Quando Carlo Conti parla, l’Italia ascolta, affascinata dal suo tono rassicurante e dalla familiarità con cui si approccia a ogni argomento, perfino al “sacro” Festival di Sanremo. Ma questa volta, nel podcast Pezzi, il conduttore si è lasciato andare a una dichiarazione che, passata sotto traccia, appare a dir poco problematica: “Alla commissione dei giovani ho detto: a parità di votazione, cerchiamo di agevolare le ragazze. Se ci sono un ragazzo e una ragazza, mi piacciono tutti e due, a tutti date 8 e 8, cercate di trovare quell’8,1 per la ragazza, perché secondo me c’è bisogno”, ha detto Conti al cospetto di Luca Dondoni, Andrea Laffranchi e Paolo Giordano.
Una frase che, dietro l’apparente intento nobile, suona paternalistica e, paradossalmente, denigratoria nei confronti delle stesse donne che vorrebbe favorire.
Il sessismo al contrario
Premiare una donna “perché donna” non è forse il modo più sottile per affermare che non possa vincere per merito suo? Questa logica non riduce forse la partecipazione femminile a un semplice “contentino”, sminuendo il valore artistico e anche umano delle cantanti?
Cruciani: “Caro Carlo, è una puttanata immane”
Giuseppe Cruciani, dalla sua consueta tribuna polemica su La Zanzara, non ha risparmiato Conti: “Non c’è bisogno, caro Carlo, dammi retta, è una puttanata immane. Se due persone si equivalgono, cercate altri criteri, ma non c’entra niente il sesso. Se fossi uno escluso, io farei ricorso. Da queste piccole puttanate si fa il Paese, perché si parte dalla commissione di Sanremo e si arriva alle quote rosa dappertutto”.
Cruciani, come quasi sempre, coglie il punto: una competizione artistica basata su criteri non artistici rischia di trasformarsi in un esercizio di politicamente corretto vuoto, che nulla aggiunge al reale dibattito sulla parità di genere e anzi diventa parodia di sé stesso. Perché qui non stiamo parlando di cose importanti, di lavoro, di parità in famiglia, al limite di politica (che però si avvicina pericolosamente a un carrozzone in stile Sanremo): stiamo parlando di canzonette. La proposta (anzi il diktat) di Conte di “cercare quell’8,1” non emancipa, ma infantilizza. Non rende giustizia alle cantanti donne, ma le trasforma in simboli di una battaglia che, in quel contesto, rischia di apparire forzata.
E mentre Conti somministra strategie di “inclusione” a Sanremo, all’estero nomi come Taylor Swift, Beyoncé e Billie Eilish dominano le classifiche globali senza bisogno di “8,1” regalati. Quando gli viene chiesto di nomi italiani altrettanto dirompenti, Conti cita Anna, giovane promessa del rap che non parteciperà al Festival: “Credo che abbia un manager molto intelligente che la vuol far crescere”.
La battaglia per la parità non si combatte regalando un punto decimale, ma creando opportunità reali e valorizzando il talento, senza scorciatoie o false parità. La verità è che Sanremo non ha bisogno di quote rosa. Ha bisogno di artisti capaci, di canzoni che raccontino qualcosa, di performance che emozionino. Premiare una donna solo perché donna non farà altro che togliere valore al suo successo, riducendolo a una concessione politica. E se ci saranno più uomini, pace, non cambia nulla: forse Conti dovrebbe ricordare che Sanremo non è una crociata. È uno spettacolo. E lo spettacolo, per essere autentico, non può piegarsi a logiche che tradiscono la meritocrazia e la capacità artistica. Non sappiamo se il pubblico italiano meriti di più, ma le donne della musica italiana, sicuramente, meritano di meglio di questi trucchetti controproducenti.