Sul caso Travis Scott e l'assalto dei suoi fan che hanno fatto tremare il Circo Massimo (e non solo), il sindaco Gualtieri corre ai ripari e ricuce con il ministro della Cultura Sangiuliano. Nessuno stop agli show, ma controlli più stringenti, scelta che relega quasi nell'angolo i toni apocalittici della direttrice del Parco del Colosseo Alfonsina Russo, sull'opportunità di tenere eventi del genere in location storiche.
C'è da dire che quello del rapstar americano è solo l'ultimo, in ordine di tempo, di live all’interno del Circo Massimo, dopo i vari Bruce Springsteen, Guns’n Roses e poi Imagine Dragons, Vasco Rossi, Ultimo e i Måneskin. Ma il caso è scoppiato solo ora, per via di quei 70mila che hanno invaso l’area archeologica esagerando e ballando in maniera scatenata, al punto tale che i sismografi della Capitale hanno registrato delle vibrazioni comparabili a una leggera scossa di terremoto. L’ultimo a esprimersi sulla questione, che ha inevitabilmente creato due fazioni opposte, è la bacchetta più rock d'Italia, Enrico Melozzi detto Melox, compositore, direttore d'orchestra, violoncellista e produttore, e soprattutto uomo delle grandi sfide, che punta il dito contro il Comune di Roma, e nel rispondere a Dagospia, in comunione col pensiero di Sangiuliano, sottolinea: “Per Travis Scott era preferibile un'altra sede, per via dello show e del pubblico che attira...”.
A proposito della polemica su Travis Scott, Dagospia dice: chi è andato a vedere i Måneskin, Rolling Stones e gli altri, non saltava?
“Non sono paragonabili, bisogna capire l'evento che tipo di pubblico richiama. Quello di Travis Scott ti devasta tutto. Vasco Rossi, Måneskin e così via, non causano problemi”.
Quindi è d'accordo con il ministro Sangiuliano: per Travis Scott meglio un'altra sede.
“Sempre per il tipo di show e per il pubblico che attira. Parliamoci chiaro, è mai scattato l'allarme terremoto per esibizioni passate? Non parliamo poi degli atti di vandalismo e degli steward accoltellati e del 14enne che ci ha quasi rimesso la vita...”
Alla fine un grande evento si è trasformato in un affaire politico.
“Succede sempre così, prima il casino, e poi il divieto, e poi la discussione. Non è un buon segno quando la cronaca scatena il dibattito; in generale l'Italia non gode di grande fama organizzativa. Invece occorre fare opera preventiva”.
Ossia?
“Non si può lasciare il Circo Massimo in mano alle agenzie. Ragioniamo con una programmazione che si adatta a quel tipo di location, che può anche essere rock, ma che attrae un pubblico civile. L'evento di Travis Scott, ripeto, era concepito come una specie di rave party. Giusto che faccia il suo, ma la vigilanza è stata carente. I posti non vanno sfruttati solo per la loro capienza, e in linea di massima il Circo Massimo va chiuso a eventi che possono generare problemi”.
Colpevolizza i promoter?
“Se vogliamo dirla tutta, è colpa del Comune di Roma, che ha fatto un errore gigantesco... Non faccio eventi in questa città per via della burocrazia. Stessa ragione per cui hanno gioco facile le grandi agenzie, che hanno soldi da anticipare, e che nel vendere un prodotto si mettono d'accordo con l'amministrazione e fanno come vogliono. Roma, culturalmente, è a livello misero, pietoso; e ciò che accade a livello istituzionale è scenetta da villaggio turistico”.
È una città ad appannaggio della sinistra.
“La sinistra è la causa dell'agonia culturale di questo Paese. E lo dico con amarezza, da uomo di sinistra. I risultati sono sotto i nostri occhi, e sono catastrofici”.
Cosa manca?
“Manca attualità, novità, i conservatori sono allo sbando, siamo gli ultimi a livello mondiale. Altro che Travis Scott, la musica ha ben altri problemi; prendi la sinfonica, non ha più spettatori. Gli enti promotori, e sono quasi tutti di sinistra, non hanno proprio idea di come si attira lo spettatore”.
C'è una soluzione?
“In mancanza di un piano industriale serio, azzerare il Fus (Fondo unico per lo spettacolo), far uscire lo Stato e entrare i privati, diamo tutto alle agenzie e via”.
Apro un'altra parentesi. Autotune e polemica promossa da Bersani, che dice?
“In verità sono un gran sostenitore dell'autotune, lo userei anche negli interventi politici, per dare un po' di colore”.
Quindi è una polemica pretestuosa?
“È finita l'era dei cantanti solamente intonati... Certo, Bersani è un monumento, e per essere chiari, a casa ho i suoi dischi, non quelli di Sfera Ebbasta. Di più, se mi chiamasse per una collaborazione, sarei onorato. Ma quella sull'autotune è una polemica desueta”.
Ha contribuito al successo di ambedue: cosa è mancato ad Achille Lauro per eguagliare l'exploit dei Måneskin?
“Sicuramente la combinazione di quattro ragazzi fighi, spontanei e straordinariamente bravi non è poca roba. Ma Lauro è ugualmente capace e anche affettuoso, una persona di cuore. Cosa gli è mancato? La chance giusta, e lo staff giusto, di veduta internazionale. Non dimentichiamoci che Måneskin e Achille Lauro hanno iniziato con la stessa persona, Fabrizio Ferraguzzo. Forse, ai tempi, era meglio rimanere in Sony? Questo passaggio, comunque importante, gli ha fatto perdere la possibilità di continuare a lavorare con lui, che artisticamente era il valore aggiunto”.
Reduce da una grande sfida vinta, la Notte dei Serpenti, cos’altro ha in ballo?
“La Notte dei Serpenti ha ottenuto dei risultati incredibili, e andrà in onda anche su Rai Uno, che dire... ci sono altri format simili, ma non vengono trasmessi alla prima edizione. Siamo soddisfatti; altri progetti? Sono tanti, e in divenire. Spero un giorno di riuscire a debuttare alla Scala con una mia opera, e dimostrare a tutti che la grande e vera cultura è popolare”.