"Rock 'n roll never dies". È questo il motto che Damiano dei Måneskin spacciava a mezza Europa in Eurovision contesto, solamente un anno fa. Un palco da cui la band, sottotitolata dei miracoli, ha spiccato letteralmente il volo, raggranellando numeri impensabili, titoloni in prima pagina, opening prestigiosi (Rolling Stones), ospitate a stelle strisce, e via discorrendo. Star dietro alla loro escalation è impresa alquanto faticosa, visto che gli intrepidi rimbalzano ormai da un'annata e più da un palco all'altro, da un continente all'altro, senza fermarsi un momento (questa sera sono di nuovo da Jimmy Fallon). E ovunque sono hola, applausi e pacche sulle spalle. La luce santa che accompagna la loro ascesa sembra non avere fine. In fondo i quattro sono fighi, carismatici, talentuosi, e pure internazionali. Cos'altro chiedere a dei ragazzi di 20 anni che suonano e cantano?
Ah sì, c'è quel piccolo particolare: i nuovi brani. E il rock mandato a puttane.
E qui faccio una rapida inversione di marcia. Un anno e più fa è uscito il loro secondo disco, "Teatro d'ira V.I", che contiene anche la vittoriosa eurofestivaliera "Zitti e buoni", e altri pezzi fatturati con dignità. Un lavoro, insomma, che si faceva commentare, e senza forzature, in chiave più che positiva, dove s’intravedeva eccome la loro anima rocchettara. Ma senza crogiolarsi su un disco passato, lo uso a pretesto solo per allegare una breve, ma doverosa parentesi, annessa alla sua gestazione.
Ai quei tempi i Måneskin erano ancora liberi.
Per quanto libero può essere un gruppo che affida le sue imprese ad altri, dal produttore/manager a tutto il cucuzzaro della Sony. Uno staff che opera alla meglio, non c'è che dire, ma che appena ha fiutato il salto americano, ha chiuso in cantina la qualità per dedicarsi al puro marketing (incluso il Gucci style). Per carità, di pubblicità si vive, non è forse l'anima del commercio? E d'altronde, anche i Måneskin sono un prodotto di mercato (come qualsiasi progetto artistico), che sorprendentemente riusciamo ad esportare all'estero. Con buona pace di detrattori e snobbisti, i romani funzionano, punto. Ma appunto, sembra che dall'Eurovision dello scorso anno, musicalmente parlando, non ne abbiamo azzeccato mezza. Nonostante la "We're gonna dance on gasoline", confezionata per aiutare l'Ucraina, facesse ben sperare, post tonfo di "Mammamia". Ma adesso, col nuovo singolo, "Supermodel", presentato pure in pompa magna nella finale dell'Eurofestival made in Italy, non si riconosce più nemmeno la loro identità. Tant'è che mi sono chiesta: ma sono davvero loro o piuttosto la copia fake che ci ammorba i coglioni a giorni alterni?
E andiamo dunque al nuovo brano. Mercato chiede, Måneskin rispondono. Come da copione, il pezzo è ben confezionato, ma punta più alla forma che alla sostanza, e a una poppizzazione della band che lascia sinceramente disorientati. Come se fosse pronto e impacchettato per il prossimo Coachella, a sostituire la cover "Beggin'". Sì, va bene sperimentare, ma un filo di coerenza in più non guasterebbe, perché qui di rock non c'è nemmeno l'ombra di una fava secca. E il singolo, che racconta l'amore tossico di una superficiale Kate Moss degli anni' 20, è un doloroso flop palese: numeri alla mano, si ferma al 20°posto in Italia tra le nuove uscite, e non spinge nemmemo all'estero. E tralasciando la ridicola accusa di plagio per un riff di chitarra che ricorda "Smell Like Teen Sprint" dei Nirvana (se è per questo pure la copertina li cita, ma vabbè), "Supermodel" è stato riempito di gloria solamente perché registrato a Los Angeles, negli studi di Britney Spears, Maroon 5, e affini. E si sente. E non è mica un bene. Perché cambiando produttore e affidandosi a chi ha lavorato su decine di successi pop, da "Baby one more time" a "I Kissed a girl", ne consegue una specie di fac simile in cui pure la voce di Damiano perde la sua vena.
Ed ecco sopraggiungere il finale. Seppellire il potenziale artistico dei quattro, è un delitto che grida vendetta. Ma più evidentemente, Marlena è in vacanza già da un pezzo, e speriamo che torni a casa presto. Perché di certo non si può campare di rendita in eterno. E a nulla può nemmeno la nuova cover, "If I can dream" (ben fatta, per carità), che finisce dritta nel nuovo film su "Elvis", presentato in questi giorni a Cannes, e in uscita nei cinema americani (24 giugno). Ma non è sufficiente. Per cui, "aridatece" i Måneskin original, e non i loro fake statunitensi, per piacere.