In un parco, in tarda serata, nel buio – poche le luci che illuminavano il verde e i tavoli – abbiamo ascoltato un’altra musica. “Altra”, fuor di polemica, rispetto al pensiero ormai debole e fragile di una emo-trap così pervasiva da essere diventata la carta da parati sonora di un’intera generazione. Che poi non è l’emo-trap, il problema, ma l’apparente mancanza di alternative, l’oscurità in cui le alternative tramano per provare a guadagnarsi un metro di luce o una scintilla di passione. In queste tenebre mai così accoglienti si è esibita Daniela Pes, Targa Tenco 2023 per il miglior album d’esordio, “Spira”. Prodotto da Iosonouncane, si tratta di un progetto sperimentale che trova la propria dimensione ideale in un contesto come quello di “Concorto Film Festival 2023”, rassegna in costante crescita che a Parco Raggio (Pontenure, Piacenza), in questa occasione, ha ospitato qualcosa di coraggiosamente “out-there”. Un’esibizione in cui Daniela Pes è stata fedelmente assistita da Maru Barucco, musicista siciliana che con lei ha condiviso tasti, manopole, filtri e loop.
La notte, dicevamo. Il momento in cui germogliano i sogni, in cui l’alterità – anche in un’epoca così sfacciatamente individualista – può diventare un invito sensuale e irrinunciabile. E tutto, nella musica di Daniela Pes, ti invita a uscire da te stesso, dalla tua dimensione concreta, per varcare la soglia di un mondo sospeso e privo di mappe. Arcano e futuro, di nuovo sensuale, ma della sensualità lugubre che poteva essere di Diamanda Galas. Daniela e Maru condividono un palchetto minimal, quasi un altare laico. E celebrano qualcosa di ammaliante e sfuggente perché “Spira”, per quanto reale, resta un progetto di difficile definizione, cantato da Daniela Pes (nata in Gallura nel 1992) in una lingua inventata che è una “mezcla” surreale di antiche parole galluresi, frammenti di termini italiani, vocaboli inventati di sana pianta. Suggestivo? Ci potete giurare. Pretenzioso? Forse. Ma se la musica non può essere solo teoria, la pratica di un disco come “Spira” prende vita in un concerto come quello di Pontenure, dove la gente, unita in semicerchio di fronte al palco, non sa se ballare, ondeggiare o chiudere gli occhi davanti alla voce teatrale e rampicante di Daniela, davanti a una grana sonora straordinariamente stratificata. I brani fluiscono, la musica “si muove” anziché necessariamente “muovere”. Innervata di un carattere quasi rapsodico che colpisce prima di emozionare.
Daniela Pes, dal vivo, è una piccola orchestra elettronica, dove i “driving beats” – pensiamo qualcosa di accreditabile alla techno berlinese degli ultimi 20 anni – siede accanto ai Boards Of Canada più storti, a una “folktronica” – la chiamano ancora così? – che prevede improvvise vampate di calore a chetare il subbuglio architettato, con estrema precisione, da un’ispiratissima Barucco (dal suo ultracompatto PercPad Alesis, esce sempre il suono giusto, l’evocazione giusta). Siamo al post-rave cosmico, a una festa pagana in cui Daniela modula e rimodula la voce come una Björk meno snervante o un muezzin con ambizioni più pop e meno religiose. Chiamatela avanguardia, musica concettuale, techno-ambient tinta di nuova etnica o chiamatela, davvero, come meglio preferite. Temiamo che con Daniela Pes una qualsiasi etichetta, in un mondo ossessionato dalle etichette, possa durare giusto fino al prossimo progetto. “Spira” è chiaramente un punto di partenza, uno strano anfratto da cui proviene una visione quasi mistica di un universo che, come dimensione temporale, conosce solo l’eternità. Nel momento in cui i loop fanno girare la testa e i battiti sembrano provenire dal cuore di un ghiacciaio, il verso di un gabbiano squarcia il tessuto sonoro. Quando tutto è incalzante, invece, il fiume elettronico rallenta, attirato da un orizzonte fiabesco e incantato. Sono queste soluzioni, questi misteriosi momenti di tensione e successiva liberazione, a farci vedere e sentire (ecco la concretezza del progetto) qualcosa che probabilmente non c’è. Qualcosa che esiste solo per un’ora, il tempo dell’esibizione di Daniela e Maru. Musica come ipotesi abbacinante nonostante le tenebre. Nonostante un mondo fuori che forse se ne frega perché ha altro di cui occuparsi. Là fuori cantano i numeri, soprattutto; non le voci. I numeri di uno streaming spietato, frenetico, disperato. Così Daniela e Maru, a fine performance, scappano dietro il palco, eteree. Tocca a noi provare a raggiungerle.