Mi sono sbagliato. E sono contento di essermi sbagliato. Credevo, l’ho scritto più volte, che anche quest’anno i grandi eventi sarebbero saltati, un ennesimo rimandare a data da destinarsi, ma i grandi eventi sono cominciati, dando letteralmente il via a una stagione senza precedenti per numero di concerti e di tour che si susseguiranno praticamente ogni giorno in ogni angolo d’Italia. Ha iniziato Vasco, e chi se no?, con un letterale bagno di folla in quel di Trento, centoventimila persone accorse con la voglia di prendere parte a un rito che per troppo tempo è rimasto inevaso, e a seguire tutti gli altri, da Ligabue a Campovolo, a Ultimo, passando per Cesare Cremonini, che per la prima volta andrà a Imola, a Jovanotti, di nuovo sulle spiagge del Bel Paese, Max Pezzali per una doppietta a San Siro, Salmo e tutti gli altri, non fatemi star qui a fare l’elenco diplomaticamente ineccepibile che non scontenta nessuno.
I tour sono finalmente tornati, e non solo quelli nei teatri, ripartiti già questo inverno, ma anche quelli che prevedono masse sterminate di persone, lì in coda per pisciare dentro i bagni chimici, per le tante ore passate sotto il sole e la birra presa ai baracchini, pagando in token. La famosa estate d’oro, quella che tutti indicavano come l’estate con il maggior numero di concerti e di biglietti strappati, quella del 2020, finalmente qui, viva e vegeta in mezzo a noi. Poco importa che arrivi in effetti dopo due anni di morte nera, biglietti che sono scivolati di rinvio in rinvio, di mese in mese, di Festival che hanno giocoforza presentato tutti lo stesso cast, quei dieci nomi lì l’anno scorso, altri dieci nomi, in certi casi i medesimi, quest’anno, con buona pace di tutti gli altri, poco conta, piuttosto, che nel mentre una buona porzione, non dico la maggioranza ma poco ci manca, di addetti ai lavori, le tanto decantate maestranze, decantate dagli artisti, si intende, il governo neanche sa che esistevano, siano passate a fare altro, impossibilitati a campare con quei quattro spicci dati una tantum, del tutto dimenticati da promoter e, diciamolo, anche dagli artisti stessi, almeno da quelli che avrebbero in effetti potuto aiutarli, gli artisti medi e i piccoli, a dirla tutta, non è che se la siano passati un gran bene a loro volta. La festa ha di nuovo inizio.
Certo, questo sarà un anno anomalo proprio in virtù di una ripartenza così concitata, tutti in coda a fare le date saltate nel 2020 e anche quelle del 2021, oltre che quelle pensate per il 2022, una tale sovrapposizione di date da aver costretto non pochi a rinunciare a qualche data, perché i recuperi, magari, sono finiti in uno stesso giorno del calendario. Vai poi a capire se i tanto strombazzati sold out, parlo dei sold out strombazzati nel 2019, quando i biglietti sono stati messi in vendita, penso a Ultimo, così come nei due anni successivi, saranno in effetti tali, o se ci saranno spazi vuoti, i voucher utilizzati, così come i biglietti andati persi chissà dove, a volte addirittura dimenticati, ah, cazzo, avevo comprato il biglietto per Tizio e Tizio ha suonato ieri sera, a averlo saputo prima.
Si riparte, e la cosa non può che far piacere. Nonostante le paure di quel che ci aspetta in autunno, così come l’incertezza riguardo la tenuta economica del nostro paese, passato allegramente da una pandemia al coinvolgimento in una guerra quasi mondiale, la voglia di stare di nuovo tutti insieme, a cantare a squarciagola, volendo anche a ballare è tanta, talmente tanta da diventare quasi un gesto catartico, risolutorio.
Risolutorio perché la speranza, diciamo pure la certezza, via, siamo ottimisti, è che non torneremo più a vivere un periodo tanto oscuro, seppur la pandemia non è sparita ci stiamo imparando a convivere, credo, o così ci stanno comunque raccontando, e in virtù di questo non dovremo più, adesso circoscrivo il mio sguardo, magari anche in modo egoistico, al giardinetto del mondo dello spettacolo, quello nel quale opero, parlare di portare pazienza, di stringere la cinghia, di tenere duro in attesa di tempi migliori. Non ci sarà presumibilmente mai più una estate come questa, perché non ci sarà più una tale sovrapposizione di date da recuperare, certo, e perché la crisi che la pandemia, prima, e la guerra, poi, con i tanto temuti e consistenti aumenti del gas e della luce, di conseguenza dei prezzi di qualsiasi cosa, concerti compresi, ha reso endemica si farà sentire, già ora è evidente che le prevendite dei concerti non funzionano più, in questo metteteci pure la prudenza di chi nel 2019 ha comprato qualcosa che ancora non ha potuto vedere e ascoltare. Sarà il caso, ma questo è un discorso che andrebbe esteso anche alle major della discografia, lì a sventolare guadagni altisonanti, mentre è evidente che il settore è in affanno, i tanti dipendenti e dirigenti licenziati, gli artisti sempre meno presenti nei roster, i recording cost dei nuovi lavori che assomigliano sempre di più ai budget che un tempo erano riservati al buffet per un lancio stampa neanche troppo di rilievo, sarà il caso che il mondo della musica, passata la sbornia di vita e gioia di questa estate, si fermi e ragioni su quello che potrà e dovrà essere il futuro prossimo, provando a azzardare soluzioni diverse dal “tiriamo fuori altri biglietti, tanto i fan sono lì pronti a correre dietro i loro idoli”. Forse, come sta avvenendo con lo smart working nel mondo del lavoro aziendale, la pandemia ha in tutti i casi modificato il codice genetico del sistema musicale e dell’intrattenimento, indicando nuove strade che, se non lasciate in balia del caso, potrebbero rilevarsi interessanti. Si tratterà solo, per una volta, di non lasciare che le cose semplicemente succedano, e una volta successe abbandonarsi a rimpianti e lamentele.
Adesso, però, godiamoci il ritorno alla vita. A tirare le somme, ovvio, ci penseremo poi.