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Ma Carlo Conti che dice no alle canzoni sull’attualità al Festival di Sanremo si è reso conto di cosa succede nel mondo? Altro che canzoni alla “Sesso e Samba”, ci vorrebbe un ritorno alla musica vera e impegnata: ecco perché

  • di Francesco Sacco Francesco Sacco

8 dicembre 2024

Ma Carlo Conti che dice no alle canzoni sull’attualità al Festival di Sanremo si è reso conto di cosa succede nel mondo? Altro che canzoni alla “Sesso e Samba”, ci vorrebbe un ritorno alla musica vera e impegnata: ecco perché
Carlo Conti ha fatto sapere che al prossimo Festival di Sanremo non ci saranno canzoni legate all'attualità. Addio problemi del mondo, insomma. Ma perché il direttore artistico ha fatto questa scelta? E soprattutto, non vi siete stancati dei soliti tormentoni e delle canzonette leggere? Ecco perché sarebbe ora di tornare alla musica vera a incazzata di una volta. Ce lo spiega il cantautore Francesco Sacco

di Francesco Sacco Francesco Sacco

Amori andati male, amori andati bene, piccole crisi esistenziali e spleen da cameretta: quando osservo la musica che mi circonda ho l’impressione di essere l’unico arrabbiato, o perlomeno uno dei pochi. E a poche ore dall’annuncio dei big in gara al Festival di Sanremo, accompagnato dalla dichiarazione di Carlo Conti, che ha sottolineato che le canzoni che parlano di attualità (“macromomondo”, “immigrazione” e “guerra”, per usare le sue parole) non sono state scelte, questa domanda brucia sempre di più: perché la musica è stata disinnescata? Certo, Sanremo è sempre stata una vetrina di pop patinato per benpensanti e fin che la barca va lasciala andare, e chi ha sperato di poter cambiare le cose alle fine s’è sparato dalla rabbia: come sempre “I fough the law and the law won”, quindi aspettiamoci il salotto più polite d’Italia, fatto di buoni sentimenti, famiglia e sorrisoni da abuso di Xanax, con buona pace per il pranzo di Natale con i parenti bigotti, che dovrà accontentarsi del secondo posto. Ma che fine ha fatto la musica incazzata? Perché davvero là fuori stanno succedendo un bel po’ di cose, e non voglio suonare nostalgico, ma pensare che nel '67 i Nomadi esordissero con una canzone intitolata “Dio è morto” (capito, i Nomadi, non i Napalm Death) mentre oggi le penne più affilate d’Italia stiano capendo come replicare il successo di “Sesso e Samba” mi fa un po’ male.

Francesco Sacco
Francesco Sacco
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Io invece un disco pieno di canzoni incazzate l’ho appena pubblicato: “Ti somiglia ma non sei tu” parla del genocidio in Palestina (si può usare ora la parola “genocidio”? perché quando è uscita come singolo lo scorso maggio era meglio di no, nonostante fosse già, a mio avviso, la parola giusta da usare), “France666co” dell’inevitabile declino della nostra civiltà, “Hey diavolo” di depressione, di sentirsi una foglia fragile su un albero malato. “Midnight squaw” trasfigura il racconto del rapporto tra tempo libero e lavoro, “Vitelloni” di come possa trovare spazio l’essere umano e i suoi sentimenti fra il cemento di una grande città come Milano. È un disco arrabbiato e introspettivo, che riflette su tanti problemi e sogna la rivoluzione. Probabilmente è un disco fuori mercato, ma a parlare di sesso e samba, amore e guacamole, nachos e fellatio proprio non ci riesco, con il mondo che va in fiamme e il capitalismo che dà l’ultima oleata ai suoi sporchi ingranaggi. E questo non perché sono più bravo degli altri, se mai perché sono meno bravo, visto che proprio non riesco a capire il pop e a fare pace con il fatto che la musica sia l’unico campo dell’arte dove certe istanze non interessano (a differenza di ambiti paradossalmente più elitari come l’arte contemporanea). Probabilmente non riesco a fare diversamente perché alla base del fatto che da adolescente abbia iniziato a scrivere canzoni, oltre al fatto che la chitarra fosse più attraente del dizionario di greco, ci sono il potere sovversivo e la forza sociale degli artisti che ascoltavo: c’è “Coda di lupo” di De André, “e al loro dio perdente non credere mai”, c’è John Lennon che rifiuta il titolo di baronetto per protestare contro il coinvolgimento della Gran Bretagna nella guerra in Biafra, ci sono i Clash che spaccano gli strumenti sul palco, ci sono il movimento hippie e quello punk, Jim Morrison in preda a un delirio sciamanico e Guccini in preda al vino rosso. Sicuramente avrò torto, e la società non chiede più questo alle canzoni, ma mentre scrivo questo articolo scambio due parole con il ragazzo di ventun’anni che sta facendo la revisione alla caldaia di casa: mi dice che il capitalismo gli fa schifo e che secondo lui collasserà, che aspetta di mettersi da parte un po’ di soldi per comprare della terra e levarsi da questo sistema. Che vivere per lavorare è da matti, che la politica non serve a niente e che non si riconosce in niente di quello che ha intorno. E che conosce un bel po’ di gente che la pensa come lui. Sono d’accordo su tutto, e chiacchierando arriviamo al fatto che scrivo canzoni, così prende il mio album su Apple Music (meglio di Spotify). Dice che lo ascolterà e mi farà sapere. Spero davvero che gli piaccia, mentre il mercato può continuare a dormire sonni più o meno tranquilli. Almeno per ora. 

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