Uno scrittore, un libro, una scuola. Sembrerebbe l’inizio di una normale storia di cultura e dibattito, ma in Italia – nel 2025 – questa combinazione può trasformarsi in un caso politico. L’Iss Vincenzo Cardarelli di Tarquinia ha cancellato, senza possibilità di recupero, un incontro con lo scrittore Davide Coppo, autore de La parte sbagliata (Edizioni E/O). Ufficialmente per "motivi organizzativi". Ufficiosamente? Perché la destra locale, in particolare Gioventù Nazionale, giovanile di Fratelli d’Italia, ha gridato all’indottrinamento, accusando lo scrittore e la scuola di voler attaccare il governo. Ora, il punto è semplice: se un libro diventa un problema, il problema non è il libro. La parte sbagliata racconta la storia di Ettore, un adolescente che si avvicina all’estremismo neofascista, senza traumi alle spalle, per solitudine e bisogno di appartenenza. Un romanzo che non sembra avere nulla di ideologico, ma che esplora la fragilità dell’identità giovanile e il fascino per la radicalizzazione. Insomma, un libro che fa riflettere. Ed è proprio qui il problema.

La Edizioni E/O, casa editrice del romanzo, han epresso sconcerto e sottolineato che Coppo ha già presentato il libro in scuole di Torino, Milano, Firenze, Bologna e Varese senza nessun problema. Ma a Tarquinia no. Perché? La risposta più ovvia è che in Italia la libertà d’espressione è ancora garantita, a meno che non dia fastidio a chi governa. Negli Stati Uniti, la censura sui libri è un tema da anni. Il New York Times ha più volte denunciato la rimozione di titoli scomodi dalle scuole, soprattutto in stati come Texas e Florida. Ma negli Usa la cosa avviene alla luce del sole: le liste nere dei libri banditi sono pubbliche e le battaglie per la libertà d’espressione si combattono apertamente. Qui, invece, si gioca a nascondino: nessuno vieta niente ufficialmente, si limitano a “cancellare per motivi organizzativi”.

E mentre la politica gioca a fare la guerra ai romanzi, avanza un fenomeno preoccupante: il crescente controllo sulle narrazioni, una tendenza che si sta espandendo a macchia d’olio nei regimi più autoritari, ma che inizia a far capolino anche nelle democrazie occidentali. Decidere quali storie possono essere raccontate e quali no è un modo subdolo di limitare la libertà, spacciandolo per tutela o neutralità. Un gioco sporco che parte dalla politica e si insinua nelle scuole, nelle librerie, nei media. La domanda è: in Italia siamo ancora liberi di leggere quello che vogliamo? La risposta a Tarquinia sembra essere “no”.
