Prima ce l’hai, poi lo perdi: la teoria della vita di Sick Boy nel film di culto Trainspotting non ha niente a che fare con la carriera di Marracash, 42 anni, in uscita oggi con il settimo album battezzato "Noi, loro, gli altri" per Universal.
Profondità dei testi, temi trattati, riflessioni. Marracash è sempre meno spaccone, le storie sempre meno materiali: meno fighe e collane, più parabola sociale. Si sta bene ad essere arrivati, ma solo per un po’. Solo il tempo di capire che eri capace davvero dopo una vita passata a provarci, una consapevolezza che il rapper ha raggiunto grazia a un disco (Persona) in grado di portare alla Barona di Milano 5 dischi di platino.
Abbiamo fatto girare il disco un paio di volte e sono usciti fuori i pezzi di cui parlare, o almeno quelli di cui vogliamo parlare qui. Uno su tutti Cosplayer, perché questa è l’informazione che raccontiamo, un’attualità sempre più controversa che si basa sullo sdegno e sulla falsa accettazione. Nel pezzo c’è tutto, lui l’ha scritto in rima ma sarebbe andato bene anche in prosa. Se la prende con chi “sceglie solo le proteste monetizzabili”, quindi più o meno con tutti.
Attacca i Maneskin (Sì, punk, fluid, ma non siete i Pink Floyd. Però che bel look, che make up), attacca Fedez (biondo patriota, sui social si prodiga per noi, ma in realtà è il più merda come il Patriota in The Boys) e ci ricorda che nel 2015 eravamo tutti Charlie Hebdo mentre adesso riempiamo le parole di schwa e asterischi. Più che un pezzo, Cosplayer è un manifesto.
Un altro brano si srotola sul sample di Infinity 2008, quello stesso 2008 in cui la hit di Guru Josh Project girava con il bluetooth tra i telefonini - che non erano smartphone - e Marracash usciva con il suo primo album in major. Tempi in cui, a pensarci fa sorridere, infilare un pezzo elettronico in un disco rap non sarebbe stata una buona idea per farsi accettare da un pubblico fatto perlopiù di altri rapper. C’è anche l’arpeggio di Angeli di Vasco Rossi ad aprire Io, altra prova di stile della produzione raffinata di Marz a cui è stato affidato anche questo progetto. Pagliaccio? Va citato anche quello.
La title track è uno skit affidato a Fabri Fibra, matematica delle parole che gira attorno al concetto di Noi, loro, gli altri. “Io so solo che volevo essere uno di loro per non essere come tutti gli altri. Ma nella vita mi è successo di essere sia noi, che loro, che gli altri. Noi siamo qui a fare quello che ci piace, loro là fuori che criticano. E tutti gli altri sono intorno, che tirano avanti. Potessi scegliere? Scelgo centomila volte noi. Ma è un attimo che ti ritrovi in mezzo a loro o che finisci male come tutti gli altri”.
Il disco, almeno a sensazione, è il più solido della carriera di Marracash, perché ha tutto per diventare il più classico, quello che invecchierà meglio. Meno divertente e spaccone, meno radiofonico e da festa, ma non certo destinato al dimenticatoio in un paio di settimane come succede con buona parte del rap in uscita negli ultimi anni: quando va bene i dischi sono come libretti e riviste, da leggere una volta e lasciare sullo scaffale per sempre, quando va male sono un pezzo forte in una playlist di tendenza. Ecco, Noi, loro, gli altri è un’altra cosa.
Ed è semplicemente bello che Fabio, Marracash, ci sia arrivato esattamente al contrario del percorso canonico, perché di norma gli artisti che parlano di concetti complessi lo fanno davanti a un pubblico ristretto. Quando si allarga il pubblico, si restringe il concetto. Lui è partito raccontando la strada, le collane e la figa. È arrivato oggi a cantare i dubbi di chi ha paura di non essere solare nelle canzoni, di chi non ha due figli meravigliosi, di chi rimane solo in una competizione con sé stesso.