Sono appena tornata da un viaggio a Parigi e una visita al Louvre. A parte aver voluto ricreare la famosa scena della corsa all'interno del museo riprodotta nel film The Dreamers (fatta in precedenza da Bande À Parr, anche se alla mia generazione si è fermata a The Dreamers), esperienza che chiunque abbia visto quel film e poi fatto visita al Louvre, penso abbia voluto rivivere almeno una volta nella vita, non mi è rimasto molto altro. Il Louvre mi ha suscitato solo un gran fastidio, una sorta di orticaria per chi è amante e studiosa di arte. So che questo è un inizio piuttosto incisivo e che potrà turbare alcuni lettori, ma il mio intento è stimolare una riflessione più ampia: qual è il ruolo dell'arte in un'epoca dominata dai social media e dall'overtourism, in cui sembra essere più importante dimostrare di esserci stati, piuttosto che vivere realmente l’esperienza? Parto da una domanda che si pone più verso l'alto, ovvero, qual è il ruolo di chi nell'arte ci lavora, nei confronti di questo scempio? Cosa può fare chi nell'arte ci lavora per tutelare questi beni e questi luoghi? Ora vi spiego perché il Louvre mi ha provocato rabbia e irritazione. Da studentessa di Belle arti e da amante dell'arte, in ogni sua forma, ho trovato al suo interno tanta estetica, tanto marketing, tanta fuffa e poca valorizzazione dei loro beni culturali, che sono altissimi e di grande valore. Il Louvre è un micro mondo che gira intorno alla Gioconda di Leonardo da Vinci. Appena entri, la mappa indica immediatamente la posizione della Gioconda, ignorando molte altre opere altrettanto, se non più, importanti. Lungo il percorso è pieno di cartelli – esattamente come se fossi su un'autostrada – che segnalano la stanza e la direzione esatta per raggiungere la Monna Lisa, creando un fiume di persone che corrono e si accalcano per entrare nella sala 711. Sì, ricordo ancora quel numero, tanto l'ho visto ripetersi lungo il tragitto.
Entrare nella sala è la parte più dolorosa, per chiunque studi arte, un quantitativo indefinito di persone tutte ammassate di fronte a una recinzione, molto simile alla transenna dei concerti, che dista dal quadro qualche metro, creando una sorta di mercato del pesce. Tutti si spingono, la gente cerca di sorpassare, altri addirittura di imbrogliare, cercando di passare oltre la recinzione, la maggior parte ha un telefono piazzato davanti, con cui scatta foto e video, e altri ancora, si scattano i selfie con il quadro, insomma una scena indegna. Ma tutti, potete starne certi, non sono lì perché ne conoscono la storia, o la grandezza, né tanto meno l'innovazione e il genio artistico, ma solo per poter dire di essere stati al Louvre. Perché la Monna Lisa è solo uno status symbol, una sorta di check sulla lista “sono stato a Parigi, sono stato al Louvre”. Ed è un peccato, specie se poi vicino ci si trova davanti a un capolavoro come “Le Nozze di Cana” di Veronese, e lo si ignora totalmente. Un quadro immenso a cui tutti danno le spalle, perché dopo aver fotografato la Gioconda si passa oltre, senza rilevanza alcuna.
Usciti dunque dalla stanza, nonostante ci si aspetti un proseguo della visita, si viene catapultati in un negozio di souvenir, esatto, dal nulla, in mezzo a un piano, non all'entrata, non all'uscita, come in quasi tutti i musei. Subito dopo la Monna Lisa. Perché la soglia dell'attenzione da lì cadrà, ormai alla gente non fregherà più niente di proseguire nel percorso e il Louvre lo sa bene. Dunque ha trovato il suo escamotage, che non si basa sull'arte, ma sul guadagno, un negozio di souvenir. Ecco perché ho l'orticaria, perché si perde di vista lo scopo della visita in un posto come il Louvre e si smarriscono per strada tanti capolavori che invece devono essere visti, ammirati anche più della Monna Lisa stessa. Conosciuta, tra l'altro, per essere “nostra”, ignorando il fatto che sia stata “regalata”, quindi appartenga ai Francesi, mentre è sì pieno di opere italiane, fatte da italiani, che però a noi non interessano. Basti pensare alla magnificenza delle quattro stagioni di Arcimboldo, che a me hanno lasciato senza fiato, davanti alle quali non c'è mai coda o ressa, non ci sono recinzioni, e puoi stare ore a osservarle senza gente che ti spinge o ti mette il telefono davanti alla faccia. Si è parlato tanto quest'anno di overtourism, a tratti quasi troppo, sono stati tirati in ballo tanti luoghi, Barcellona, Ibiza, Tenerife, Venezia, Firenze, Bali, ma nessuno si è mai concentrato sul risvolto anche culturale che può avere questa epidemia, soprattutto per via dei social e dell'epoca dell'apparire. Non fraintendetemi, è positivo, da un lato, che ci sia molta affluenza e che la gente voglia visitare luoghi culturali e artistici, ma rimango dubbiosa sullo scopo e dunque poi sul fine e sulle conseguenze che si vanno inevitabilmente a causare in posti come questi, pure attrazioni di massa. Il Louvre ha al suo interno una quantità di innumerevoli capolavori, dai più celebri come La libertà che guida il popolo di Delacroix, La morte di Marat o Il Giuramento degli Orazi di David, per non parlare della Zattera della Medusa di Géricault, o Giovanna d'arco all'incoronazione di Carlo VII di Ingres, e gli italiani La morte della Vergine di Caravaggio o San Girolamo Penitente di Tiziano, ma si potrebbe continuare per ore. Ma la verità, è che le persone ormai vanno al Louvre solo per la Monna Lisa e per farsi le foto in cui si baciano davanti a Amore e Psiche di Canova, niente di più e niente di meno. La colpa però non è solo di Chiara Ferragni o qualsiasi altro influencer che si fa la foto davanti a un quadro - di cui probabilmente non conosce neppure il nome - per avere qualche like in più su Instagram e per postare il giusto video “aesthetic” da mettere su TikTok. La verità è che questo problema ha radici più profonde, anche dovute a una scarsa conoscenza dell'arte. Perché lo sappiamo tutti che non ve ne fregava nulla dell'ora di storia dell'arte al liceo o alle medie e la colpa, mi viene da dire, è proprio di chi la storia dell'arte la ama, la studia e ci lavora.
La colpa è “nostra” perché non l'abbiamo tramandata nella maniera adeguata, non abbiamo saputo far comprendere il suo valore, non tanto economico, ma culturale, perché bene culturale, significa proprio bene meritorio che contribuisce allo sviluppo morale e sociale della collettività. Tutto quello che ormai si sta perdendo di vista. Il modo migliore è dunque far morire questo trend e far diventare l'arte un valore, non tanto estetico e quindi fruibile solo per farci la foto, ma culturale. Siamo noi, professionisti dell'arte, a dover cambiare direzione; dobbiamo voltare le spalle alla Monna Lisa, per esempio, e volgere lo sguardo verso le Nozze di Cana, sia in senso metaforico che reale. Se siete quindi amanti della storia dell'arte e avete in programma un viaggio a Parigi, non andate al Louvre, boicottate il trattamento che riserva il museo nei confronti dei suoi capolavori, e investite il vostro tempo e i vostri soldi altrove, all’Orsay, per esempio, che ha un patrimonio, specialmente impressionista e preimpressionista, immenso. Al suo interno troverete: Van Gogh, Gauguin, Monet, Manet, Renoir, che io ho visto due volte (e comunque non basta per vederlo tutto). Andate al Centre Pompidou, che conserva opere di Dalí, Duchamp, Bauman, Magritte, De Chirico, Frida Khalo, Rothko, Otto Dix, Warhol e molto molto altro, tra Surrealismo e Dadaismo. A L’Orangerie, che nonostante sia molto piccolo, è una bomboniera e ne vale la pena, con un intero piano dedicato a Monet e poi Modigliani, Picasso. Insomma di arte Parigi è piena, basta solo sapere dove andare e farlo con la giusta consapevolezza. Perché il turismo culturale è una responsabilità e come tale va fatto con coscienza.