"Fammi bagnare". Margot Robbie, Lennie LeRoy, intima da bere al bancone di un localaccio, davanti a un nugolo di avventori lerci e già fradici. Poi ci flirta, balla scatenata, versa due lacrime, una, tre. A comando. Scoppia un incendio, lei continua a dimenarsi. È nata per questo. Stop. Una lancia sfreccia a un millimetro dalla guancia destra di Brad Pitt, Jack Conrad, conficcandosi nel muro. Lui inveisce: "Avevo detto di sporcare di più l'attrezzeria, questa sembra nuova!" per poi continuare la telefonata in cui già era affacendato, come niente fosse. È il 1926, siamo sull'immenso set di un film ad alto budget a cui lavorano solo tossici, ma tossici di quelli super goderecci: le comparse, gli attori, i registi e i produttori, non ce n'è uno che stia in piedi sulle proprie gambe, almeno non prima del ciak, quando tutto si trasforma, prende vita. Manuel (Diego Calva, pressoché esordiente) parla pochissimo inglese, ma è stato scelto come galoppino e deve tenere le fila di questo casino, trottando da una parte all'altra di Los Angeles per soddisfare le folli richieste della produzione. Babylon, il nuovo capolavoro del Premio Oscar Damien Chazelle (Whiplash, La La Land) è sporco, brutto e cattivissimo. Si apre con venti minuti di festa orgiastica dove vale tutto: elefanti, tentati suicidi, polli che rubano cocaina, morti d'overdose, corpi nudi bellissimi, occultamenti di cadaveri, corpi nudi bruttissimi, qualunque tipo di droga. A fiumi o mantagnette. Si narra che alcuni telespettatori abbiano abbandonato la sala già davanti a questo magmatico incipit. E spiace per loro. Non sapranno mai, non direttamente, di essersi persi oltre tre ore di fetida, scorretta, imprevedibile meraviglia. È per film come questo che il cinema ha ancora senso di esistere.
Un Moulin Rouge sotto anfetamine e senza stucchevoli canzoni di riempimento, ma in realtà non è nemmeno questo: Babylon non somiglia a nient'altro, al massimo cita, omaggia, fagocitando però ogni riferimento e vomitandolo in scena a modo proprio. C'era una volta a... Holllywood, sì, ma nessuno l'aveva raccontato così prima. Babylon è un frenetico passaggio di consegne o, a dirla tutta, un'enorme e variopinta metafora di come la vita ti fotte. Poco importa che tu sia un'aspirante comparsa confinata fuori dal set con il gigantesco cartello "Hire me" al collo o il più grande produttore e attore cinematografico del tempo, aka Jack Conrad (Brad Pitt).
L'avvento del sonoro falcerà via tutto e tutti, è successo davvero, e nasceranno nuove star che a loro volta, nel giro di un battito di ciglia, verranno spazzate via dal colore e poi da chissà cos'altro. Chazelle si ispira a carriere realmente interrotte, creando personaggi straordinari: la "wild child" Lennie LeRoy che si mette il ghiaccio sui capezzoli prima di entrare in scena per renderli più turgidi. Cafonissima, sgradevole, sexy da morire, greve, con i peggiori vizi del mondo conosciuto e conoscibile. "Mai visto un tale vortice di cattivo gusto ed energia vitale", scriveranno di lei le prime recensioni. Le basta un filo di tessuto rosso addosso per mangiarsi il mondo, le basta fino a che non si ritroverà a dover parlare sul set. Panta rei.
Tutto cambia affinché nulla cambi. Così è nel cinema, come nella vita. Nel frattempo, c'è la rocambolesca corsa per affermarsi, trovare un posto nel mondo, accumulare potere, darlo per scontato, perderlo, accettare la fine, quando arriva. Nel frattempo ci sono le notti folli dove tutto sembra possibile. E lo è. Con serpenti a sonagli, coccodrilli, freak show infernali, storie di signori della droga e trovarobato. È il caos a dettare legge nelle vite dei personaggi e regola anche la struttura, il ritmo del film. È indispensabile che sia così, per quanto tale scelta abbia sollevato più di un sopracciglio in patria come dal gotha della critica nostrana: si scrive che Chazelle abbia toppato, che dia l'impressione di non sapere quale direzione far prendere al film, per l'intera durata del lungometraggio ma, soprattutto, nel finale. Niente di più sbagliato. Lo sa benissimo. Il problema, semmai, è non rendersene conto.
Per esempio, di finali ne fornisce almeno sei. E con ognuno di essi, si sarebbe portato a casa la solita infornata di Oscar. Più che consapevole di ciò, sceglie di fregarsene. Così, ce ne sbatte in faccia uno, quello definitivo, che sembra uno scherzo. E in realtà è un gigantesco dito medio in faccia all'industria cinematografica, alla critica a chiunque di noi si senta importante per qualche motivo, leader del settore, dimenticando di essere, a tutti gli effetti, poco più di pulviscolo. Per natura siamo condannati all'inconsistenza, lo è addirittura Chazelle perfino quando ha per le mani un film da storia del cinema. Perché tanto poi verrà superato, polverizzato, umiliato da qualche cosa d'altro che arriverà dopo. Se questa è la tragicomica, comune, condizione, nel frattempo, però, possiamo spassarcela quando arriva il nostro piccolo, infinitesimale, momento di grandeur. Che ci sembrerà, puntualmente, infinito. Nell'attimo in cui volgerà al termine, poi, basterà avere l'eleganza di assentarsi per andare a richiedere altri due sigari o perdersi nella notte ballando senza musica verso la più nera oscurità. Perché non importa più. Ed è bellissimo. Non è solo anarchia, è libertà.
Babylon è nichilista da far schifo, ma vi farà uscire dalla sala con un'adrenalina in corpo tale per cui vi sembrerà possibile ogni cosa. Tenetevi lontani dal telefono, questo film equivale a una sbronza epocale, di quelle che vi portano a scrivere a chi non dovreste. Con entusiasmo, anche. E perché non dovreste, poi? Perfino l'Uomo Ragno (Tobey Maguire) non l'avranno ucciso ma è comunque diventato, in scena, quel che resta di un eroinomane all'ultimo stadio. Uno dei camei più criticati dell'intero film, ma anche una delle sequenze più divertenti, sbalorditive, fuori di testa. Babylon non è mai prevedibile e tenere lo spettatore sul "chi va là" per oltre tre ore è ben più di un'arte. Può succedere di tutto, quindi cosa accadrà? Tutto, esattamente.
C'è una storia d'amore, ma soprattutto ci sono dialoghi di cui innamorarsi, scene che hanno un unico difetto: non è possibile entrarci dentro, per quanto ci si senta coinvolti dall'inizio alla fine. Non è possibile farci sesso, anche se vorreste, vorremmo, lo vuoi? C'è la supremazia del grande schermo che finalmente diventa grandissimo: in ogni angolo succede qualcosa, mentre i protagonisti discorrono del più e del meno. Possono essere inseguimenti, morti rocambolesche, gente nuda che scappa, Babylon non dà tregua e tocca correre al cinema per godere a pieno di questa esperienza sensoriale, materiale, appagantissima sotto ogni aspetto. Si gode. Moltissimo. Troppo.
Damiene Chazelle è un genio. Del cinema, della regia, del male. Offensivo, degenerato e senza freni, Babylon ridefinisce il concetto di "osare", imponendosi come il suo capolavoro più personale. E di grandissima ispirazione. Brad Pitt nel ruolo della vita, Margot Robbie "The wild child", l'intera sala che deraglia, desidera, piange, si spancia, non sa cosa pensare. Lasciatevi disorientare, Babylon è un sogno lucido da cui è un peccato doversi risvegliare.