Il Duality Tour di Dardust approda stasera a Matera, all’interno della rassegna “Estati d’animo”, a Terrazza Lanfranchi. Una nuova occasione per abbracciare uno dei nostri musicisti più creativi. Dario Faini, classe 1976, porterà in Basilicata le sue due anime, forte di un curriculum ormai granitico sia in veste di produttore per altri, sia come produttore di sé stesso. Dall’ottobre dello scorso anno, quando uscì l’album “Duality”, Dardust propone una musica che è, appunto, dualità. Nulla a che vedere con la schizofrenia, piuttosto con la pluralità di dimensioni che un artista (vero) può offrire. Per capire Dardust nell’anno 2023 è forse opportuno partire proprio da questa doppia strada.
Il tuo spettacolo è da non perdere, però nell’epoca delle identità a senso unico te la sei cercata seria, la sfida. La dualità. Parliamone.
È una questione di coraggio, il coraggio di credere in un progetto non immediato. Il nostro Paese è dominato dal pop, dall’urban. Fino a una decina di anni fa circa la gente era più curiosa, più attenta. Per me, oggi, sarebbe stato più facile fare un album da produttore zeppo di featuring, ma ho preferito abbandonare la mia gabbia dorata e tuffarmi nell’ignoto. In due anni di “Duality” ho sempre cercato di creare spettacoli in cui le due parti, quella elettronica e quella pianistica, risultassero ben distinte. Ricordo un vecchio concerto degli Smashing Pumpkins negli anni novanta. Primo atto: Billy Corgan si presenta completamente vestito di bianco, con chitarra acustica: tutte ballad. Secondo atto: torna vestito completamente di nero, muro di chitarre elettriche, show devastante. La mia storia dice che pianoforte ed elettronica possono stare insieme, ma qui l’uno è indipendente dall’altra e viceversa.
Trovi che ci sia un problema “tutto italiano” rispetto al monologo pop (consumiamo solo o soprattutto quello) o credi che, anche globalmente, il pop abbia ormai oscurato tutto il resto?
Mi pare che in Italia ci sia una sovrabbondanza pop. Ho la sensazione che tutto il resto ansimi. Forse altri Paesi condividono la nostra medesima realtà, ma durante il tour europeo ho visto situazioni diverse. Certo, ho fatto Londra, Amsterdam, Berlino e Bruxelles, non proprio cittadine. Però l’impressione era di un maggiore dinamismo.
Stiamo vivendo un’estate furente, fitta di polemiche. L’Auto-Tune: da che parte stai?
Nell’arte non c’è una verità assoluta. Quindi se l’Auto-Tune colora il timbro vocale e viene usato in un’ottica stilistica, ha un senso. Perché in quel caso è una scelta estetica che fa assolutamente parte dell’urban-pop. Quando è utilizzato in modo solo correttivo di certo non mi affascina. Ci sono voci che con l’Auto-Tune suonano ancora più interessanti. L’importante, al di là dell’Auto-Tune, è se hai qualcosa da dire.
Rispetto invece ai live si è parlato di “finti sold-out”. E di un sistema di vendita dei biglietti abbastanza drogato o, quantomeno, poco chiaro (biglietti a prezzo pienissimo in pre-order, poi quasi regalati sotto evento). Tutti che fanno gli stadi, tutti che sparano numeri da capogiro…
Credo che ci sia una tendenza a mostrare chi ce l’ha più lungo, perdonatemi la volgarità. Per me i numeri non sono un problema, non devono diventare l’unico centro ad orientare chi fa musica. David Bowie sfidava continuamente il pubblico e il mercato. Se faceva successo con un disco, all’appuntamento successivo saltava fuori con un album che era l’opposto. Si prendeva il rischio di vendere meno. Non faceva i numeri di Madonna e Michael Jackson ma ha cambiato l’arte. Se non proviamo a creare qualcosa che vada oltre le vendite e le aspettative, io ad esempio sarei ancora vincolato a un disco da produttore con gli ospiti dentro. L’idea del live, oggi, è affetta da gigantismo. Se fai San Siro al secondo album, dove sarai tra 10 o 20 anni? Cosa puoi aspettarti di più? È chiaro che prima o poi dovrai occuparti della tua crescita artistica prima di preoccuparti se il secondo anello è tutto pieno, no?
A proposito di grandi luoghi. Il Circo Massimo è adatto o no a grandi eventi pop-rock?
Intanto è un luogo davvero brutto per vedere i concerti. Non ha gli spalti. Oltre le 20mila persone non vedi più nulla. Stessa storia per l’Ippodromo di Milano. Tuttavia credo che il valore storico di un luogo possa sposarsi con l’idea che quel medesimo luogo sia anche utilizzabile per un evento concertistico. Con un limite: non ha senso fare date con 70-80mila persone al Circo Massimo, il luogo va comunque preservato e tutelato.
Cosa pensi di Spotify che paga poco gli artisti?
Servono ulteriori passi avanti per distribuire meglio le royalties. Qualcosa è già stato fatto in merito, ma la strada è ancora lunga. Mi piacerebbe inoltre che il supporto fisico guadagnasse ancora peso. Forse lo streaming ha reso tutto troppo “facilmente disponibile”, smorzando quella sensazione di conquista che spesso caratterizza le nostre scoperte artistiche più profonde.
Hai collaborato con decine di voci e musicisti. Con quali ti sei trovato meglio?
Senza dubbio con Lazza ed Elisa. Ma anche con Jovanotti. In genere vado d’accordo con tutti, ho avuto problemi con giusto un paio di artisti, ma non chiedermi chi (ride, nda).
A questo punto devo chiedertelo! Chi?
Eh, ma io non te lo dico....