Cosmo è un grande artista, lo è dai tempi dei Drink To Me e da solista ha costruito un percorso artistico originale e interessante. I suoi dischi, in bilico tra un cantautorato elettronico e il mondo del clubbing, sono tutti ottime prove. I suoi eventi dal vivo sono veri e propri happening che fondono la cultura da discoteca con l’esecuzione della forma canzone. E che canzoni, oltretutto. Da Sei La Mia Città a Le Cose più Rare, Le Voci a L’Ultima Festa, quello dell’artista di Ivrea è un canzoniere davvero notevole. Qualcosa del genere, che fonda con una disinvoltura così spontanea Battiato con gli LCD Soundsystem, fino al suo arrivo non c’era mai stato in Italia.
Insomma, la musica italiana ha bisogno di Cosmo. Sorprende dunque, e mette forse un po’ di tristezza, la linea che Marco Jacopo Bianchi ha scelto di mantenere in tempi di Covid. Il settore musicale, che dalla disgregazione dell’industria discografica è diventato negli ultimi anni sempre più un eventificio, è stato tra i più travolti dalla pandemia e questo è sotto gli occhi di tutti. I primi a chiudere tutto e gli ultimi a riaprire. E, tra tutti i settori, uno di quelli che una vera e propria formula per un equilibrio pandemico non è riuscito a tirarla fuori dal cilindro.
Ci sono settori, ugualmente dipendenti dagli eventi e dalla “febbre dell’esserci” che sono stati in grado di ripensarsi con umiltà e senso di realtà (non senza preoccupazioni o lamentele). Il teatro per esempio, o il mondo della moda e quello gastronomico. Le premesse per il settore musicale italiano erano state anche buone. A qualche mese dai primi lockdown mondiali, tra Bauli In Piazza, appelli continui e il tentativo di creazione di punti di vista condivisi, c’era la sensazione che dopo decenni a vivacchiare di una rete più o meno carbonara e improvvisata, simil Far West, il settore finalmente manifestasse tutto l’interesse e la predisposizione per ragionare come una classe lavorativa. E soprattutto, forse anche più importante, come un soggetto pensante costituito da chi dovrebbe contribuire allo sviluppo intellettuale del proprio tempo, gli artisti.
Con più o meno fatica, in molti sono stati così evoluti da imbastire nuove formule per proteggere il pubblico, spesso con sofferenza e rinunce. I concerti da seduti e con gli ingressi contingentati, talvolta senza nemmeno la presenza dei bar ad evitare spostamenti ed assembramenti, questa estate sono stati la norma per moltissimi festival. Il risultato sono stati eventi e tour spesso sofferti e con un senso di inquietudine pervasivo. Ci si è messi tutti insieme, con sbigottimento e un leggero senso di imbarazzo, per far lievitare un senso di normalità che non è mai e mai più tornato. Aree estivi con ragazzi che ballavano seduti al proprio posto, security che fulminava chiunque uscisse dalla forma di nuove convenzioni, gente mascherinata seduta da sola al proprio posto o in coppia ai tavolini. Locali, circoli Arci, spazi di ogni natura, chiusi o indecisi fino all’ultimo su ogni singolo concerto. Le associazioni, i locali, i gestori degli spazi teatrali e concertistici hanno agito come ninja dall’inizio alla fine delle rassegne e delle stagioni.
Ma alcuni artisti musicali italiani, all’interno di quella che un tempo si chiamava scena alternativa, hanno un grosso problema. Soffrono ogni tanto della sindrome dell’autogestione. Quel modo di farsi voce di moti di ribellione goffi e di una tenerezza assolutamente d’altri tempi. Sono mesi che Cosmo lancia invocazioni per il ritorno della musica dal vivo. Comprensibile e assennato dalla sua posizione richiedere un dibattito sul tema. Le buone intenzioni però poco convincono ad analizzare terminologia e modalità. Cosmo chiede di unirsi in una specie di resistenza contro i poteri forti, per riprendersi la socialità, con toni roboanti e infantili.
Tutto è iniziato quando il nostro ha organizzato a marzo (e annunciato qualche mese più avanti) tre mega eventi bolognesi previsti per i primi giorni di ottobre. Inizialmente confermati, le cose hanno iniziato a complicarsi successivamente. A ridosso delle date, con biglietti già venduti e tendone già montato Cosmo ha deciso di proporre al governo i suoi concerti come un grande esperimento di funzionalità del green pass, perché le limitazioni, le stesse con cui tutti convivevamo da mesi, non si confacevano con la sua visione artistica e sociale di quegli eventi.
A questo punto ha sfoderato l’arma mediatica, ponendosi come voce del settore: lettere aperte a tutti. A Stefano Bonaccini, a Elly Schlein, a Franceschini. "La maggioranza dei musicisti e DJ - ha scritto - non possono esibirsi col pubblico seduto e distanziato. Non fa proprio parte di determinati riti, determinate culture musicali". Io ho stima per Cosmo ma credo che quelle lettere avrebbe dovuto intestarle ad un altro soggetto: il Covid.
Eventi già fissati, lettere aperte e pubblico in visibilio. Certamente senza farlo apposta Cosmo ha elaborato una strategia di ricatto. Le sue pressioni al governo e a Franceschini suonavano come: davvero far annullare un evento che gode del favore popolare facendo una figuraccia di fronte ai giovani (espressione più volte tirata in ballo) a all’Europa? Tra le motivazioni sfoderate a giustificare l’impellenza di una ripresa in quei primi giorni di settembre, Cosmo citava infatti l’implacabile paragone con l’estero. In Europa molti paesi avevano ripreso i concerti nei club, capienza 100%, senza limitazioni né mascherine. Pareva si tornasse alla vita.
Franceschini e i suoi, che non spiccano di elasticità mentale, hanno inizialmente raccolto le istanze di Cosmo, divenute simbolicamente quelle di un compartimento intero, andando nella direzione di discuterne. Il ministero, dopo un iniziale interesse nell’utilizzare i concerti di Bologna come test apripista per il green pass, ha fatto un passo indietro. A fine settembre Cosmo era furente e definiva le indicazioni del Comitato Tecnico Scientifico «Ridicole», rivendicando la sua come una battaglia di “sinistra”. A ottobre usciva un nuovo decreto che ammorbidiva i limiti per gli eventi, un contentino che seguiva criteri piuttosto confusi.
Balzo in avanti di due mesi: nelle città ispiratrici della vision di Cosmo, come Berlino, Bruxelles e Copenaghen, è il (solito) caos. Nuove chiusure, ospedali al collasso, stanziamento degli eserciti e nuove varianti dall’andamento sconosciuto con ulteriori lockdown all’orizzonte; i casi si rialzano in tutta Europa. Forse, insomma, la linea impostata dal CTS non era poi tanto ridicola.
Gli eventi bolognesi di Cosmo sono ovviamente stati rimandati ad aprile, anche per via della difficoltà di interpretare con chiarezza condivisa le linee del decreto. "Viene da pensare - aveva scritto il 20 ottobre - che sia stato fatto di proposito per bloccare il settore pur sbandierando le riaperture". Non veniva proprio da pensare che ci fosse ancora una pandemia?
È stato allora che Cosmo ha inventato una ulteriore incarnazione della sua proposta. È una cosa che si chiama Blitz Tour, un tour che sta portando in alcune città, talvolta sfruttando slot vuoti nelle programmazione dei locali (grandi, da qualche migliaio di posti). La prima data è stata all’Alcatraz di Milano il 23 novembre, seguiranno Torino e Padova. Le limitazioni sulle capienze sono ovviamente rispettate. Una volta all’interno però lo spirito dell’evento consiste nel riprodurre una serata come quelle di una volta, ossia due anni fa. Le persone (circa tremila a Milano) sono invitate ad ammassarsi, a fare casino “sudate e appiccicate”, per “sentire la ruggine scrostarsi di dosso canzone dopo canzone” e “ballare, pogare, cantare, parlare, bere, spintonarsi, cadere per terra”.
Tutte espressioni tratte dai suoi post. Una terminologia francamente liceale ma, purtroppo, drammaticamente coinvolgente. Cosmo la definisce "la nostra guerra lampo contro terrorismo mediatico e la paura". Perché non lasciare questo genere di esternazioni a Enrico Montesano? Nessuno tra i fan di Cosmo (perlomeno quelli che partecipano attivamente sui suoi social network) pare granché interessato, così come lui, alle implicazioni etiche del messaggio lanciato. Il buon Bianchi interpreta la sua musica come una specie di rito pseudo orgiastico dionisiaco e la offre al pubblico per ballare insieme dei problemi, nell’epoca in cui ballare rappresenta, purtroppo, il problema. La missione che si è auto-conferito odora pericolosamente di nichilismo. Possiede di default un’aggressività che soffoca le intenzioni di ricostruzione. Si percepisce più che altro una danza rituale sulle macerie, il che è molto triste.
Cosmo somiglia a qualcuno che, dopo l’11 settembre, va in un aeroporto internazionale a urlare: "Non mi rompete i coglioni, io i liquidi nel mio bagaglio li metto". Il dramma del Covid risiede proprio nella distruzione di una fiducia esistenziale che abbiamo sempre dato per scontata. Non si tornerà indietro in tempi brevi da questo senso di equilibrio sull’abisso. Invocare le libertà con la bava alla bocca, manifestare con rabbia adolescenziale del tutto fuori tempo massimo non fa onore alla categoria degli artisti. Se come dice qualcuno stiamo assistendo all’inizio delle nuove ere pandemiche, io fossi in Cosmo proverei, insieme con il mio pubblico, a ragionare sul senso più profondo delle emozioni umane condivise: quelle del presente e futuro, non quelle del passato. Se gli artisti devono incarnare lo spirito dei nostri tempi, negarne le difficoltà e le incombenze non mi sembra granché funzionale. E se non potremo più fare concerti come prima, li faremo in modo diverso.
Abbiamo visto in questo anno e mezzo promoter, locali, teatri, cinema, ristoratori e tanti altri fare di tutto per garantire e prima ancora inventare dei nuovi assetti compatibili con le esigenze di un mondo nuovo che non abbiamo scelto. Persone infaticabili che non hanno mai anteposto la propria indignazione personale alla sicurezza delle persone. Molti addetti ai lavori musicali si sono schierati dalla parte di Cosmo. Io, da musicista, trovo che questa impostazione sia dannosa e spregiudicata e crei esattamente l’effetto opposto a quello che si cerca di ottenere. Il settore musicale ne esce come composto da persone bizzose, che dei bambini non hanno conservato il senso di stupore ma il gusto per il capriccio.
Altrove alcuni si muovono in modo diverso. Dagli USA Neil Young, uno che di concerti se ne intende, ha detto di recente che lui addirittura non si esibirà fino a che non tornerà una normalità. "Non voglio che la gente mi veda in giro e pensi che io penso che sia tutto a posto. Io non credo che sia tutto a posto", dichiarazione che da sola racconta l’integrità di un artista che vive il proprio tempo.
Il punto fondamentale è che c’è un abisso tra noi e Neil Young e non è solo fatto d’acqua. Uno come Young sa che, anche non facesse più concerti tutta la vita, non c’è nessun problema per la tenuta della sua carriera e della sua esistenza. Cosmo invece, come altre migliaia di persone del nostro settore musicale, invoca una battaglia sociale nel nome dell’arte che svela invece le crepe di un preciso habitus professionale: mantenere una carriera musicale senza concerti in un mercato limitato, debole, frammentato e a tratti poco legalizzato è semplicemente impossibile.
Perché come dicevamo, la musica italiana è un Far West. E nel Far West sopravvive chi spara. Forse il problema, gira e rigira, sta tutto qui.
EDIT: per una curiosa sincronia, Cosmo ha annunciato l’annullamento del Blitz Tour pochi minuti dopo la pubblicazione di questo articolo. Nelle motivazioni ufficiali ha parlato di “incertezza normativa che purtroppo rende impossibile garantire a pubblico e lavoratori uno standard minimo di professionalità”. Ancora una volta colpa di tutto tranne che del Covid.