Sarà la vecchiaia – chiamiamola “piena maturità”, dai – ma mi viene sempre un po’ da sorridere quando guardo le foto di alcuni pop acts degli ultimi 3-5 anni. I Boomdabash, ad esempio: gira una foto, presumo recente, in cui a vederli, i quattro – occhiali da sole, barbe ben coltivate, magliette total black senza loghini ruffiani o scritte a caso –, sembrano un incrocio tra un gruppo di killer usciti da un film di Michael Mann e una band di avant black metal. Poi parte “L’unica cosa che vuoi”, il nuovo singolo uscito ieri su tutte le piattaforme digitali per Soulmatical Music/Capitol Records Italy, e l’incrocio, stavolta, è fra gli Eiffel 65 e uno spot del Cornetto Algida. Ehm, vabbè. Meglio chiudere gli occhi, immaginare che se questo è il singolo primaverile dei quattro salentini, quello estivo potrebbe essere un tormentone talmente tormentone da far passare quei giochini a tre in cui Fedez è sempre accompagnato da altri due tizi estratti a caso da un bussolotto come qualcosa di fin troppo sofisticato.
“L’unica cosa che vuoi”, introdotto da una petulante chitarrina acustica buona per i jingle di YouTube e sorretto dai suoni sempre azzeccati di Blazon e Mr. Ketra, è una canzone d’amore un po’ generica ma divertente sputata fuori da una quasi perfetta macchina da guerra. Perché questo sono – e sono consci di esserlo – i Boomdabash. Che non rinunciano alla particina simil-rap, non rinunciano all’urletto (tassativo) che sullo sfondo annuncia il brand – “Boomdabash!” – giusto per tenere un tallone nell’universo urban che ha fatto loro da culla. Impresa mica semplice stavolta, perché il nuovo pezzo primaverile è pop obbligatoriamente autotuned che quattro tizi con meno attitude farebbero una bella fatica a spingere con tutta questa serietà. Invece i Boomdabash mica ci ridono sopra a brani del genere, mica te li presentano come fossero cosette alla Pupo. No no, ci mettono un paio di effetti giusti e te li sparano fuori come se ogni adolescente dovesse prendere nota. Del tipo: ragazzi, questa roba sembra innocuo caramello radiofonico, ma fidatevi, i Boomdabash sono fighi. Questo poi, in sostanza, è anche il problema di tanto pop contemporaneo che sboccia sull’asse Sanremo/Battiti Live: pare destinato a quei giovanissimi (per la fascia 16-25 ci dovrebbe essere quell’ossimoro che è l’indie-pop o ciò che ne è rimasto) che, forse per la prima volta nella Storia, puntano a un obiettivo diabolicamente biforcuto: da una parte il pezzo ti deve far cantare come un tempo si cantava su “Felicità” o “Vamos a la playa”; dall’altro, mentre canti, ti devi sentire figo quanto Josè Mourinho nella stagione del Triplete. Obiettivo che i Boomdabash, senza sforzo, centrano anche stavolta. In attesa che i quattro – e ne sono capaci, vedi “Beretta” insieme a J-Ax – tirino di nuovo fuori le unghie.