Prima o poi toccherà, temo, fare un ragionamento su quello che le rare vetrine che la televisione ancora offre a chi fa musica siano diventate negli anni, e magari anche sul perché la televisione sia ancora oggi guardata con interesse da un mondo che, per il resto, ha demandato tutto alla rete. Lasciando da parte la faccenda della televisione in quanto oggetto desueto, di modernariato, inseguito con estremo interesse da un mondo che poi è stato messo alla canna del gas dallo streaming, mi concentrerei, a volo d’angelo, proprio su come negli anni certe vetrine siano diventate altro da quelle che era la loro originaria conformazione, o così siano state percepite da chi ci vorrebbe o non vorrebbe andare, il pubblico, in questo discorso, lo lasciamo fuori.
Un tempo, quando la musica generava ancora economie reali, cioè si vendevano oggetti che producevano guadagni, il Festival di Sanremo era un luogo per gente che, fuori da quel contenitore, presumibilmente avrebbe avuto una vita complicata. Per intendersi, chi stazionava di suo in classifica, in genere, a Sanremo non ci andava, se non come ospite, e se mai decideva di andarci lo faceva come gesto naif, in cambio di rassicuranti garanzie di facili vittorie. Nulla di illecito, attenzione, più una qualche forma di tutela. Invito un BIG vero e non gli contrappongo nessuno in grado di scalfirne la vittoria, e se mai poi ci fosse un vero outsider, beh, amen, voce di popolo voce di Dio. Non succedeva quasi mai, infatti a Sanremo ci andavano sempre i soliti, alternandosi con attenzione, per altro, proprio per non pestarsi i piedi a vicenda. L'Eurovision, non serve sottolinearlo, era guardato da tutti come il circo trash che tuttora è, una cosa di cui ridere tra amici, di quelle che i giovani definiscono cringe.
Il Concertone del Primo Maggio, invece, e chiaramente visto che siamo subito dopo l’ennesima edizione è di quello che finirò a parlare più diffusamente, era un mondo a parte. Ci andavano artisti da Concertone del Primo Maggio, Elio e le Storie Tese ci ha fatto su un bel brano, e entrare in quel giro, faccio un esempio, per uno di quelli che solitamente andava a Sanremo era impresa impossibile, oltre che suicida. Nel senso, perché mai uno che ambiva al Festival avrebbe dovuto andare in piazza al Concertone dei Sindacati, con la gente che balla brani balcanici manco fossimo in un film di Kusturica, la bandiera dei quattro mori a sventolare da qualche parte? Meglio restare ognuno nel proprio orticello, del resto a Sanremo non si sarebbero mai sognati di chiamare la Bandabardò o i Modena City Ramblers, non scherziamo.
Poi è successo che il mercato discografico è diventato una cosa di cui ridere quasi quanto Eurovision. I numeri si sono assottigliati e con i numeri anche gli spazi che alla musica veniva destinato. Prima il file sharing e poi lo streaming ha ucciso un mercato reale, vedete le perdite miliardarie di Spotify oh voi che state per dire che in realtà la discografia è in perfetta salute, e poi ficcatevi il ditino che avete appena alzato nel culo, che è il luogo dove sempre dovreste tenerlo. A riprova che la discografia è portata avanti da improvvisatori allo sbaraglio, però, la tv ha guadagnato sempre più allure, con i discografici stessi a spingere per mandare gli artisti ai talent, a Sanremo e, perché no?, anche all'Eurovision, figuriamoci se non è diventato appetitoso per tutti anche il Concertone. Quindi, questo lo scenario, la rete devasta per sempre la discografia e come risposta la discografia guarda al modernariato, leggi alla voce televisione, per salvare il salvabile.
Come? Uniformando in tutto e per tutto i vari format a disposizione. Sanremo diventa uguale al Concertone del Primo Maggio, il primo perdendo la vocazione al nazional popolare (lo guardano soprattutto anziani, è noto, seppur una porzione di giovani tendano a guardarlo col ghigno sui denti), il secondo perdendo del tutto il taglio politico. Sì, attenzione, perché, strano a dirsi, il Concertone del Primo Maggio, quello organizzato a Roma, a Piazza San Giovanni dai sindacati, era un concerto in cui, in teoria, il tema di fondo dovrebbe essere il mondo del lavoro, mica altro. Figuriamoci, quindi, lo scalpore che avrebbe dovuto fare, qualche anno fa, uno Sfera Ebbasta con doppio rolex ai polsi a sventolare mazzette da cento euro, e figuriamoci lo sconcerto, oggi, a vedere un cast che con quel mondo lì, l’impegno, il lavoro, i sindacati, la politica, nulla ha mai avuto a che fare.
Ora, se da una parte, a fatica, si può intuire le logiche che spingano discografici e artisti a accettare di calcare quel palco seppur privi di qualsiasi coerenza, viene un po’ meno comprensibile capire le logiche che dovrebbero spingere i sindacati a accettare quel cast. Chi invece si capisce perfettamente, anche perché non ne ha mai fatto mistero, è l’organizzatore del Concertone, Massimo Bonelli per iCompany, che voleva svecchiare un cast a suo dire, forse a ragione, polveroso, andando quindi a inseguire certe mode del momento, non certo lesinando nel convocare talenti. Solo che il Concertone del Primo Maggio, mai come quest’anno, sembra un Sanremo forse giusto un po’ meno coraggioso, con una infornata dei nomi che uno si sarebbe aspettato a un Festivalbar, non certo in piazza sotto i nomi dei sindacati. Certo, direte, ma ci sono La Rappresentante di Lista, Rancore, i Coma_Cose, Carmen Consoli, vero, ma ci sono anche Rkomi, Dio santo, Rkomi, Tommaso Paradiso, Dio santo, Tommaso Paradiso, Marco Mengoni, Ornella Vanoni. Oh, dirà sempre qualcuno, ma c’è anche Cisco dei Modena City Rambler, pure con la Bandabardò, ma ovviamente il vaffanculo è troppo facile per esibirlo così, gratis.
Nei fatti vedere quei nomi lì al Concertone del Primo Maggio, quelli validi ci sono già stati tutti recentemente, gli altri, ovviamente, no, e ci mancherebbe pure altro, non fa che confermare lo sgomento, il disagio, il raccapriccio. Un tempo, per dire, uno come Tommaso Paradiso, fosse capitato anche solo a pisciare il cane da quelle parti durante il Concertone, lo avrebbero preso a calci nel culo, cercando anche il beneficio delle telecamere, oggi sembra quasi normale salga sul palco e canti. Canti, insomma, ci siamo capiti, quella roba lì che fa lui quando ha un microfono davanti.
E dire che dopo anni di concerti solo in tv, senza pubblico, a replicare tristemente il mondo là fuori, tutti i isolati, finalmente si è tornati in piazza, con la gente vera davanti, a fare baldoria come e più di prima, proprio in virtù del pregresso.
E dire che, ma qui parlo per me, il bel tempo, tornato dopo qualche settimana autunnale sputata sul nostro piatto da un Dio poco benevolo e troppo affezionato ai modi di dire, ci aveva offerto comunque una valida alternativa a stare a ascoltare Venerus o Mr Rain, per dire, perché a tutto in fondo c’è un limite.
E dire che, dopo anni in cui di donne non se ne vedeva neanche col cannocchiale, ricorderete tutti la mia campagna di sensibilizzazione #LaFigaLaPortoIo, di donne nel cast ce n’erano anche diverse, pure piuttosto valide, oltre le già citate mi sento di menzionare sicuramente la talentuosissima Angelina Mango, figlia di cotanto padre e cotanta madre, Ariete, scartata all’ultimo da Amadeus, Hu, non a caso vista di recente proprio a Sanremo, VV, e, soprattutto, le tre vincitrici del contest 1Maggio Next, Mira, la gigantesca Giorgieness, una che quel palco lo avrebbe già dovuto calcare negli anni scorsi perché invitata dagli organizzatori, non in quanto vincitrice di un contest, tre album uno meglio dell’altro alle spalle, l’ultimo, recente, Mostri, gridano vendetta, e Mille, artista retrò di grandissimo rilievo la cui Sì Signorina è una perla di rara bellezza in un marasma di musica usa e getta, con quel gusto per la citazione, l’amore per i suoni analogici, più in generale una scrittura destinata a non scomparire nel giro di un ritornello dopo venti secondi.
Il Concertone del Primo Maggio (e no, non dirò nulla della presenza di Enrico Ruggeri e di Max Pezzali, perché stimo troppo la loro carriera per tirarli dentro un pezzo che è comunque una radicale blastata) quest’anno è davvero il punto d’incontro tra presente e passato, dove il presente è questo posto desolato postapocalittico in cui Ornella Vanoni o Tommaso Paradiso sono chiamati a cantare nel giorno della Festa dei Lavoratori dal palco dei sindacati a fianco di Luché e Clementino, la sua black Pulcinella al posto di quello che un tempo sarebbe stata la black tarantella di Enzo Avitabile, e il passato è quello in cui la musica deprecabile finiva per passare tutta dal Festivalbar di Vittorio Salvetti, dove comunque sia, male che andasse, potevi ammirare le tette di Sabrina Salerno o Samantha Fox senza correre il pericolo che qualcuno di accusasse di sessismo o tirasse in ballo il MeToo. Bei tempi, quelli.