Dopo il fortunato passaggio sanremese con Il bene nel male, Madame atterra, è il caso di dirlo, sul mercato con l’album L’amore, che se è possibile prende le aspettative già piuttosto ampie che la critica vi aveva riposto e le eleva all’ennesima potenza. Perché? Un tempo chi scriveva canzoni, anche chi le cantava e basta, a dirla tutta, se mai fossero state canzoni atte a raccontare qualcosa, seppur nella metodologia tutta sintesi e sentimenti delle canzoni, un tempo chi scriveva e/o cantava canzoni non stava cantando necessariamente di sé. Raccontava storie, magari di altri, magari inventate, a volte, raramente, anche fatti propri. La gente le ascoltava e le faceva proprie, ci si riconosceva, a volte anche andando fuori tema, non capendole ma facendole comunque proprie. Quando tengo masterclass a riguardo cito sempre Meravigliosa di Francesco Renga, non perché sia un capolavoro, seppur sia oggettivamente un buona canzone pop, ma perché è perfetta per questo contesto. Meravigliosa è una canzone su uno che ha le corna, o sospetta a ragione di averle. Lei non è tornata a casa, di notte. Si presenta di mattina, e odora di un altro. Mi sembrano elementi abbastanza chiari. Meravigliosa non è lei, che torna la mattina odorando di un altro, il protagonista non è un autolesionista, meravigliosa è la luna. Solo che il Renga che l’ha cantata, ai tempi, era fidanzato con Ambra, la coppia era oggettivamente bella, piaceva alla gente, interessava la gente, per cui, senza concentrarsi sul testo, tutti hanno pensato fosse una canzone in cui il cantautore bresciano cantava il suo amore per l’attrice romana. Vai poi a sapere se in effetti era così. Nei fatti era e è tutt’ora una canzone su uno che ha le corna. Chissà quanta gente, incautamente, l’avrà cantata alla propria amata, ne avrà magari anche fatto oggetto di una serenata, la luna citata a più riprese in questo aiuta.
Solo che negli ultimi anni, complice l’esplosione congiunta di due generi nati in cameretta, l’indie o itpop che dir si voglia, da una parte, nello specifico storicamente nato nella cucina di Dente, ma ci siamo capiti, e quella strana forma di rap/trap/urban che usa adesso, dove la cameretta è magari più il parchetto, se nella zona un parchetto che dirsi tale esiste, complice l’esplosione congiunta di questi due generi, l’autobiografismo ha preso campo. Di più, è diventato quasi necessario, conditio sine qua non, direbbero i diretti interessati, si scherza, eh. Metteteci pure che nel mentre sono esplosi, più dell’indie e dell’urban, i social, dove l’autobiografismo, quella versione fake di autobiografismo che ci vede registi della narrazione delle nostre vite, è sì condizione necessaria, e il gioco è fatto. Il fatto che la soglia di attenzione, non quella che si dedica alla musica o a decifrare i post sui social, intendiamoci, quella che si ha in generale, anche nei confronti degli articoli come quello che state leggendo ora, è scesa vertiginosamente verso i quindici secondi tiktokkiani, il gioco è fatto, nelle canzoni oggi si parla di sé, come ovunque, la vita di chiunque elevata a oggetto di interesse universale, io, io, fortissimamente io. Poi succede che c’è chi prova a fare altro, e nel fare altro usa la propria voce per raccontare le storie, non la storia ma le storie, che ritiene siano appunto da raccontare. Arrischiandosela, certo, perché a leggere questi racconti come una sorta di autobiografia a puntate il risultato è un quando di personalità multiple che M. Night Shyamalan levate, con un per nulla frenetico passare dalla donna succube di un rapporto tossico alla ninfomane, da chi prova a vivere la vita scardinando i canoni archetipici a chi usa il proprio corpo come bussola per orientarsi in un mondo sempre più piccolo e globalizzato, ma non per questo meno conosciuto. Parliamo di Madame e del suo L’amore, lo abbiamo dichiarato in esergo, un album importante e non solo perché Madame, questo ci dicono gli asettici numeri forniti da chi ha fatto dei numeri la propria ragion di vita, Spotify e il suo algoritmo, è l’artista italiana più ascoltata negli ultimi dieci anni, lei che dieci anni fa faceva la prima media, pensa te, quanto piuttosto perché in un’epoca di omologazione spinta, stai dentro quei codici che possano renderti facilmente comprensibile a chi è distratto, a chi ti presta quei quindici secondi di cui sopra, alza il tiro e pretende, in maniera volendo anche arrogante, attenzione e tempo, concentrazione e quello sforzo intellettuale che l’arte mette spesso in conto. Certo, il tutto dentro una forma canzone, parlo dell’aspetto musicale, talmente azzeccata da poter essere fruita anche da chi magari la nostra lingua non la conosce, il rap messo da parte per una forma di canto assolutamente contemporaneo e modernissimo, mai come nel suo caso è prova provata che chi critica l’auto-tune tanto per dell’auto-tune poco o nulla sa, usarlo bene è chiaro segno di competenza e talento, ascoltare per credere, un canto che flirta costantemente col passato, qui ci sono anche chiare tracce degli anni Sessanta, figuriamoci, quando neanche i suoi genitori erano ancora nati, ci siamo abituati a pensare i giovani come appoggiati su una sciatteria di fondo, un tempo in effetti piuttosto presente, poi ci capita di ascoltare cantare gente come Madame, Lazza o lo stesso Tananai, e non possiamo che alzare le mani di fronte a tanta applicazione e studio, chi ieri sembrava stonatino oggi appare una spada, tecnica e sentimento a convivere dentro il medesimo giovane corpo.
Corpo che, altro fatto eccezionale, direi a questo punto quasi unico, oggi, in Italia, occupa militarmente parte della scena, presente nei suoi umori, nella sua fisicità animalesca come nella sua forza, a tratti violenta a tratti passionale, un corpo che troppo spesso viene occultato all’ascolto, come una macchia, un peccato, ma che Madame mette costantemente sotto i riflettori, toccabile dentro i suoi testi e dentro le sue interpretazioni. Tanta roba, direbbero forse oggi, il forse è per non passare come di chi usa la parola “matusa” per parlare di sé convinto di schivare il rischio boomerismo, qualcuno potrebbe azzardare anche un “pure troppa”, non fosse che in epoca dei già anche troppe volte citati quindici secondi tiktokkiani, una artista giovane, classe 2002, che decida di pretendere tempo e attenzione è quasi commovente, e quel quasi sta qui per non passare per un vecchio sentimentale, di quelli che si commuove quando vede da qualche parte citato il tempo in cui è cresciuto, questo non è un passaggio autobiografico, sia chiaro, solo un raccontare un pezzetto di storia quotidiana universale, fingendo sia la mia, mentre io resto un insensibile cinquantatreenne che ascolta giovani cantanti che usano l’auto-tune pensando a quei tanti riferimenti ai suoni del mondo, parlo sempre di L’amore di Madame, mica si troveranno tutti lì per caso, no?