«Non sono io a candidarmi, sono loro che sposano le mie idee». Ci tenne a precisarlo Francesco Alberoni, scomparso in queste ore all'età di 93 anni, uno dei più stimati sociologi italiani (non solo in Italia), quando lo intervistammo nel 2021 visto che il suo nome era stato accostato a quello del candidato sindaco di centrodestra a Milano, Luca Bernardo, per quanto riguarda l’assessorato alla cultura. Dal canto suo, però, il professore noto per gli studi sui movimenti collettivi e l’amore, ci spiegò: «Non ho voglia di partecipare a una campagna elettorale. Per ora nessuno mi ha detto niente, io non ho vocazione politica e non conosco il candidato sindaco». Non è comunque una chiusura («ma è giusto chiarirlo» ha aggiunto), visto che già due anni prima Alberoni venne candidato come capolista alle elezioni politiche con Fratelli d’Italia. Nessuna adesione alle idee altrui, comunque, perché «FdI ha componenti antieuropeiste, ma io no visto che sono favorevole a una Europa federale, si figuri», solo che «sostenevo le mie idee e contemporaneamente sono stato utile per formare un grosso nucleo di centrodestra che non esisteva. Alla fine, erano partiti dal 3 per cento e guardi dove sono ora. Si è verificata la mia ipotesi».
Partendo dalle voci di un suo nuovo sostegno politico, ne avevamo approfittato per discutere di tanto altro e i suoi giudizi, che possono piacere o non piacere (e spesso scontentano in molti) non sono di certo mai banali. Restando alla politica, la scommessa di qualche anno fa sembra più che vinta: «Giorgia Meloni è un diavolaccio di una abilità incredibile» e quando gli chiediamo se possa ambire a diventare la prossima candidata del centrodestra – spodestando quindi Matteo Salvini – non ha nessun dubbio: «Penso di sì, non ci possono essere due capi in uno schieramento». E aggiunge: «C’è chi sale e c’è chi scende». In fase calante, per esempio, c’è Beppe Grillo, che comunque considera «un grande capo politico, ma ha dimenticato che prima o poi un movimento deve diventare istituzione. Lo voleva conservare fluido, ma ora Giuseppe Conte farà il burocrate al suo posto». Chi è stabile, invece, è Mario Draghi che il sociologo vvedeva oltre ai confini italiani: «Non abbiamo uno stato europeo, ma se lo avessimo lui sarebbe il primo ministro ideale». Il problema, però, nelle scelte del premier risiede in chi si troverà davanti: «Perché di volta in volta possono essere rigidi, stupidi o impazienti». C’è poi chi fa politica – o la influenza in modo notevole – da fuori. Come Fedez in quei mesi sul Ddl Zan e qui la sentenza fu impietosa: «I giullari del re hanno sempre avuto in qualche modo un potere. Ma anche in questo caso, mi sembra che rimangano dei giullari del re. Qualche volta possono diventare re, ma è più facile loro consiglieri». Infine, visto che abbiamo davanti sfide difficili e «avremmo bisogno di gente vigile, paziente e attenta» fece l’esempio di quanto sta avvenendo nel mondo dell’automotive: «Annunciare lo stop di benzina e diesel entro il 2035 non mi sembra una prospettiva molto promettente per un settore così importante, che in Italia stiamo perdendo. Questi annunci producono forte incertezza e bisognerebbe capire che certe scelte non possono avvenire in modo così drastico».
Professore, il suo nome è stato accostato al candidato sindaco di centrodestra a Milano, Luca Bernardo, per l’assessorato alla cultura.
Ma sa, fanno tanti nomi… ma io sono uno studioso indipendente, che prende le sue decisioni nel modo più libero e posso decidere di apprezzare o sostenere quello o un altro in rapporto al momento, alle esigenze del Paese e a ciò che mi sembra più opportuno. Quando mi sono candidato per Fratelli d’Italia in quel momento c’era un governo giallo-verde che a me non piaceva, non mi ci ritrovavo in una massa così grande di grillini ancora “selvaggi”. Quella fu una iniziativa perché me lo chiesero di essere capolista a quelle elezioni.
Glielo chiesero e lei aderì. Come mai?
In quel momento non arrivavano al 4 per cento, quindi cercavano qualcuno che potesse farli crescere con una presenza moderata. E così è avvenuto. Sono arrivati al 6 e mezzo per cento e la Meloni è partita nella sua ascesa. Come era logico, perché creare un altro nucleo di centrodestra sarebbe diventato un punto di riferimento. Ma l’ho sempre fatto da indipendente, con le mie idee. Il movimento FdI ha componenti antieuropeiste, ma io no perché sono favorevole a una Europa federale, si figuri. Però sostenevo le mie convinzioni e contemporaneamente sono stato utile per formare un grosso nucleo di centrodestra che non esisteva. Alla fine, si è verificata la mia ipotesi.
Insomma, la chiamano quando c’è bisogno.
Non tutti devono essere mobilitati e iscritti nei partiti, gli studiosi per esempio devono avere la loro autonomia come intellettuali. In certi casi la politica chiede consiglio, un appoggio e sul piano culturale posso essere di aiuto. Tenendo conto che io ho le mie idee, scrivo i miei libri, non ho bisogno di appoggiare nessuno, sono gli altri che si riconoscono in quello che penso io. È un accordo fra pari. Non mi meraviglierei se qualcuno avesse fatto il mio nome per la cultura, ma non ho voglia di partecipare a una campagna elettorale, come allora. Per ora nessuno mi ha detto niente, io non ho vocazione politica. Ho scritto un libro recentemente e credo sia uno dei più gradevoli…
Si intitola “1989 – 2019. Il rinnovamento del mondo” (La Nave di Teseo).
Sì, dal Muro di Berlino a oggi e quello che penso è tutto lì dentro. Se un gruppo si riconosce in queste tesi può fare una proposta. Io anche l’altra volta ho partecipato da lontano. Però stavolta avrei voluto Gabriele Albertini candidato sindaco, c’erano anche i voti, ma alla fine non se la è sentita. Adesso hanno scelto un’altra persona, ma non la conosco neppure.
Nel frattempo, in Italia ci si sta dividendo sul Green pass vaccinale. Come si dice in ambito social, questo è il trend del momento. Lei si è fatto un’idea?
Veniamo da un periodo di stravolgimento del mondo dopo la globalizzazione, dove tutto è stato ricondotto a un unico mercato, sono stati sommati nuovi poteri e siamo immersi in una pandemia mondiale. Quindi i fenomeni cambiano e studiosi, giornalisti, politici e l’opinione pubblica faticano a seguire. Il Green pass è legato alla variante Delta del virus, non è che se lo sia inventato Mario Draghi o qualcun altro per caso. È una conseguenza di varie situazioni. Ma questi argomenti sono delle fumisterie che animano il popolo…
Cosa intende?
Il virus abbiamo capito che è parzialmente resistente ai vaccini, se ci aggiungiamo che la durata dei vaccini è limitata, tra sei mesi siamo punto e a capo. Il Green pass se lo facciamo subito può avere un senso, ma tra un po’ cosa succederà? Non si può avere un’idea precisa, visto che non c’è un problema preciso.
Però la gente intanto la gente è arrabbiata: chi si è vaccinato perché vorrebbe poter circolare liberamente, mentre chi non si vuole vaccinare perché non accetta imposizioni.
È chiaro che il Green pass fa arrabbiare la gente, perché metà è dentro e metà è fuori. Questi temi appassionano molto il pubblico, che quando c’è un fenomeno naturale dà la colpa a qualcuno che conoscono. Se si sciolgono i ghiacci del Polo le persone danno la colpa alle aziende automobilistiche perché inquinano. Magari è vero, non dico di no, ma intanto fai fallire le aziende che lavorano nell’automotive. Purtroppo così facendo, non abbiamo più una industria automobilistica italiana vera e propria e poi le multinazionali riducono il personale. Sarà anche colpa del governo, ma le multinazionali fanno quello che vogliono appunto perché sono multi-nazionali e non rispondono a una sola nazione. Per esempio, la proposta europea dello stop a benzina e diesel entro il 2035 non mi sembra una prospettiva molto promettente per coloro che producono questi mezzi. In questo modo si produce un dato di incertezza molto forte. Io però preferisco vedere il processo nel suo insieme.
Lei ha studiato in modo approfondito i movimenti, ma come mai scendiamo in piazza con così tanto trasporto per una vittoria degli europei di calcio e non lo facciamo più per i diritti che ci vengono tolti?
È sempre avvenuto, nel calcio si tratta del grande entusiasmo collettivo per la tua squadra. Sono fenomeni che hanno a che fare con il senso di appartenenza, il desiderio di rivalsa, in fondo siamo sempre degli animali sociali. È un fenomeno che va per conto suo. È mosso dall’entusiasmo, è un modo applaudire. Finito lo spettacolo gli attori si aspettano l’applauso e la gente li corrisponde. Qualsiasi cosa avvenga su un palcoscenico porta agli applausi. Quelle che mancano sono le rivendicazioni sociali e possono essere portate da singoli individui, da un partito, un sindacato, da disoccupati disperati senza lavoro e ancora peggio in un’età dove non se ne trova un altro. Purtroppo, durante la globalizzazione hanno prevalso le multinazionali con le quali è difficilissimo negoziare. I singoli paesi sono debolissimi e puoi anche essere sovranista, ma la multinazionale se ne va da un’altra parte. Se poi ci metti dentro anche i cinesi, hai voglia a farti ascoltare…
Non è uno scenario molto edificante…
È una brutta situazione quella di oggi per chi è in difficoltà, ancor di più dopo il Covid. Si dice “facciamo investimenti”, ma chi li fa? Se li fanno gli Stati o alcune aziende va bene, ma se arrivano dalle multinazionali può decidere dove farli, cioè dove gli conviene di più e potrebbe non essere in Italia, ma nel Corno d’Africa. Di contro, non c’è una legislazione internazionale vera e propria, il nostro potere statale finisce ai nostri confini. L’Europa ha un potere ma anche in questo caso limitato e per il resto a livello di organizzazioni internazionali è un potere tutto sommato verbale.
C’è chi dice che diventeremo degli algoritmi.
Non credo. I social sono un fenomeno sociale di gente che ha avuto l’impressione, a un certo punto, di dire al mondo ciò che pensa. Non credono di scrivere a dieci amici, ma di dire le sue cose al mondo e di essere più letti del Corriere o del Washington Post. Ma in realtà, arrivi a qualche decina di persone, a meno che uno non si organizzi.
Ci sono certi influencer che arrivano a milioni di persone.
L’influencer mostra se stesso come modello di uomo qualunque e tu lo imiti. Poi un politico lo avvicina e lo porta dalla sua parte. Qualcuno lo finanzia… e alla fine entra nel giro economico e politico. Chi arriva in alto sui social finisce per entrare in quegli ambienti.
Era stato persino ipotizzato quanto potesse prendere alle elezioni un “Partito di Fedez”.
Lui ha una influenza, ma poi dipende da cosa succede dopo. Qualcosa di simile è difficile da paragonare con il passato, ma a me sembra che cantanti, attori, i cosiddetti “giullari del re” abbiano sempre avuto una influenza e in qualche modo un potere. Ma anche in questo caso, mi sembra che rimangano dei “giullari del re”. Qualche volta può anche diventare re, ma è difficile. È più facile che diventi il consigliere del re.
Un “giullare” ci è andato molto vicino. Mi riferisco a Beppe Grillo.
È stato un grande capo politico! Lui e Casaleggio hanno inventato un partito, il M5s. Grillo ha solo dimenticato che prima o poi un movimento deve diventare istituzione e struttura. Lo voleva conservare fluido, invece toccherà a Giuseppe Conte farlo, l’uomo delle istituzioni, il burocrate. I movimenti sono ondate, ma poi devono trovare una forma. Grillo è stato un grande leader carismatico, che è riuscito a impadronirsi del Parlamento. Non è una operazione da poco. Potrei non essere d’accordo su niente con lui, ma gli riconosco queste capacità. Se si fosse più occupato del partito, rispetto ai suoi capricci come fanno spesso i grandi leader, oggi Conte potrebbe negoziare direttamente con Draghi. Adesso però ha perso un po’ di forza…
Chi vola invece è Giorgia Meloni. Crede che posso essere lei il leader del centrodestra a discapito di Matteo Salvini?
Penso di sì, perché lei è molto intelligente, astuta, capace. È un diavolaccio politico di una abilità incredibile. E l’unica che può stare alla pari con Grillo e Draghi. A questo punto, due capi nello stesso schieramento non sono possibili. Salvini era al 37 per cento ed è sceso al 20 per cento, la Meloni era al 3 per cento ed è salita al 20 per cento. C’è chi sale e chi scende... Lei evita di esporsi e ha il potere assoluto sul suo partito. Finché era piccolo era più facile, ora sarà più difficile. Ma è una donna di non indifferenti capacità, inoltre nessuno l’ha mai attaccata a fondo. Ora lo faranno molto di più, ma è la vera figura emergente. Io l’avevo previsto più di un anno fa.
Ha citato anche Mario Draghi. Dove lo vede dopo le prossime elezioni?
Non lo so, ma lo metto allo stesso livello di società politica e di inventiva dei grandi capi. Con quell’invenzione per sostenere l’Euro finanziando lo sviluppo economico ci ha salvati, perché noi ci saremmo indebitati fino alla morte, come la Grecia. Invece lui ha utilizzato quel meccanismo che lo ha reso un leader mondiale. Non abbiamo uno stato europeo, ma se lo avessimo lui sarebbe il primo ministro ideale.
Come usciremo da questa pandemia?
Bisogna far passare questo periodo ormai abbastanza lungo di difficoltà reali, durante il quale le persone diventano disoccupate ma lo Stato non riesce a ridargli il lavoro. Solo le multinazionali possono farlo, perché lo Stato nazionale ormai non ha nessun potere. Draghi può contare sul suo prestigio, in più gioca la carta dell’astuzia, dell’essere accomodante e fortunatamente non è rigido. Meno male che abbiamo uno così. Il problema sono gli altri che si trova davanti, che possono essere rigidi, stupidi o impazienti. Ma alcune cose devi aspettare che siano in moto prima di romperle. Penso a chi ha appena comprato l’automobile e tra poco gli togli la benzina… Bisogna cercare di capire che certe scelte non possono avvenire in modo così drastico.
Come li vede i giovani che stanno crescendo in questa epoca?
Devono studiare e adattarsi a qualsiasi tipo di lavoro perché poi tutto cambia. Studiare molto, seriamente, ricordandosi che chi resta indietro nel campo tecnologico è spacciato. Però sono convinto che abbiamo buone scuole e università. Non bisogna attaccare i giovani, ma loro devono studiare e lavorare subito ritrovandosi mestieri dignitosi. Durante questa pandemia, per esempio, non ho capito perché non sono stati messi al lavoro tutti gli studenti di medicina...
Quali sentimenti ci salveranno?
I buoni principi di tolleranza e di saggezza. Perché quando ci troviamo davanti a un compito difficile, abbiamo bisogno di gente vigile, paziente e attenta. Nel complesso sono positivo, dobbiamo maggiormente utilizzare le risorse che abbiamo, le invenzioni, però ci vuole un po’ di tempo. Non si deve decidere in un attimo, servono molte manovre. Il problema è che la gente vuole tutto subito e troppo spesso perdiamo la testa quando incontriamo grandi problemi. Di certo, non basterà una vittoria sui campi di calcio per risollevarci.