Tra il 1508 e il 1512, Michelangelo Buonarroti (quello famosissimo) iniziò e finì la cappella Sistina, un capolavoro assoluto della storia dell’arte e mio personalissimo incubo per la tesina della maturità in quinta liceo. Nel 2009 James Cameron partorì Avatar, una sorta di rivisitazione marziana di Pocahonats, ambientato in un ipotetico spaziale futuro blu. Capolavoro per molti, campione d’incassi assoluto e mio personalissimo film del cuore per anni. Ieri è uscito Avatar 2, la via dell’acqua e non mi metterò a urlare al capolavoro, perché onestamente di “capolavoro” non si tratta, quanto meno non in toto. Dividiamo la faccenda per punti: non è fattibile vedere per la prima volta questo lavoro cinematografico sdraiati sul divano di casa, in quanto gli effetti speciali meritano di essere visti sullo schermo migliore che si riesce a trovare. Creature immaginifiche, protagonisti giganti, natura fuori controllo e le scene di lotta (innumerevoli scene di lotta) sono troppo suggestive per non godersele al cento per cento. Stesso discorso per la colonna sonora: l’opera di Simon Franglen è bella senza se e senza ma e l’esperienza d’ascolto va fatta obbligatoriamente in un contesto che permetta di apprezzarla appieno. Quindi dal punto di vista audio visivo Avatar rispetta in pieno le aspettative, in una parola: è bellissimo. Ma che racconta? Che lascia nello spettatore?
Qui arriviamo al secondo punto, che non definirei “ostico” ma che comunque mi lascia perplessa: dal punto di vista della trama è un prodotto facile che arriva a toccare le corde del “piacevole”. Che è un bel risultato chiariamoci, ma che (dal mio modesto punto di vista) non doveva essere il punto d’arrivo: tredici anni di preparazione,tre ore di sequestro dello spettatore, 250 milioni di dollari di investimento, Zoe Saldana maestra assoluta dei pianti sul grande schermo che performa ancora alla grande e il massimo dell’aggettivo che sono riuscita a trovare per la storia è “piacevole, il ponte tra il primo e il terzo”, “massì un film perfetto per la domenica pomeriggio, per staccare la testa e non pensare a niente”. Eppure il film vuole farci tutti pensare. E pensare un sacco. Ovviamente in merito a come trattiamo il nostro pianeta, a come non ci sentiamo parte del tutto, a come non lasciamo che la natura entri nella nostra vita, a quanto siamo aridi, pieni di egoismo e svuotati dai valori più basilari, come quello della famiglia. Bello eh. Ma non ce la fa.
Anzi, la narrazione del green è così presente che dopo la prima ora ad essere d’accordo con Cameron ad un certo punto ti viene quasi voglia di andare a caccia di marmotte in Val D’Aosta e di sacrificare un suricata sull’altare della moda, così, a sfregio, perché ti è salita la Crudelia Demon che cova dentro ognuna di noi. Poi ti ricordi che il sorcio non ti ha fatto niente di male e che anzi, nei tuoi sogni più sfrenati ti incarta la cioccolata a Pasqua, ma il punto con il film rimane: troppo. Da una parte cerca uno spessore emotivo, dall’altro vuole stupire e intrattenere lo spettatore nel più classico dei modi: inseguimenti acquatici, schiaffoni e colpi di scena. E inciampa nelle sue intenzioni.
C’è anche da dire che da Avatar nessuno si aspetta lo spessore del Dottor Stranamore e che in realtà attende esattamente tutte le aspettative che i fan hanno, però mi chiedo , umilmente, siamo certi che basti un bellissimo (letteralmente) prodotto per smuovere il pubblico e soprattutto per puntare ancora ad essere la Cappella Sistina del cinema (almeno dal punto di vista degli incassi?) Voto 7, perché non è possibile dargli meno. Solo che, onestamente, avrei voluto dare ancora un bel 10 con lode e limone accademico.