Erano due anni, ha precisato, che non toccava i tasti di un pianoforte. Non un dettaglio da poco per chi, da sempre, era abituato a suonare per diverse ore al giorno tra lo studio, le prove e le esibizioni. Ma nella vita di Giovanni Allevi, uno dei musicisti italiani più conosciuti anche all’estero, a un certo punto è cambiato tutto: "Non ci girerò intorno: ho scoperto di avere una neoplasia dal suono dolce: mieloma multiplo, ma non per questo meno insidiosa". Ma a 19 mesi di distanza, il musicista originario di Ascoli Piceno, ora 54enne, sul palco dell’Ariston ci è tornato per dimostrare che, nonostante le difficoltà, continuare a vivere e anche sorridere, non solo è possibile ma è necessario. Il suo discorso, però, non ha convinto tutti, così come la sua esibizione musicale, quest’ultima una costante durante l’arco della sua carriera. Così, abbiamo chiesto un parere, emotivo e tecnico, a chi la musica e il pianoforte lo conosce bene. Si tratta di Sergio Cammariere, musicista virtuoso e cantautore raffinato, il quale ha speso soltanto parole di elogio verso il collega: “È stato molto coraggioso a raccontare quello che ha passato dando forza a tutti quelli che, come lui, si trovano a combattere una battaglia” ha premesso Cammariere, che ieri sera ha seguito la diretta del Festival soltanto per il momento che ha visto protagonista il collega. E ha aggiunto che, oltre al dolore per la malattia, per un musicista si aggiunge il dolore per non poter creare musica direttamente: “Di certo come Allevi nessun musicista si può immaginare lontano dal suo strumento, mi immedesimo e capisco la sua sofferenza”.
Allevi, nel suo monologo sanremese, ha raccontato di avere due vertebre rotte e sulle prospettive nel percorso di cura lui stesso aveva spiegato in un'intervista del febbraio 2023: "Il mieloma mi ha lasciato delle fratture ossee in diverse parti del corpo e in particolare nelle vertebre, alcune delle quali sono inoperabili e resteranno doloranti, forse, per sempre. Allora mi chiedo cosa significhi combattere, significa resistere al dolore fisico, gli antichi greci dicevano, io posseggo il dolore ma non ne sono posseduto". E ha proseguito: “Nell’ultimo concerto a Vienna il dolore alla schiena era talmente forte che sull’applauso finale non riuscivo ad alzarmi dallo sgabello e non sapevo ancora di essere malato. Poi è arrivata la diagnosi: pesantissima. Ho guardato il soffitto con la sensazione di avere la febbre a 39 per un anno consecutivo. Ho perso molto, il mio lavoro, i miei capelli, le mie certezze. Ma non la speranza e la voglia di immaginare. Era come se il dolore mi porgesse anche degli inaspettati doni. Quali? Vi faccio un esempio. Non molto tempo fa durante un concerto in un teatro pieno ho notato una poltrona vuota. Mi sono sentito mancare. Eppure quando ero agli inizi ho fatto concerti davanti a 20 o 30 persone ed ero felicissimo. Oggi dopo la malattia non so cosa darei per suonare davanti a 15 persone”. Ma ha anche subito puntualizzato: “I numeri non contano. Sembra paradossale detto da qui, perché ogni individuo è unico, irripetibile, nel suo modo infinito. Un altro dono: la gratitudine nei confronti della bellezza del creato. Non si contano le albe e i tramonti visti da quelle stanze d’ospedale. Il rosso dell’alba è diverso dal rosso del tramonto e se ci sono le nuvolette intorno è ancora più bello. La gratitudine e la riconoscenza per il lavoro dei medici, degli infermieri, di tutto il personale ospedaliero. La riconoscenza per la ricerca scientifica, senza la quale non sarei qui a parlarne. Per il sostengo che ricevo dalla mia famiglia. L’affetto, la forza e l’esempio che ricevo dagli altri pazienti. Un altro dono: quando tutto crolla il giudizio che riceviamo dall’esterno non conta più: io sono quel che sono, noi siamo quel che siamo” ha detto alla platea dell’Ariston in religioso ascolto. E poi è tornato al pianoforte per suonare il brano Tomorrow, volendo sottolineare: “Non potendo contare più sul mio corpo, suonerò con la mia anima”. Un atteggiamento che, al di là dei tecnicismi, ha emozionato anche il collega Sergio Cammariere: “Dopo il suo monologo, così sentito e accorato, dopo le sue parole e il racconto della sua Odissea, quando si è seduto al piano mi sono commosso. Quando un musicista ci mette tutta l’anima non commette mai errori. La musica è taumaturgica e consola”.