Un testamento olografo, reso pubblico solo qualche giorno fa, ma datato 11 maggio 2018. La mano che scrive tutto in stampatello – uno stampatello che il soggetto non era solito utilizzare – è quella di Franco Battiato. Poche righe per dire che dopo la sua morte l’unica erede universale sarà “la cara nipote Grazia Cristina Battiato”. È stato Open, nella fattispecie, a sollevare qualche dubbio sul documento: “Sotto, alla quarta riga, solo la sua firma per esteso: Franco Battiato (anche se il suo nome di battesimo era Francesco)”. Dettagli, ma che sono sufficienti a generare qualche malignità. Dubbi che forse serpeggiano soprattutto fra chi Franco Battiato non lo conosceva davvero. Non è questo il caso di Filippo Destrieri, compositore, arrangiatore e tastierista che ha affiancato il maestro di Ionia sin dai tempi del tour de “L’era del cinghiale bianco” (1979). Ecco cosa ci ha raccontato.
Filippo, hai visto il documento?
Sì, certo. Ed è una cosa vergognosa, anche se non c’è molto da dire in merito. Mai mi sarei aspettato che Cristina – che conosco da quando è bambina – pubblicasse una cosa simile. Forse l’ho a fatto “per legge”. Forse il suo è stato un obbligo legale.
Cosa ritieni vergognoso?
Un tale documento certifica e rende pubbliche le gravi condizioni di salute di Franco Battiato. Emergono particolari tristissimi. La famiglia, fino a un certo punto, aveva preferito affermare che il maestro comunque stava bene, mentre invece scopriamo che era allettato. Povero Franco, non se lo meritava.
Sul testamento, però, sono sorti dei dubbi. Qualcuno pensa che non sia stata la sua mano a scriverlo.
Credo siano i dubbi di chi diceva di conoscere Franco anche se in realtà, forse, lo aveva frequentato giusto dieci giorni in tutta la sua vita. Non vedo nulla di controverso in ciò che scrive. È evidente che qualcuno ha guidato la sua mano, ma questo accade quando le condizioni del malato sono tali da non consentire alternative. I cosiddetti “amici di Franco”, quelli che spargono dubbi, caso strano mi evitano. Evitano me, che conoscevo davvero Franco, gli volevo bene, e quindi non ho mai avuto una gran voglia di ricamare attorno ai dettagli, rimestare nel torbido. Gente che non sa un tubo, fidatevi. Ho 72 anni, e c’ero, 42 anni fa, sul palco con Franco.
Cosa sai, da persona vicina al maestro, degli ultimi giorni di Battiato?
Che la famiglia, per proteggerlo, lo aveva anche isolato. E aggiungo giustamente, sia chiaro. Franco non parlava più con nessuno, gli avevano tolto il cellulare. Faticava a riconoscere le persone dal vivo, figuratevi al telefono. La famiglia ha vissuto un dramma e ha reagito così, isolandolo e mostrando agli amici un’apparente serenità: Franco non ha nulla, ci dicevano. E noi che gli volevamo bene – penso anche ad Alice, in campo strettamente artistico – ci siamo adeguati. Invece era alimentato con un sondino… Tra qualche giorno andrò in Sicilia per un concerto. Non mi resta che fare ciò che ho già fatto: portare un fiore sulla sua tomba.
E invece, stando a quanto è emerso, non stava affatto bene.
No. Già all’epoca immaginavo che le cose non stessero esattamente come diceva la famiglia, ma pensavo e speravo che in qualche modo Franco, nel suo mondo chiuso e privato, stesse bene.
Quindi cosa, nello specifico, non si meritava Battiato?
Una fine così. Finire con la mente cancellata. Lui che con la mente aveva sempre lavorato. Era un artista sia sensibile che cerebrale. Mi spiace davvero che siano emersi questi dettagli, ma forse – ripeto – Cristina è stata obbligata a far pubblicare questo documento. Datemi retta, però: la firma non c’entra. Non era la sua calligrafia, ma questo non significa nulla. Era giusto che l’erede fosse Cristina. L’alternativa sarebbe stata il fratello, un ottantenne. Franco ora è luce, lasciamo stare le sue condizioni di salute negli ultimi anni. Rispettiamo anche ora la sua sofferenza, allontaniamo ogni morbosità e celebriamolo – finché sarà possibile – attraverso la musica.
Una musica che tu continui a portare in giro.
Sì, insieme a mia moglie, Daniela Sassi. Sono anche contento, da un certo punto di vista, che molti artisti omaggino Battiato con cover, reinterpretazioni. Io però suono la mia musica utilizzando la voce di Franco. “Canta Battiato”, c’è scritto, sui manifesti dei miei concerti. Parlo di registrazioni tratte da quei dischi pionieristici che furono “Fetus” e “Pollution” (periodo sperimentale dei primi anni ’70). Ho rielaborato i brani di quegli album con la mia tastiera, partendo dalle tracce vocali di Franco. Un percorso già iniziato, insieme a lui, sin dai tempi di “Giubbe rosse” (1989). Daniela invece, tra una canzone e l’altra, è la voce narrante. Un progetto diverso, per evitare di coverizzare Battiato, cosa comunque difficile che riesce (bene) a pochissimi. Poi ciascuno può inventarsi ciò che vuole, ma c’ero io a suonare su “La voce del padrone” (1981; l’album di “Centro di gravità permanente”, “Cuccurucucù” e “Summer on a solitary beach”, nda) o “Fisiognomica” (1989), mica loro.
Cosa ti infastidisce?
L’idea che alcuni vogliano splendere di luce riflessa, nonostante talvolta non ci siano proprio le condizioni per farlo. Riscrivendo anche una storia artistica. Millantando vicinanze inesistenti con un artista geniale e schivo, che concedeva sé stesso con parsimoniosa generosità. Non voleva certo essere l’amico di tutti.