La musica italiana ha un paio di grossi problemi: i soldi a tutti i costi, la dittatura dei numeri e la morte dello scouting. Per dirla in parole povere, le casse sono piene, esce roba in continuazione, presunti successi a scadenza stagionale, ma la produzione fa veramente schifo. C'è chi come Dj Ringo (tramite nostra intervista) e Silvestrin (tramite suo canale) ha pure individuato i colpevoli. Gli stessi, a conti fatti, di cui parla Angelo Calculli, ex manager di Achille Lauro, professionista che nell'industria musicale ci vive da anni, e che non si limita a riferire dei responsabili, ma si spinge oltre, a tirare giù tutti quei meccanismi del dietro le quinte che nessuno osa denunciare. “Le canzoni sono tutte costruite a tavolino. E a tavolino si siede l'intera filiera…”
Come se la passa la musica in Italia?
“Malgrado le discografiche sciorinino dati ottimi, e i bilanci siano positivi, la musica è in crisi”.
Si fa cassa, ma la qualità?
“La qualità non esiste più. Non si rincorre né quella né la durata temporale, ma l'occasione, la moda. Non c'è costruzione: su chi punti oggi? Chi durerà?”
Non individua nessuno?
“Pochi, pochissimi. Per esempio Bresh, pop, pulito, trasversale, una buona semina per il futuro”.
I grandi non li salva?
“Purtroppo sono quelli più in crisi, anche se Vasco nei live è fortissimo. E apprezzo molto il percorso di Marco Mengoni, Cremonini, Ultimo, che ha tante doti”.
Sa scrivere e sa suonare.
“Può non piacere, ma è così, è il nuovo Vasco Rossi. Aggiungo una riflessione: a differenza del cinema, che grazie alle Film Commission è a Roma ma anche spalmato sul territorio nazionale, nessuna discografica è delocalizzata al sud. E siccome trasferirsi a Milano è dispendioso, non è dato spazio a tutti, e si investe su quei pochi che nelle logiche funzionano. Parliamoci chiaro, le canzoni di oggi sono tutte costruite a tavolino. E a tavolino si siedono le radio, i discografici e le agenzie live che dopano anche il successo di un artista”.
Allora è d'accordo con Dj Ringo e Silvestrin: è colpa loro.
“Più che colpa, è un modello di business; giustamente la discografia è un'industria che pensa agli affari. Basta pensare ai cambiamenti interni...”
Al cambio di poltrone Sony-Warner.
“Precisamente. Se penso alle tre major, mi accorgo che Universal ha una linea unica e coerente e continua, e rappresenta tra l'altro un bacino di artisti del centro-nord. Poi c'è la Sony, che senza Cibelli (Pico) ha smarrito la sua identità, era lui la vera anima”.
Tra l'altro si è portato via con sé un intero blocco.
“Appunto, incluso il gruppo dei napoletani, a cominciare da Geolier. La Warner ormai è un quartiere di Napoli; continua, certo, a mantenere gli artisti storici, Pausini e Ligabue, ma si è spostata in quel senso. In quella discografica non vedo un progetto duraturo se non quello della moda del momento: è l'esempio tipico”.
Intuisco che non ha gran stima di Cibelli.
“Per carità, è molto competente, e si vede che Sony è smarrita per la sua uscita, ripeto. Ma vorrei vedere che piega prenderà il suo operato...”
Torniamo agli affaire delle radio.
“Se ascolto alla radio 10 passaggi di un brano, ne decreto il successo, a prescindere dal contenuto. A furia di ascoltarlo entra in testa, normale no?”
Ci stiamo girando intorno: chi decide i passaggi radiofonici di un brano?
“Anni fa a deciderlo erano le radio; poi è nata questa figura promozionale delle case discografiche, personaggi che spingono certi prodotti, e da quando le radio hanno messo in piedi anche i loro festival è evidente che gli interessi reciproci sono maggiori. Dunque la domanda è lecita: siamo certi che le radio siano autonome nel decidere i brani che passano? Che non ci siano ingerenze delle case discografiche?”
C’è chi la chiama mafia radiofonica… Che dice dei dissing estivi?
“Che hanno portato pubblicità a tutti. Quello tra Luchè e Salmo non mi ha manco appassionato; su J-Ax dico questo, non è coerente. Invece su Bersani-Sfera Ebbasta, il primo ha ragione in parte, ossia è vero che senza autotune in molti non sono in grado di cantare, ma Sfera è un figlio di quello strumento, è nella sua identità. Ed è un professionista, il migliore nel suo. Piuttosto punto il dito sul contenuto dei testi. Anche quel tentativo di spiegazione di Emis Killa, che difende la sua categoria, fa un po' ridere. Fa sentire la voce di Adele senza e poi con autotune distorto, per dimostrare che quando lo usi male poi stona chiunque. Ma che dimostrazione è? Fallo con Sfera senza autotune, sentiamolo a cappella e poi vediamo!”
Torniamo alla qualità dei brani.
“Se ascolto una canzone di Bersani recepisco un messaggio, viceversa: “Bambolina, domani torno da te, con una nuova bugia. Tanto non ti importa di me, tu vuoi le fragole”. Oppure: “Stasera che mi fai? La disco paradise”. Ma che cosa vuol dire?”
Sono pezzi a scadenza.
“Per forza. Sono pezzi senza senso e storia”.
Come se ne esce? Come si torna alla qualità?
“Se il mercato implode, e si dà spazio alla meritocrazia piuttosto che al marketing”.
Ci vuole anche divulgazione.
“Ci vuole cultura musicale. In tutto questo vedo anche il degrado scolastico. Ma vi immaginate un'assemblea di istituto con i ragazzi che occupano e cantano: “Hey tro*a vieni in camera con la tua amica por*a…” Fa ridere. Nel resto del mondo, esempio America, certo c'è la trap, ma anche il country, il blues, il jazz, e hanno tutti lo stesso valore. Qui? Prendi Dardust, esplode se fa Cenere, ma le sue cose non vanno. Abbiamo artisti eccellenti che fanno una fatica incredibile. Quanti poi si definiscono cantautori?”
Sono tanti.
“Appunto, ma il cantautore è uno che scrive e canta i suoi pezzi; si può mai definire cantautore chi firma con altri 7-8 autori? C'è proprio una distorsione totale. Ma i colti, giornalisti famosi e opinionisti, perché non scrivono mai la verità sui contenuti?”
Lo vogliamo dire?
“Perché sono amici del manager, del cantante, e fa comodo non schierarsi. Certi per un pass, un'intervista o un'opportunità...”
Dica dica…
“L'ho vissuto in prima persona, se facessi i nomi salterebbero in tanti. Gente che diceva: e ma l'artista con cui lavori non mi piace. Ma che canta? Gli stessi che poi chiedevano il pass per il concerto, e per farsi il selfie. Un mondo di una falsità unica. Per questo sono contento di lavorare con gli emergenti, ma li metto anche in guardia. Dico chiaro: nessuno si interesserà a voi finché non ci sarà qualcosa da spremere. In fondo cosa fanno le discografiche? Appena un artista genera - da solo - numeri interessanti (anche a livello di follower) se lo assicurano. Non accade il contrario, non esiste più lo scouting. Sono convinto che i brani inviati da sconosciuti alle discografiche vengano puntualmente cestinati”.
C’è poco da fare: i numeri vincono.
“Faccio l'esempio di una ragazza che ha iniziato con me, Nahaze; aveva questo brano, Carillon, lo ascolto e mi colpisce, ma glielo faccio rifare, con Achille Lauro e Boss Doms. Perché avevo una visione progettuale in cui mi dà fiducia Marco Alboni (ex Warner), e solo grazie a lui è nato un pezzo che è andato bene. Proprio con quel pezzo Lauro è passato da Sony a Warner. A proposito di Carillon, alla Sony invece lo avevano scartato. L'unico propenso era Fabrizio Ferraguzzo, che è un visionario, un professionista serio e geniale, basta vedere il lavoro che sta facendo coi Måneskin. Così si è data un'opportunità a un'emergente, e mi auguro abbia chance anche a Sanremo, perché ha del talento. Ma gli altri?”