Gli auguri di Alfredo Palomba
Essere amico di Massimiliano Parente significa non potersi tirare indietro dal bere un Gin Tonic alle undici del mattino, per esempio. Significa anche sentirsi dire, a volte, «Ti conviene?», «Non sarà controproducente?», come se ci scegliessimo gli amici in base agli obiettivi da raggiungere o a chi non li trova antipatici, secondo le loro relazioni con gli altri e non con noi.
Massimiliano esagera, a prescindere, spesso nemmeno a ragion veduta e in maniera infantile, spesso danneggiandosi. È difficilissimo condividere tutte le sue battaglie – perché Massimiliano non esprime la propria opinione contraria o la propria idiosincrasia per qualcosa o qualcuno, Massimiliano si imbarca in una crociata – o, perlomeno, i modi con cui le porta avanti.
Poi, a volerla dire tutta, è riuscito a regalarmi forse il momento più imbarazzante (e più punk) della mia vita, più di quella volta in cui sono caduto col culo per terra sul pavimento bagnato di pioggia dell’atrio della scuola media e una torma di ragazzini ha riso tenendosi la pancia, più di quell’altra in cui sono caduto faccia a terra nella piazza di Pompei un sabato sera e una torma di ragazzini ha applaudito. Massimiliano ha presentato il mio primo romanzo in una libreria di Roma completamente ubriaco e non ricordandosi nemmeno la trama o i cazzo di personaggi, ha insultato i presenti – ricordo bene almeno il “coglione” che si è beccato l’amico scrittore Roberto Venturini – mandato a fare in culo le libraie e previsto la chiusura dell’esercizio entro un anno (mi risulta, per fortuna, che la libreria goda ancora di ottima salute).
Eppure, considero Parente uno dei miei migliori amici. È una persona di una generosità non adulta, anche lei infantile, quindi priva di qualsiasi sovrastruttura o interesse, pura. È stato tra i primi a leggere il mio manoscritto e tra quelli che più si è speso per la sua pubblicazione, parlandone a ogni buona occasione. Il Gin Tonic di cui dicevo, quello delle undici del mattino, stai sicuro che se lo incontri insisterà per pagarlo lui – e ci riuscirà – insieme a tutto il resto del beveraggio e al pranzo. Offre sempre lui. Sempre. A Massimiliano credo di non essere ancora riuscito a offrire neppure una birra.
Un paio d’anni fa ho avuto un periodo di crisi personale: Massimiliano mi chiamava tutti i giorni, solo per ascoltare, per evitare che mi sentissi solo. E, al contrario di tanti, quando gli parli Massimiliano ti ascolta davvero, e a distanza di tempo si ricorda di cosa gli hai detto. È bellissimo, soprattutto quando stai male, ricevere tutti i giorni una telefonata da parte di qualcuno che ti chiede «Come stai?», è una fortuna che non tutti hanno.
Oggi Parente compie cinquant’anni e io gli auguri glieli faccio solo per irritarlo, perché so quanto odi il suo compleanno. D’altronde l’ultima foto che mi ha inviato, un paio di giorni fa, alle 7.50 del mattino, mentre ero già a scuola e morto di sonno, lo ritraeva in pigiama a giocare a “Call of Duty”: irritarlo mi pare il minimo sindacale.
Per cui tanti, tantissimi auguri di buon compleanno. Brutto stronzo.
Gli auguri di Tommaso Sollai
Nel giorno del mezzo secolo di Parente, lo ricordo da postumo, come credo vorrebbe essere ricordato, da vivo come da morto: mai come nel suo caso l’uomo è l’appendice dello scrittore, è la consapevolezza spiccia dei mesi o degli anni rimasti da scontare prima di finire triturati dalla macinatrice del tempo.
Secoli fa, guardando le stelle nel cielo senza luci del grossetano, lo sguardo agli astri lontani e già morti e la mente incarnata in questo disastro senza speranza che chiamiamo vita, pensavamo che in fondo l’insignificanza di esistere è consolante – è l’invecchiamento, il pensiero della morte imminente, che rovina un po’ tutto.
Nel corso della sua opera Parente ha sempre girato intorno a un solo grande concetto: la mortalità, l’annientamento, la fine di tutto, interrogata dal cuore della letteratura ma con gli strumenti dell’epistemologia scientifica. Il suo sguardo a quell’oceano di galassie morenti lo ha traslato nel suo capolavoro, la Trilogia dell’inumano.
Quando scrivi un’opera così terminale, entropica, senza tempo, non puoi fare a meno di relativizzare anche il tempo che ti rimane, i compleanni che ti restituiranno solo l’ombra del mezzo secolo che non vivrai: è l’opera tutto ciò per cui vorresti essere ricordato.
Io lo ricordo per questo.