Wislawa Szymborska nasceva cento anni fa. Cosa sia la poesia? Nei suoi versi: "Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo / come alla salvezza di un corrimano". Più volte tacciata di essere troppo popolare, troppo semplice, troppo apprezzata, la poetessa polacca vincerà il Nobel nel 1996 "per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d'umana realtà". Tuttavia resta una voce divisiva, comunemente ed erroneamente associata a palati grossolani e lettori profani, mentre gli esperti optano per altri lidi poetici. Abbiamo chiesto alla poetessa Linda Del Sarto, che di recente ha tradotto per Adelphi Canzone nera, il volume che raccoglie le poesie giovanili di Szymborska, cosa la poesia ha ancora da imparare da una poetessa di tale statura e cosa voglia dire confrontarsi con una voce del genere e poi continuare a scrivere.
Cento anni dalla nascita di Szymborska. Cosa non hanno ancora capito della sua poesia?
Non credo ci sia molto da capire. Credo che Szymborska sia davvero di tutti: di chi non è solito leggere poesia come di chi ne è un forte lettore. Perché la sua poesia è stratificata, si può interpretare a più livelli. Si può leggere con leggerezza o soffermarsi, andando più in profondità. La sua forza sta in questo: sa parlare di grandi temi senza fronzoli e manierismi. Perciò arriva forte e chiara a tutti.
Cosa significa tradurre per la prima volte le sue poesie? In che modo sono diverse dalle sue poesie della maturità?
Tradurre la giovane Szymborska per me è stata un'esperienza bellissima. Mi sono trovata di fronte ai testi di una mia coetanea, mentre traducevo. Certo, ancora acerba; ancora alla ricerca della sua voce. Il linguaggio che lei utilizza in "Canzone nera" infatti è ancora ampolloso, a tratti, sperimentale e dai toni patriottici, ben poco cristallino e universale, quindi, rispetto ai testi della maturità che noi tutti conosciamo. Sono diversi anche i temi: qui si parla prevalentemente della Storia con la S maiuscola, del dolore, dell'esperienza della guerra.
Ci sono poeti viventi che hanno saputo raccogliere l'eredità di questa poetessa?
In Italia ritrovo qualcosa nella penna di Vivian Lamarque. Ma non credo ci siano suoi epigoni dichiarati... Nel nostro panorama letterario siamo abituati forse a un maggior manierismo formale.
Cosa rende davvero grande la Szymborska?
L'umiltà (nella scrittura e nella vita), l'ironia, la capacità di far sentire meno soli.
Confrontarti con una poetessa di questo livello e pubblicare per Adelphi cosa comporta sul lavoro di una traduttrice e poetessa, è il caso di dirlo, di tutt'altra generazione?
Comporta un gran senso di responsabilità misto a grande soddisfazione. Mi sento fortunata, per me è davvero un sogno realizzato. Ho iniziato a studiare polacco a causa sua; volevo arrivare a leggerla in lingua ma mai avrei pensato di cimentarmi direttamente nella traduzione dei suoi testi. Sono di un'altra generazione, certo, ma come dicevo ho sempre sentito la Szymborska degli anni di "Canzone nera" molto vicina a me anagraficamente. Entrambe giovani, poco più che ventenni, con la propria strada da trovare. Spero che mi porterà fortuna per il futuro! Di sicuro vorrei continuare a tradurre poesia.