“Mai mettere in discussione il fatto che mediamente fanno 8, 10 figli a testa… certi popoli dovrebbero imparare a comportarsi da esseri umani e non come conigli in riproduzione”. Dice Falco sulla pagina Instagram della 01 Distribution, che si è occupata della distribuzione nelle sale. Per noi italiani le ragioni di chi intraprende la traversata del Mediterraneo sono difficili da comprendere. Guerra o povertà: la spinta a muoversi è sempre violenta. Perché affrontare quel viaggio così pericoloso se non per una questione di vita o di morte? La questione, però, sembra essere proprio la vita. Io Capitano di Matteo Garrone sarà presentato al Festival di Venezia il 6 settembre e arriverà nelle sale italiane il giorno dopo. Il film è girato tra Marocco, Senegal e Italia e, oltre ad Archimede, la casa di produzione fondata dallo stesso Garrone, hanno partecipato alla sua realizzazione anche Rai cinema, Tarantula e Pathé films. Al centro della narrazione ci sono due giovani di Dakar, Seydou e il cugino Moussa, neanche maggiorenni quando decidono di intraprendere il cammino verso l’Europa. Una terra in cui sognare qualcosa di diverso. Dario, ancora su Instagram, commenta con acume questa loro scelta: “Scappano dalla guerra ma guarda caso puntano sempre in Europa”. Guarda caso… Ma sì, lasciamoli passare dalla Turchia, terra di opportunità e uguaglianza. Ci farebbe sicuramente stare meglio. In un’intervista al The Guardian, Garrone ha detto che l’Africa subsahariana è spesso dimenticata dalle narrazioni correnti sul tema delle migrazioni. Una popolazione giovane abita quelle zone. Persone pronte a viaggiare per trovare un futuro diverso. A muoverle è la curiosità e non solo la fame: i due protagonisti, infatti, sono due musicisti che già si immaginano mentre firmano autografi dopo i loro concerti. Nonostante quest’orizzonte di speranza, il viaggio reale è costellato di violenza. Uno dei due ragazzi viene ingaggiato dagli scafisti libici: sarà lui a guidare l’imbarcazione in mare aperto, verso le coste italiane. Lui è il capitano. Il film trae spunto da testimonianze reali di persone che hanno davvero compiuto il viaggio attraverso l’Africa in direzione dell’Europa. I racconti dei sopravvissuti sono stati raccolti dallo stesso Garrone, Massimo Ceccherini (di nuovo collaboratore del regista dopo Pinocchio) e Andrea Tagliaferri. Un materiale organizzato in una sceneggiatura che si preoccupa di far emergere la verità della storia, carne viva di un’avventura che in molti casi si conclude in maniera drammatica. Un’odissea raccontata da coloro che ne prendono parte. L’unica epica possibile nel nostro presente. “Propaganda!”, vomita Luca. Prima ancora di vederlo, già si sparano sentenze. Se non è propaganda questa…
Quella appena trascorsa è stata un’estate (l’ennesima) in cui il tema dei migranti è stato al centro del dibattito. I sindaci hanno manifestato il loro disappunto nei confronti del governo: le risorse sono poche, le strutture inadeguate e la mediazione culturale non sufficiente. Comuni di destra e sinistra hanno sottolineato la necessità di coordinamento da parte dell’amministrazione centrale. Da giugno fino a metà agosto ci sono stati circa 700 sbarchi al giorno. Nei primi otto mesi del 2023 il numero totale degli sbarchi è stato lo stesso di tutto il 2022. Abbiamo superato già quota 100 mila. Siamo solo a settembre ma la quota di minori non accompagnati ha già superato il totale dell’intero 2021. Quasi 21 mila minori presenti sul territorio italiano. Più del triplo rispetto ai posti disponibili nelle strutture del sistema di accoglienza italiano. I bambini morti, nel frattempo, sembrano essere 289 (dato di luglio). Gli annegati complessivi più di 2000, secondo stime probabilmente a ribasso. Una situazione che aumenterà in maniera decisa a causa della crisi climatica. Inutile ricordare i dati forniti dalla Banca mondiale: entro il 2050, 216 milioni di persone potrebbero essere costrette a lasciare il proprio paese. Per noi occidentali, che abbiamo preteso l’universalità del diritto, questo dovrebbe essere inaccettabile. Alcune libertà appartengo all’essere umano in quanto tale. Non è specificata la provenienza. Altroché pluralismo. Per noi il vero e il falso, quando parliamo di individui, sono come l’acqua e l’olio: non si mischiano mai. Non ci accorgiamo di quanto la nostra definizione di “universo” sia limitata. Un microcosmo che pensa di essere il tutto. Riduciamo o allarghiamo il confine del nostro mondo a piacimento, a seconda delle esigenze. Atteggiamento da sempre riassunto nel geniale motto: “Aiutiamoli, sì, ma a casa loro”. La parafrasi bonaria di un pensiero che mira solo all’allontanamento di chi consideriamo “culturalmente incompatibile”, per utilizzare una formula coniata da qualche giornalista fuori dalla storia ma ugualmente col culo fisso in televisione. Meglio pagare la Turchia, dunque. Inoltre, con gli ultimi accordi presi a giugno, saremo costretti a versare 20 mila euro per ogni rifugiato che decidiamo di non accogliere.
Polvere lasciata sotto il tappeto. Una metafora che stride e che fa venire la nausea: stiamo parlando di persone non di pulizia della casa. Cifre, statistiche e previsioni. Stime che, nel migliore dei casi, prevedono meno sbarchi. Non importa se questi siano diminuiti a causa delle partenze ridotte o dei naufragi. Il cimitero del mediterraneo è gratis e ci risparmia le spese di smaltimento. Le istituzioni, non prendiamoci in giro, devono tener conto dei dati e non lasciarsi andare a retorici sentimentalismi che renderebbero ancora più grottesca l’azione europea. Ma cosa resta di tutto ciò a noi cittadini. Dove si nasconde l’umano? Ecco, allora, che parlare di arte e di cinema trova ancora un senso. Abbiamo ancora bisogno di vivere il dolore del nostro presente. Il cinema ci fornisce un’opportunità per guardare in faccia il mostro, mantenendo la giusta distanza per non esserne divorati. L’arte non guarisce le ferite. Un cinema che fornisce l’immagine di un mondo a lieto fine è falso. Una pagina che si definisce nella bio “per animi poetici” (così si definisce nella bio) commenta il trailer del film su Instagram: “Sembra che il cinema italiano sappia raccontare solo storie di immigrazione, come se non ci fosse nient’altro che vale la pena raccontare”. Ci sfugge l’elenco dei film che negli ultimi anni hanno riempito le sale parlando di questi temi. Io Capitano di Garrone ci fa capire, al contrario, che c’è bisogno di più cinema, di più arte. Perché lì possiamo scoprire l’umano. Uomini e donne vivi, in carne e ossa. Consapevoli delle statistiche, certo, ma consci del fatto che quei numeri respirano.