È dal 2005 che la Lega propone l'introduzione della castrazione chimica "per stupratori e pedofili". Il primo a mettere sul tavolo politico questa possibile contromisura a reati tanto odiosi fu Roberto Calderoli. Il tema è tornato prepotentemente nel dibattito social di questi giorni riguardo allo stupro di Palermo: come è tristemente noto, sette ragazzi nella notte tra il 6 e il 7 luglio scorso hanno violentato una diciannovenne. "Eravamo cento cani su una gatta", si sono poi scritti in chat nei giorni seguenti, dimostrando di non provare il minimo rimorso per l'orrore perpetrato. Via Twitter e Instagram sono i forcaioli a farla da padrone, fomentati dallo stesso Vicepremier Matteo Salvini che invoca, appunto, la castrazione chimica per i responsabili di tale scempio. In totale disaccordo Elisabetta Zamparutti, Tesoriera dell'Associazione Nessuno Tocchi Caino e già Deputata radicale (eletta nelle liste del PD). "La giustizia non può e non deve essere dello stesso segno della violenza, Salvini confonde le due cose. E questo non è accettabile per uno Stato che possa e voglia dirsi civile". In forte dubbio, statistiche alla mano, anche l'efficacia deterrente del ricorso a "pene esemplari". "La pena di morte - precisa Zamparutti - esiste in moltissimi Stati eppure le persone continuano a uccidere. Anche per questo, lo scopo della condanna non dovrà essere solo punitivo ma anche, se non soprattutto, rieducativo". Il fatto che questi sette ventenni si siano macchiati di un crimine tanto grave è "un enorme fallimento della società tutta, oltre che una loro responsabilità personale di cui dovranno rispondere e con cui avranno da fare i conti per il resto della vita".
Il fatto è tremendo, si commenta da sé. La questione ora è cosa debba fare ora lo Stato davanti a tanta terribilità. La risposta non può essere altrettanta terribilità. Perché lo Stato deve sempre mantenere una posizione al di sopra delle parti, non dare sfogo alla pancia del Paese. È certamente un impegno gravoso.
Matteo Salvini, via social, si fa promotore della castrazione chimica per i responsabili…
Salvini scambia la giustizia per vendetta, confonde le due cose cavalcando la comprensibile indignazione del Paese. La risposta di uno Stato civile, però, non può essere inneggiare alla castrazione o alla pena di morte. Deve essere di segno diverso. Posso capire benissimo la rabbia da parte dei famigliari della vittima, come quella della società intera. Però non si può agire e prendere decisioni sull’onda di questa emotività reattiva. Sicuramente non può farlo uno Stato che voglia e possa definirsi autorevole.
E lo Stato è “autorevole”?
Oggi è più autoritario che autorevole, purtroppo.
Salvini scrive: "Fatico a vederli come esseri umani" e sui social in migliaia di commenti i colpevoli vengono definiti "irrecuperabili", da sbattere in galera buttando la chiave…
Considerare un ventenne “irrecuperabile”, al netto dell’oscenità del crimine che ha compiuto, sarebbe gravissimo perché andrebbe a negherebbe il diritto alla speranza. Equivarrebbe ad arrendersi che è di certo la strada più facile, ma non quella da percorrere. Questi ragazzi vanno rieducati o educati a partire da zero, non eliminati. Annientando il colpevole, non si annienta il male accaduto.
Si invocano pene esemplari come deterrente…
L'efficacia deterrente della pena, è dimostrato, non esiste. La pena di morte, per esempio, esiste in moltissimi Paesi, eppure le persone continuano a uccidere lo stesso. Anzi, le statistiche dicono chiaramente che dopo l’introduzione della pena capitale, nella maggior parte degli Stati che hanno adottato questa misura, gli omicidi siano addirittura aumentati. Non è che un individuo non commette un fatto atroce perché sa che se no lo giustiziano o lo castrano. Un individuo non commette tale fatto atroce perché ha un’educazione e una coscienza che gli permettono di discernere come agire. Coscienza ed educazione che evidentemente mancano a questi ragazzi di Palermo. Ciò è una loro responsabilità personale, come anche una responsabilità, nonché un enorme fallimento della società tutta.
Molto contestata anche la decisione di mandare uno dei colpevoli in comunità, evitandogli, almeno per ora, il carcere…
Assegnare a una comunità il ragazzo, al momento dei fatti minorenne anche se che intanto ha compiuto 18 anni, è una decisione del Gip che ha fatto molto discutere ma che trovo, invece, corretta. Perché non è certamente il carcere, per come è disorganizzato oggi in Italia, il posto in cui si possa pensare di avviare un percorso di recupero del soggetto.
La madre di uno di questi ragazzi ha definito la vittima “una poco di buono”...
Non me la sento di commentare le parole di una madre che scopre il figlio responsabile di un’atrocità del genere. Credo, piuttosto, che non si dovrebbe nemmeno andare a intervistarla. Quante probabilità ci sono che sia lucida? Lo stesso vale per i famigliari della vittima. Quella di invadere il dolore dei parenti dei coinvolti in un crimine grave è purtroppo una pessima abitudine che lasciamo correre come fosse normale e accettabile. Però, non lo è. Per niente.
Sui social c’è chi ritiene che non comminare una pena esemplare a questi ragazzi equivarrebbe a svilire la gravità di quanto hanno commesso…
No, equivarrebbe solo a segnare una differenza, a voler rimarcare un cambiamento possibile. Questi ragazzi si sono comportati da bestie, è indubbio, ma per fargli capire che sia sbagliato e antisociale comportati da bestie - temo ci sia proprio da farglielo “capire”, purtroppo, perché non ne hanno la consapevolezza, non possiamo comportarci, a nostra volta, da bestie con loro.
Quale potrebbe essere una pena “idonea”, a suo parere?
Una pena che tenga conto di una possibile riparazione dei responsabili di questa oscenità. Come la vittima dovrà affrontare un percorso per tentare di superare il terribile trauma subito, così anche i suoi aguzzini devono avere la possibilità di iniziare un percorso di recupero da cui non si può e non si deve prescindere. Un percorso che li porterà a comprendere, un giorno, l’orrore che hanno compiuto. E da quel momento in poi dovranno conviverci anche loro per tutta la vita. Non è affatto “poco”. Sarà doveroso certamente il carcere, ma non senza un percorso di recupero. Altrimenti, rimarrebbero come sono orari: soggetti inadatti alla società civile, pericolosi. La pena non deve essere esemplare, deve avere come scopo principe la rieducazione.
Questa “rieducazione” può avvenire in carcere?
Il carcere è un luogo poco conosciuto. E conosciuto anche male. Strutturalmente è inadeguato, nonostante il personale tenti ogni giorno di fare miracoli. Purtroppo, però, per come è oggi, non è predisposto al recupero, alla rieducazione.
Insomma, potrebbero uscirne "peggio di prima"?
Intanto, sfatiamo il mito per cui il carcere sia popolato solo da mostri. Soprattutto nelle carceri di media sicurezza, si incontrano più che altro disagio e povertà. I detenuti sono sempre più giovani e presentano spesso disordini mentali dovuti alla dipendenza da sostanze e da problematico di altro tipo. Chi ha commesso un reato odioso come lo stupro, però, non viene mandato nel carcere comune ma in un settore “protetto”. Perché nel cosiddetto “codice carcerario” non è ammessa la violenza su donne e bambini, quindi i detenuti potrebbero rifarsi fisicamente sui ragazzi di Palermo.
E se invece dovessero uscire fra due mesi o nemmeno vedere il carcere?
Non credo che davanti a un fatto così grave possa succedere. Mi auguro solo che la giustizia non si dimostri solo punitiva, ma anche riparativa.
“Riparativa” del male che hanno fatto?
No, “riparativa” auspicabilmente di loro stessi affinché possano entrare in possesso delle basi del vivere civile e sociale, maturare una coscienza. Non basterebbe l’intera vita di ognuno di questi sette per “riparare” al danno che hanno fatto a quella povera ragazza.