Spesso si dice che il cinema è la settimana arte. La definizione, ormai ben nota, usata e abusata da moltissimi, si deve in particolare al critico e poeta Ricciotto Canudo, che nel lontano 1921 pubblicò il suo manifesto cinematografico, intitolato proprio “La settima arte”. Da allora sono passata ormai oltre cento anni, eppure la cinematografia continua ancora a sorprendere, ammaliare, ma anche a far discutere, non solo nel mondo Hollywood e nei grandi festival, spesso così lontano dalla percezione della gente ‘comune’, ma anche e soprattutto tra gli appassionati cinefili, i registi e i filmmaker indipendenti, che cercano di portare avanti progetti autonomi, lontani dalla ‘massa’, con idee originali e coraggiose. Proprio all’insegna del cinema indipendente, ogni anno, nel comune di Santarcangelo di Romagna va in scena il Nòt Film Fest, dove, anche quest’anno abbiamo partecipato come ospiti, avendo l’eccezionale opportunità di conoscere tantissimi artisti, attori, registi, produttori e non solo, da tutto il mondo. Nell’edizione di quest’anno – dal 6 all’11 settembre 2024 - infatti, l’intero progetto, ideato e organizzato da Alizé Latini e Giovanni Labadessa, ha riunito insieme centinaia di persone provenienti da 29 Paesi, con oltre 90 proiezioni in gara. Ma cosa pensano dell’industria cinematografica al giorno d’oggi i suoi diretti ‘protagonisti’? Come viene percepito il sempre maggiore uso dell’intelligenza artificiale in campo artistico, musicale e visuale? Come vengono viste le critiche da parte del pubblico verso l’uso (o il non uso) del politicamente corretto nel linguaggio o nella scelta dei personaggi? In breve, cosa ne sarà del cinema indipendente in futuro? Lo abbiamo chiesto a cinque diversi artisti, ospiti di Nòt Film Festival 2024. Tra loro: il regista e attore Chase Joliet e l’attrice e produttrice Steph Barkley dalla California, il regista e attore Luke Spencer Roberts da Los Angeles, ma anche, ovviamente, due artisti italiani, tra cui il regista, attore e fotografo Brando Pacitto e il cantautore e polistrumentista Ainé, dove ognuno ci ha dato il suo punto di vista diverso e originale, sulle medesime sette domande.
Luke Spencer Roberts
Regista e attore, si occupa di cinema oltre “dieci anni” come lui stesso ha cercato di dirci in italiano con un divertente accento inglese. Nato negli Stati Uniti e attualmente stanziato a Los Angeles, ha vissuto in varie parti del mondo, a causa del lavoro dei genitori, che fanno i diplomatici, per cui non si definisce proprio di “LA” ma piuttosto come un “cittadino del mondo, di ogni parte”. Al Nòt Film Fest ha presentato in anteprima europea il film “The Duel”, diretto da lui, assieme a Justin Matthews, già distribuito in America e Australia e molto acclamato dalla critica. Nel film recita, come protagonista, l’attore Dylan Sprouse, diventato famosissimo da bambino dopo la partecipazione alla serie tv di Disney Channel “Zac e Cody al Grand Hotel” e oggi star di fama mondiale, oltre che amico personale di Luke Spencer Roberts.
Luke, che cos’è per te il cinema in tre parole?
“Stai cercando di farmi dire “La Dolce Vita”? (ride). Tre parole direi: davvero fottutamente difficile. (Really fucking hard in inglese). Guardare un film non è difficile, ma lo è farlo. È incredibile.”
Che cos’è allora il cinema indipendente?
“Con le cose indipendenti, con il lavoro indipendente, devi pensarla un po’ come con gli alcolici: possono essere il meglio, ma anche il peggio, possono essere velenosi, ma possono anche essere pezzi di arte. Può essere di tutto, per questo il cinema indipendente è importante, anche se è difficile, perché con il cinema indipendente non sai cosa ne otterrai.”
È difficile lavorare nell’industria cinematografica oggi?
“Sì, è difficile. Notoriamente difficile. Ci sono centinaia di persone che vogliono fare questo lavoro, anche per questo è difficile. Penso che non bisogna pensarla solo come un’“industria”, anche se spesso usiamo questa parola, soprattutto in inglese – diciamo THE Industry – ma secondo me non è solo quello. Io la intendo quasi più come il lavoro dell’agricoltore: quando hai un tuo frutto, lo coltivi e lo crei nella tua terra, poi lo porti al mercato per mostrarlo e venderlo agli altri. Non è un’industria in senso tradizionale, ma una forma d’arte.”
Cosa pensi dell'uso dell'intelligenza artificiale sempre più diffuso nel cinema, nella musica e nell’arte? È uno strumento utile oppure un qualcosa che rischia di uccidere la creatività?
“Hai presente i film di "Terminator"? Ecco, quella è la mia idea. Uccidi i robot (Kill the Robots nda). Uccidili, prima che loro uccidano te. Uccidili ora. Non farli, smetti di produrli, non farne di più. Stop, stop, stop. Anche se miei colleghi, tra cui Dylan che è un mio grande amico, la pensano diversamente e vedono l’AI più come un’opportunità. Secondo me però, se puoi fare qualcosa con mano umana, con gli esseri umani, ecco, allora usa loro. La gente ha ancora bisogno di lavorare al mondo. Nel cinema poi, se l’AI influenza il lavoro, l’arte, è solo colpa nostra.”
Hai un film preferito? E un film o un regista che invece non ti piace?
“Sì, "Ritorno a Cold Mountain" di Anthony Minghella. Una Bellissima storia d’amore, con l’ambientazione nell’America del sud, il cast… Mi piace. Molti attori sono inglesi, come mia madre. Invece per un film che non mi piace, penso che nessuno debba dirlo così, è meschino. Penso che se qualcosa non ti piace, puoi semplicemente spegnere, o se sono colleghi (registi, nda) glielo vado a dire. Ma non mi piace dirlo pubblicamente. Lavoro anche io in questo settore e so quanto sia difficile. So quanto è brutta la critica e rispetto il lavoro altrui. Anche se un film non mi piace, so quanto ci hanno provato, quindi non hanno bisogno di sapere se non mi è piaciuto.”
Cosa pensi del politicamente corretto nel cinema?
“Io non sono bravo a usarlo, ma penso che sia una cosa soggettiva, dipende dalla persona. Credo che sia giusto poter dire quello che pensi, a patto di non ferire gli altri. Però, vivo anche a LA, dove ci sono molte persone più “disciplinate”, che dicono che puoi fare questo, e non quello… Non lavoro molto bene con loro. Penso che in un Paese libero, se senti qualcuno lamentarsi del politicamente corretto, puoi rispondere. Puoi fare un altro film, che non sia politicamente corretto, o puoi dire che non ti piace. Però non devi fare il sessista, il razzista, l’omofobo, il cogli*ne. Questo no, ma non ha niente a che fare con il politicamente corretto. Semplicemente, non fare il n*zi. (ride) Pensa a uno show comico come South Park: c’è gente che se ne lamenta, ed è vero, ci sono episodi politicamente scorretti, ma sono in tv. Alla gente piace e va in onda da anni, vuol dire che funziona. Molta gente, d’altra parte, parla del woke ora, o è proprio woke, ma è il pubblico. Il pubblico decide.”
Cosa significa per te essere a Nòt Film Fest?
“Mi piace davvero molto. È la prima volta che vengo, ma mi piace l’atmosfera comunitaria, si sta tutti insieme. A volte è un po’ spiacevole avere a che fare con sconosciuti “casuali”, quando non vedi l’ora di andartene via alla tua stanza d’hotel; ma qui sono stati tutti cordiali. Si parla, ci si scambiano idee, ed è sempre bello. Ho incontrato un sacco di registi, filmmaker, attori fottutamente bravi, gente interessante.”
Chase Joliet e Steph Barkley
Chase Joliet è un regista e attore statunitense, vincitore del John Cassavetes Award. Nel 2016 ha prodotto il suo primo lungometraggio “Krisha”, e negli anni ha lavorato con il regista Terrence Malick in diversi progetti, tra cui “To the Wonder”, “Voyage of Time” e “Song to Song”. Steph Barkley è un’attrice, produttrice e filmmaker, anche lei statunitense, che ha recitato in diversi film fra cui “Confess” e “The Normal Herr”. Lei e Chase vivono in California e sono una coppia sullo schermo, così come nella vita e al Nòt Film Fest 2024 hanno presentato il film “Grapefruit” (2023), di cui Chase è regista e attore protagonista e Steph attrice protagonista.
“Grapefruit” è un’intensa storia familiare in cui Travis (interpretato da Chase) dopo aver affrontato un devastante divorzio e un’esperienza in carcere, è costretto a trasferirsi dalla madre, un’ex alcolizzata molto eccentrica e invadente, che lo trascina contro la sua volontà al proprio gruppo di alcolisti anonimi. Proprio qui Travis incontra Billie (Steph) una buffa ex barista che a sua volta cerca di superare le proprie dipendenze, per provare a tornare a vivere “normale”. Il film, presentato in anteprima europea a Nòt Film Fest, appare all’inizio come estremamente divertente, al limite del tragicomico, per poi finire per inghiottire lo spettatore in un vortice di emozioni fortissime, a primo impatto “imprevedibili”, che spingono però a un’intima riflessione. Il tema della dipendenza da sostanze, quali alcolici, droghe o psicofarmaci, viene sviscerato attraverso le esperienze dei personaggi, con una sorpresa ancora più devastante riservata ai titoli di coda: la storia di Travis e dell’alcolismo di sua madre è ispirata alla vera storia della sua famiglia e mira e creare un messaggio “positivo e di speranza” – come ci ha detto poi Chase - per tutte le persone che nella quotidianità lottano contro le dipendenze, fisiche, ma anche emotive e mentali, cercando di ritrovare sé stesse. Proprio per questo Chase Joliet, si è anche aggiudicato il premio come miglior attore del Nòt Film Fest 2024, grazie alla sua toccante interpretazione in “Grapefruit”. Chase e Steph hanno in realtà lavorato insieme a tanti altri progetti, ma questo è il primo lungometraggio, che alla proiezione di Santarcangelo di Romagna ha riscosso molto successo.
Che cos'è per te il cinema in tre parole?
Chase: “Dirò una cosa cliché, ma penso che la vita sia arte, e l’arte sia vita. In modo speculare. Sono molto più di tre parole, lo so, ma la cosa bella del cinema è il potere di trascendere il tempo, a livello visuale, di subconscio. Eppure, è una cosa “reale”, tangibile. Non so se ha senso quello che dico, ma ecco in tre parole il cinema è “solo un momento”. Un momento nella linea del tempo.”
Steph: “Il cinema è divertente, ma soprattutto, è un’espressione che è in grado di catturare le emozioni di un’intera vita in un piccolo “frammento” di tempo. È come una capsula del tempo. Un’espressione racchiusa dentro una capsula del tempo.”
Che cos'è allora il cinema indipendente?
Chase: “Il cinema mainstream di Hollywood è una sorta di ‘casella’, una cosa da spuntare. Ma non sempre è una cosa genuina. Alcuni film bellissimi, come per esempio “Minari” – per citarne uno che ho visto - ecco Hollywood non li farebbe mai. Ma li produce il cinema indipendente. Questo per me è figo.”
Steph: “Esatto e io aggiungo che molti produttori, agenzie televisive, filmmaker, a volte sono spaventati dal fare la ‘cosa sbagliata’. Col cinema indipendente non è così, è diverso, e per questo penso sia dannatamente importante.”
È difficile lavorare nell'industria cinematografica oggi?
Chase: “Sì, è molto difficile. Molte persone vogliono farne parte e l’idea di poter creare qualcosa come un film, partendo dal ‘niente’, solo da un’idea è complessa. Però si tratta anche di lavorare con le persone, ci si aiuta, è un lavoro di comunità, di un qualcosa che ti piace davvero tanto e pensi ‘ok, voglio farlo’. L’industria in sé poi è molto dura, a Hollywood è dura, ed è dura farne parte.”
Steph: “Per me dipende da quello che stai cercando. Vuoi lavorare per diventare famoso? O vuoi farlo perché ami l’arte? Quello che intendo dire è che oggi, più che mai, se sei una persona creativa, che ama creare, che ama il processo creativo di questo lavoro – che per me è l’unica ragione vera per farlo – è davvero importante provarci e fare qualcosa. Sempre, in ogni caso e circostanza. Se quello che cerchi è solo il successo, non lo troverai mai. Molta gente pensa ai soldi, all’apparire sulle riviste, ma questo non è ciò che rende davvero felici. Per me ciò che rende felici è il processo creativo di questo lavoro.”
Cosa pensi dell'uso dell'intelligenza artificiale sempre più diffuso nel cinema, nella musica e nell’arte? È uno strumento utile oppure un qualcosa che rischia di uccidere la creatività?
Chase: “Penso che sia un pericolo per il futuro di tutto, non solo nel settore del cinema. Credo anche che per il cinema, per fare film, sia molto importante il lasciare qualcosa, l’essere in grado di trasferire emozioni. Se per esempio io in un film metto tutto il mio impegno, ci metto sentimento, e riesco a ‘passarlo’ anche agli spettatori, ad altri esseri umani, ecco, penso che questo l’intelligenza artificiale non possa farlo. L’AI può darti solo una vaga idea, ma è piuttosto un rigurgito rispetto all’intenzione reale.”
Steph: “Prendiamo un film: tutti abbiamo visto “2001: Odissea nello spazio” e sappiamo che è stato prodotto nel 1968. Quando lo vidi per la prima volta, ecco, già allora fui spaventata dal tema, dal futuro. A me l’uso dell’AI mette tristezza, capisco che qualcuno ne fa uso per ricreare alcune cose, alcune scene, magari in una produzione con poco budget è più facile così, ma io comunque non potrei farlo. Poi diventa troppo facile, come premere un bottone e avere ‘l’effetto’. È una cosa che mi turba emotivamente, perché ho fatto anche la scenografa e so quanto lavoro c’è dietro, per esempio, a un banale muro dipinto in un certo modo, creato da persone fisiche, che vengono assunte e pagate per farlo. E il fatto che vengano sostituiti dall’AI mi disturba moltissimo. Circa quarant’anni fa Fellini disse in un’intervista che il cinema era finito. Per lui era finito già allora. Oggi in realtà ci siamo noi, 40 anni dopo, ma proprio per questo bisogna crederci, bisogna credere nelle persone, lavorare con le persone, ai film e ai progetti. Bisogna supportare il lavoro ‘umano’.”
Hai un film preferito? E un film o un regista che invece non ti piace?
Chase: “Il primo film che mi viene in mente è “E.T.”, ma è una domanda difficile, mi piacciono tantissimi film a secondo dell’umore. Però “E.T” è uno di quelli che potrei vedere e rivedere. Poi anche “Boogie Nights - L'altra Hollywood”, “Paper Moon”… Però, trovo invece difficile parlare di un film in particolare che non mi piace, perché penso che ogni film sia un piccolo miracolo. Forse non sono molto appassionato dei film della Marvel, ecco.”
Steph: “ “E.T.”? Mi hai rubato la scelta! Un altro film che mi piace è “Moonstruck” (“Stregata dalla luna” in italiano), perché è ispirato a un’opera teatrale. E poi adoro “Portrait of a Lady on Fire” (“Ritratto della giovane in fiamme”). Penso di averlo visto cinque volte una mattina, tipo overdose. Per me è bellissimo, perfetto, perché parla di una storia d’amore, ma anche della forza delle donne. Invece sui film che non mi piacciono, direi i remake. Odio i remake, mi fanno arrabbiare. Voglio dire, perché devi farlo di nuovo? Non farlo, era già perfetto così com’era.”
Cosa pensi del politicamente corretto nel cinema?
Chase: “Penso che tutti meritino di avere una voce, ma anche che quando scrivo una sceneggiatura, non penso mai ad alcuni dettagli dei personaggi, come la loro etnia, l’orientamento sessuale, eccetera. Per me potrebbero essere interpretati da chiunque, basta che siano bravi, che facciano un buon lavoro. Però se per fare un film cerchi di accontentare tutti, alla fine finirai per non accontentare davvero nessuno.”
Insieme. “Devi farlo per te stesso”
Steph: “Penso che il politicamente corretto sia stupido. Per me recitare è un’arte, non m’importa di chi sei, di che aspetto hai. Se sei un bravo attore puoi interpretare chiunque. Oggi si guarda l’etnia, il colore della pelle, la sessualità… Quando vengono scritte le sceneggiature neanche le si pensano queste cose. Sono solo storie su persone. Per me tutto ciò rovina la creatività, crea prodotti ‘fake’. Poi la gente ha un problema con i social media. Oggi chiunque vuole commentare qualsiasi cosa, criticare qualsiasi cosa. Ma va bene così, perché quando fai qualcosa già sai che non piacerà a tutti e va bene così.”
Cosa significa per te essere qui a Nòt?
Chase: “Mi piace tantissimo! Sai cosa mi ha detto Giovanni? (direttore artistico e organizzatore di Nòt Film Fest nda) Mi ha detto che ha guardato 770 film per questo e penso sia fighissimo, perché conosco molti altri festival di cinema, ma lì non sempre gli organizzatori guardano davvero tutti i film. Poi mi piace l’atmosfera che c’è, di comunità, di stare insieme. Oltre 70 persone tra registi, attori, filmmakers, artisti. È un onore per me essere stato invitato.”
Steph: “Penso che questo festival in futuro sarà sempre più grande e sempre più importante perché quello che Giovanni e Alizé fanno è incredibile. Ci sono tante persone, e poi qui ci sono i veri film indie, e loro li spingono, li proiettano. È davvero un onore essere qui, mangiare tutti insieme, allo stesso tavolo. Mi sento davvero fortunata.”
Brando Pacitto
Attore, regista e fotografo italiano, conosciuto inizialmente per la sua partecipazione alla serie tv “Braccialetti Rossi”, ha lavorato con registi come Gabriele Muccino, Roan Johnson e Abel Ferrara e nel 2017 ha vinto il Nastro d’argento come miglior attore emergente. Successivamente ha esordito anche come regista e curatore dell’apparato visivo, seguendo vari progetti musicali fra cui l’ultimo, presentato proprio a Nòt: il video del brano “Ombre”, singolo del cantautore Ainé. A Nòt Film Fest 2024 ha partecipato anche in qualità di giudice dei progetti più sperimentali, nella categoria “Experimental, Music Bomb e Beyond Form Shorts”.
Brando, che cos'è per te il cinema in tre parole?
“Amore. solitudine e quotidianità”.
Che cos'è allora il cinema indipendente?
“Il cinema indipendente è comunità, che è ciò che forse manca quando entri dentro a circuiti più grossi, dove ci sono più finanziamenti, ma anche sempre meno libertà. Infatti, una realtà come quella di Nòt Film Fest, al contrario, permette di stare davanti alle persone, parlarci direttamente, scambiare idee e sentire che quello che facciamo non è una missione individualista. Questo per me è il cinema indipendente: un luogo in cui si può ancora pensare alla comunità.”
È difficile lavorare nell'industria cinematografica oggi?
“È sempre più complesso farlo come indipendenti, o quantomeno slegati da determinate logiche. Viviamo in un'epoca in cui se non utilizzi i social in un determinato modo non esisti, e questo si ripercuote molto sull'outcome, sul tuo essere presente o meno dentro un certo circuito, che può essere quello cinematografico, ma anche quello della musica e più in generale degli ambiti artistici.”
Cosa pensi dell'uso dell'intelligenza artificiale sempre più diffuso nel cinema, nella musica e nell’arte? È uno strumento utile oppure un qualcosa che rischia di uccidere la creatività?
“Secondo me è solo uno strumento, come può esserlo stato il passaggio dall'analogico al digitale. Trovo che determinate cose non potranno mai essere sostituite. Bisogna avere la coscienza di riconoscere che un atto artistico ‘bello’ può nascere anche da un margine d’errore: la fallibilità umana genera cose meravigliose e non può essere sostituita da un computer. Quindi l’IA è solo uno strumento, anche molto interessante, ma sinceramente non mi spaventa.”
Hai un film preferito? E un film o un regista che invece non ti piace?
“Film preferito ni… “Un mercoledì da leoni” di John Milius. Però non c’è un film che proprio ‘non mi piace’. Trovo sempre qualcosa di interessante. Non ho mai visto un film e ho pensato ‘che schifo’; anche nell'orrido trovo sempre una ‘gemma’, una componente che mi dà qualcosa.”
Cosa pensi del politicamente corretto nel cinema?
“Domande difficilissime. Una follia! (Ride) Trovo che ci debba essere un riguardo per ciò che è la rappresentazione, quindi determinate cose possono essere raccontate solo da determinate persone, che conoscono quella realtà. Bisogna rispettare i punti di vista. D'altra parte, penso che censurare troppo rischi di rendere sciapo il confronto, soprattutto per quanto riguarda il linguaggio. Nel mondo succedono ancora certe cose, che hanno un certo linguaggio: per esempio, se fai un film sui neofas*isti a Roma, loro dicono certe cose e lo devi far vedere.”
Cosa significa per te essere qui a Nòt?
“Sono incredibilmente felice di farne parte perché è una realtà meravigliosa. C'è gente da tutto il mondo ed è incredibile anche pensare che tutto questo succede in un paesino in Emilia-Romagna. È folle ed è un modo bellissimo di divertirsi e di fare conoscenze attraverso il cinema”.
Ainé
Al secolo Arnaldo Santoro, è cantautore, polistrumentista e uno dei maggiori esponenti del genere R&B in Italia. Ha iniziato a occuparsi di musica a 11 anni, dopo aver scoperto il video di “Thriller” di Michael Jackson – come lui stesso ci ha raccontato – arrivando a pensare di fare l’artista, col sogno di suonare, cantare e ballare. Formatosi alla Berklee College Of Music di Boston, è stato scelto come opening act di artisti come Solange, Masego, Robert Glasper e Bilal oltre a diverse collaborazioni con Giorgia, Marco Mengoni e molti altri. A Nòt Film Fest ha presentato il videoclip musicale del suo ultimo brano “Ombre”, ideato, curato e prodotto da Brando Pacitto, con cui hanno cercato di raccontare il rapporto che c’è tra il mondo della musica e quello del cinema. Il suo prossimo album “Leggero”, un concept album in cui ogni canzone sarà associale a un mese dell’anno, uscirà nel mese di ottobre.
Ainé, che cos'è per te il cinema in tre parole?
“Libertà, creatività, fantasia.”
Che cos'è allora il cinema indipendente?
“Sono un grande fan dell'essere indipendenti in generale, sia nella musica che nel cinema, perché credo che ci sia più spazio, più possibilità di avere libertà e creatività, più idee, più pazzie, il potersi spingere anche oltre, dove magari una grande produzione o una major, si fanno invece più problemi. Sono un grande sostenitore di chi ha il coraggio e la voglia di intraprendere la strada dell'indipendenza.”
Agli altri ho chiesto se, secondo loro, oggi sia difficile lavorare nel mondo del cinema. Il tuo settore è la musica, che ne pensi? Oggi è difficile essere musicista?
“Sì, assolutamente, è molto difficile, e penso che sia lo stesso anche nel cinema. Purtroppo, con i social, con la frenesia del mondo moderno, c’è tantissima concorrenza e, a volte, poca meritocrazia. Per di più si vive perennemente una condizione di instabilità: un giorno sei in alto, sei famoso e richiesto, e il giorno dopo sei in basso. Se vuoi fare l'artista, che tu sia attore o musicista, devi sapere che è un mestiere dove tutto può succedere. Però, purtroppo o per fortuna, siamo mossi dalla passione per l’arte, quindi non possiamo fare a meno di continuare a farla malgrado tutte le difficoltà.”
Cosa pensi dell'uso dell'intelligenza artificiale sempre più diffuso nel cinema, nella musica e nell’arte? È uno strumento utile oppure un qualcosa che rischia di uccidere la creatività?
“Penso che può essere usata a piccole dosi, ma non ne sono un grandissimo fan, perché mi spaventa l'idea di perdere l’autenticità. L’imperfezione che ha l'essere umano crea anche l'arte, in quanto tale. Insomma, quando sento una voce o vedo un video e mi dicono che è stato fatto con l'intelligenza artificiale, mi intristisco un po'. Mi rendo conto che su alcune cose è comodo e anche figo da usare, però mi auguro che non sia totalizzante, perché se no si perde l’imperfezione umana di cui l’arte ha bisogno.”
Hai un film preferito? E un film o un regista che invece non ti piace?
“Ti confesso che sono malato di “Harry Potter”, di tutta la saga. Invece non impazzisco per film colossal come “Avatar” o “Titanic”, ma quello che proprio non sopporto sono soap opera come “Beautiful”. Mi ricordo che, soprattutto anni fa, queste serie facevano un delirio, milioni di spettatori, ma io non riesco a vedere manco mezza puntata.”
Visto che ti occupi di musica, ti chiedo anche, hai un musicista preferito o a cui ti ispiri?
“Sono tanti, troppi! Però posso dirti che quello che mi ha fatto iniziare a cantare è Michael Jackson. Lui è stato essenziale per l’inizio della mia carriera, col video del brano “Thriller”.
Cosa pensi del politicamente corretto nel cinema, ma soprattutto nella musica, nel tuo caso?
“Penso che debba essere dosato. Ci sono contesti in cui è giusto, altre volte diventa esagerato.”
Cosa significa per te essere qui a Nòt?
“È un luogo in cui si sta bene: quando vengo qui mi rilasso, sto proprio “in chill” con gli amici, l'ambiente è umano e soprattutto è libero. È un ambiente realmente indipendente dove ognuno può esprimere la sua arte e non ha vincoli di nessun tipo. Poi migliora di anno in anno: l’anno scorso ero venuto come ospite, invitato da amici, e già mi era piaciuto tantissimo, c’è un’atmosfera unica. Quest’anno è addirittura meglio e abbiamo presentato il nostro progetto con Brando Pacitto.”