo per chiudere questo passaggio con un classico “evidentemente non ero alla sua altezza”, ma credo sarebbe catalogabile come body shaming. Tornando ai tre in questione, figuri su cui non ho mai speso troppa attenzione come critico musicale, sono anziano e stanco e posso quindi permettermi di scegliere di chi scrive e di chi no, succede che ieri sera mio figlio Tommaso, diciannove anni, viene da me, steso sul divano in sala, e mi fa sentire un frammento della nuova canzone di Rondodasosa. Appena dichiara cosa sta per fare alzo la mano, con fare imperiale, per fermarlo, ma lui non desiste e fa partire, temo, Spotify. In casa mia Spotify che streamma Rondodasosa, il karma a volte sa essere a sua volta uno stand-up comedian, molto meno pigro di me. Il motivo è un preciso passaggio della canzone, passaggio che mio figlio, amorevolmente, mi fa ascoltare evitandomi il prima e il dopo. Un pezzo in cui viene citato un discografico con cui, negli anni, ho avuto scazzi, scazzi che poi sono divenuti parte del mio immaginario, e che quindi hanno portato a altri scazzi, di persona come via social. Mio figlio me l’ha presentato come un dissing, al punto che ho temuto, per un momento, di dover diventare un suo fan. Il nemico del mio nemico è mio amico, ricordate.
Il video che accompagna il brano, titolo Babaman, poi me lo sono andato a cercare per essere sicuro di non aver avuto una allucinazione auditiva, come Giovanna D’Arco (che essendo santa non credo di poter dire abbia avuto una allucinazione auditiva senza correre il rischio di inimicarmi sempre quel Dio da cui questo pezzo è partito), il video che accompagna il brano inizia mettendo in campo un po’ tutti i luoghi comuni del genere, soldi, pistole e mitragliatori Uzi, macchinone, denti coperti d’oro, addirittura un leone vero in gabbia, parole parecchio sessiste, oltre che violente, addirittura riferimenti ai Crips, notissima e pericolosissima gang di Los Angeles, con tanto di riferimenti a funerali da organizzare dopo l’ascolto di quelle barre, barre quasi mai metricamente ben fatte, senza neanche l’abbraccio caldo del chiudere le rime, insomma, roba che uno come me dovrebbe aborrire come un Mughini cui viene ricordato di quando all’Inter hanno assegnato gli scudetti sottratti in tribunale alla sua Juventus. Il passaggio che mio figlio aveva isolato, come uno scienziato che indica un preciso punto della catena del Dna per identificare l’origine di un malessere, in realtà è ambiguo, perché si parla di squali, quindi teoricamente si potrebbe anche pensare sia in effetti un dissing, ma al tempo stesso Rondodasosa si definisce a sua volta uno squalo, vai quindi a capire. Nell’incertezza, per non saper né leggere e né scrivere, so che parlando di questi soggetti fa strano, ma sarei io quello che non sa né leggere né scrivere, decido di lanciare un appello. Amici appassionati di trap, o di quella forma di rap che gente come Rondodasosa pratica, aiutatemi: da che parte devo stare nel beef tra l’autore di Babaman e Baby Gang/ Simba La Rue? Il nemico del mio nemico è mio amico, ma io non ho mica capito chi è amico di chi.