Era stata annunciata come la battaglia campale sui diritti civili, la Waterloo degli intolleranti, la misura che avrebbe finalmente portato l’Italia al passo con gli altri paesi europei. Invece, dopo aver riempito le piazze, i social, il dibattuto politico e mediatico, del Ddl Zan sembrano rimanere soltanto alcune schermaglie parlamentari. Come quella odierna, con Fratelli d’Italia che si è vista bocciare dal Senato la richiesta di esaminarlo già in settimana. Il cortocircuito è servito: ora è lo schieramento di centro-destra a spingere per arrivare al voto, mentre il centro-sinistra si è trincerato in un tattico rinvio in attesa di avere numeri certi – se mai li avrà - per farlo approvare. Intanto, però, le istanze che animarono il provvedimento nella cosiddetta “società civile” sembrano rimanere inalterate, come ci ha confermato Jonathan Bazzi, giovane scrittore ma già nella cinquina finale del prestigioso Premio Strega nel 2020 con il libro “Febbre” (edito da Fandango).
“È sconfortante” ammette, visto che lui stesso prova ogni giorno quella che definisce “la condizione delle persone che vivono sulla loro pelle una originaria frattura con ciò che gli sta attorno”. Che tradotto, si concretizza in insulti e discriminazioni per chi non è conforme a uno standard precostituito. Come è capitato al suo compagno, ha raccontato sui social, che a Milano percorrendo 500 metri si è visto rivolgere per tre volte l’epiteto “frocio”. Episodi che i due, purtroppo, condividono ancora oggi: “In me riattivano sensazioni spiacevoli che hanno fatto parte della mia adolescenza. Si cerca di fare finta di nulla, ma a volte quando per strada arrivano da un gruppo ti senti in pericolo, non sai mai cosa potrà accadere. Sono momenti di profonda umiliazione”.
La battaglia sui diritti, in attesa si sblocchi lo stallo politico, prosegue però sul piano delle parole. A capeggiarla è la scrittrice Michela Murgia, con l’introduzione nei suoi scritti della lettera “ə” (lo schwa) al posto della desinenza maschile per definire un gruppo misto di persone. Anche in questo caso le polemiche non mancano, ma Bazzi ci ha spiegato che sarebbe necessaria “un po’ più di serietà quando si parla di certi temi”, in particolare da chi ha a che fare con il mondo della cultura “ci si aspetterebbe qualcosa in più delle semplici parodie”. Come nel suo caso: “Sono convinto che la letteratura debba essere libera di correre dei rischi, abitare quegli spazi che vengono tralasciati dalle contrapposizioni polarizzanti e binarie. Io voglio provare a rivendicare altri circuiti, contraddizioni, ambiguità, che è altra cosa rispetto a produrre testi solo pieni di offese e insulti”.
Del Dddl Zan ormai non si parla più, dopo che ha tenuto banco per mesi. Come te lo spieghi?
Vorrei dire che sono sorpreso, ma invece ho consapevolezza delle forze che irradiano il paese reale. Purtroppo, c’è differenza tra quello che avviene sui social e ciò che accade fuori. È chiaro che nella società e nei centri del potere esistono ancora delle posizioni tradizionaliste che sono ben lungi dal provare a rivedere se stesse e a mettere in discussione i propri presupposti.
Eppure, sembrava che il messaggio fosse stato colto da moltissime persone, anche grazie alla mobilitazione di tanti personaggi del mondo dello spettacolo. Poi è arrivata l’estate…
Ma soprattutto certe fazioni contrarie hanno montato letture strumentali, costruito fake news e manipolazioni per cercare di rivestire il provvedimento di un’aura inquietante, senza riconoscere la questione dei destini e delle condizioni che il provvedimento avrebbe dovuto proteggere. Per esempio, uno dei cavalli di battaglia degli oppositori è stato sul terreno dell’infanzia.
Quella che è stata definita la “Teoria Gender”.
È assolutamente infondata o citata in malafede. È chiaro che quando si parla di bambini, i critici hanno sempre in mente certi modelli, come se non esistessero anche i bambini Lgbt e Queer, cioè con caratteristiche non conformi e che subiscono quello che non dovrebbero subire. Rimane perciò un tema non trattato, perché pensano ai bambini solo con le caratteristiche che gli fanno comodo per le loro tirate intolleranti, mentre non vogliono concedere spazi di trasformazione per la società.
Per una volta, però, diversi schieramenti politici si erano impegnati per approvare il Ddl Zan. Ora invece hanno rinviato tutto, probabilmente perché mancano i voti in Parlamento.
È una lettura possibile, lo stesso premier Mario Draghi ha avallato questa linea. Probabilmente ha ritenuto il tema divisivo in un momento in cui ci sono già abbastanza divisioni. Le questioni, invece, si dovrebbero affiancare. L’Italia è in un ritardo gigantesco, per cui questo nuovo ritardo è il sintomo di uno scenario sconfortante. Ma ancora più sconfortante è stata la posizione del femminismo “old school”, che sulla questione dell’identità di genere, cioè della salvaguardia delle differenze, l’ha interpretata come una minaccia sul piano della differenza biologica. Alla fine, è stato solo un tentativo di difendere se stessi e se stesse e ciò che già si conosce, senza volersi spingere verso chi fino a quel momento non era stato preso in considerazione.
E intanto, nella vita di tutti i giorni, accadono ancora episodi di discriminazione. Tu stesso hai raccontato sui social di quando a Milano, in un tratto di soli 500 metri, il tuo compagno sia stato apostrofato per ben tre volte con l’epiteto “frocio”.
Ne capitano in continuazione di episodi simili. A me e al mio ragazzo ci capita frequentemente che ci urlino insulti dalle auto. È ormai ordinaria amministrazione. Così ci arrivino dei commenti per strada che, in alcuni casi, cioè quando vengono da gruppi, chiaramente fanno crescere il timore perché non puoi mai sapere cosa può succedere. Il più delle volte si cerca di fare finta di niente, ma sono momenti di profonda umiliazione.
Da quello che hai raccontato anche in passato, sono episodi che possono accompagnare una persona fin dalla più tenera età.
Sì, quando ero più piccolo erano molto più frequenti. Io sono cresciuto in un luogo, Rozzano, dove questo modo di maneggiare l’identità degli altri è assolutamente comune. Quando mi sono trasferito a Milano la frequenza è cambiata, però ancora capitano episodi simili che mi fanno ripiombare in quel tipo di situazioni. In questo caso è interessante contrapporre la città e la periferia. Posso dire che per chi è portatore di caratteristiche non conformi, certi modi di avere a che fare con il corpo degli altri supera un po’ tutte le barriere e le distanze. È chiaro che quando avviene, in me si riattivano sensazioni spiacevoli che hanno fatto parte della mia adolescenza. Ho subito aggressioni fisiche, in seguito più situazioni dove mi sono sentito in pericolo. È una condizione che mi fa empatizzare con la comunità Lgbt, così come con tante donne che subiscono certi atteggiamenti.
In attesa che la politica si risvegli dal torpore, la battaglia sui diritti prosegue nell’uso delle parole. La scrittrice Michela Murgia è stata molto criticata per l’uso dello schwa al posto della desinenza maschile per definire un gruppo misto di persone.
È chiaro che sono proposte e tentativi che si prestano, anche legittimamente, a delle perplessità e a delle critiche. Ma trovo scellerato che il tutto venga ridicolizzato. Sono tentativi, che a qualcuno possono sembrare artificiosi, però sono appunto dei tentativi di creare degli spazi per delle persone che vivono sulla loro pelle una condizione di originaria frattura con ciò che gli sta attorno. Una condizione, tra l’altro, precocissima perché i binari creati dalla lingua e dai copioni che ci insegnano a distinguere cos’è maschile e femminile si instaurano nella primissima infanzia.
Cosa intendi?
Dai colori per il fiocco sui vestititi ai quaderni per la scuola. Se non hai i gusti standardizzati vivi un continuo sentimento di repressione, con la sensazione che quello che senti è sbagliato. Non per qualcuno, ma per tutti. Hai intorno un mondo che va in un certo modo e pensa che sia naturale che se hai il pene devono piacerti il calcio e le macchinine e se hai la vagina devi apprezzare le Barbie e i peluche. Può sembrare una piccola questione, ma quando sei bambino è molto importante. Senza pensare a cosa succede nelle classi a coloro che manifestano gusti e preferenze diversi.
Cosa diresti a coloro che non accettano i vostri tentativi di inclusione a partire dal linguaggio?
Intanto mi auspico un po’ più di serietà quando si parla di questi temi. Certe persone dimostrano scarso coraggio. Capisco che per la maggior parte delle persone risulti “innaturale” tutto ciò che è strano e quindi si presti alle critiche, ma da chi ha a che fare con il mondo della cultura ci si aspetterebbe qualcosa in più delle semplici parodie, che sin possono accettare dai comici. Invece, mi pare sia diventato mainstream posizionarsi attraverso un registro ironico per criticarci.
Ultimamente sei stato criticato per il racconto apparso sul quotidiano Domani, che si intitolava “Lascio a voi la body positivity. Io voglio solo essere magro”. Ti hanno accusato di body shaming. Ti è sembrato un paradosso o è stata una provocazione voluta?
Tendo a distinguere, a costo di una certa scissione già in me, quando prendo parola pubblicamente argomentando su questioni sociali e politiche e, invece, quando provo a fare qualcosa che abbia una ambizione letteraria. Credo che la letteratura debba essere libera di correre dei rischi e che, quindi, non sia accettabile non tenere conto di certe sensibilità. In quel testo ho cercato di provare a raccontare una mente, un corpo, una persona, che pur essendo consapevole dell’importanza di certe rivendicazioni, dal punto di vista del desiderio personale cercava qualcos’altro. A dimostrazione di quanto, a volte, il desiderio sparigli le carte e possa non far tornare i conti persino per chi si trova in una posizione di apertura e di consapevolezza su certi argomenti. È questo il compito della letteratura, provare ad abitare gli spazi che vengono tralasciati dalle contrapposizioni polarizzanti e binarie. Io, invece, voglio provare a rivendicare i circuiti, le contraddizioni, le ambiguità, che sono altra cosa rispetto a produrre testi solo pieni di offese e insulti.