Che vi sia un problema è chiaro. Forse era nelle radici del MeToo, partito bene per poi degradare fino a diventare niente più che un’arma politica. Lo diceva su Vanity Fair Bret Easton Ellis: “Le intenzioni iniziali del #MeToo sono insomma degenerate in una caccia alle streghe, volta a spazzar via chiunque faccia parte del patriarcato per malefatte che, molto semplicemente, alla definizione di violenza sessuale, stupro o molestia sistemica non si avvicinano nemmeno”. E questo chiaramente si applica al discorso più generale che dal MeToo, legato al cosiddetto “obolo del sofà”, finisce per riguardare tutte le donne e, ipoteticamente, tutti gli uomini. Le parole di Facci, diventate per alcuni l’esempio palese della mentalità maschile e bruta, sono una delle tante dimostrazioni della confusione tra una statistica e una definizione: statisticamente una stupidaggine del genere riguarda più spesso gli uomini eterosessuali che non altre donne? Questo non vuol dire che gli uomini eterosessuali abbiano come un gene culturale predatorio e tollerante verso lo stupro. Cosa lo dimostra? Il fatto che quella stessa cultura maschile e bianca ce l’ha il padre di una ragazza stuprata che vuole spaccare la faccia a chi ha violentato la sua bambina (reazione che, infatti, le femministe riterrebbero deprecabile, perché specchio di quella stessa cultura, anche se non è chiaro come possano convivere la tolleranza e l’intolleranza per i casi di stupro). Quindi sì, a volte le femministe assomigliano più a Matthew Hopkins che non a delle libertarie.
Ma le degenerazioni riguardano i contorni, non il cuore del tema. E il garantismo non può essere un modo di contenere la merda che più o meno deve cadere in situazioni simili. Nel momento in cui una donna accusa un uomo di stupro, quella donna verrà ricoperta di feci di ogni tipo. Il minimo, per garantire la parità tra i sessi, è che anche lei abbia dalla sua parte qualche scimmia pronta a lanciare i propri escrementi contro il presunto carnefice (e il suo entourage). Il mondo funziona così. Per questo, una volta ogni tanto, dire “Sorella, chiunque tu sia, io ti credo”, come ha fatto Carlotta Vagnoli, ha senso. Perché la logica non è mai una giustificazione. È chiaro che ci siano donne che mentono, ma sono di più gli uomini che stuprano. Pensare che la donna che accusa avrà da questa storia solo un tornaconto personale e per questo dedurre che sia facile mentire sulle storie di stupro significa guardare solo una parte della storia. La meno importante. Si è colpevoli fino a prova contraria? Ovviamente no. Ma pensare che, per non colpevolizzare il presunto stupratore, si possa colpevolizzare la presunta bugiarda è quasi antipensiero. Il figlio della seconda carica dello Stato è accusato di stupro? Difenderlo non è segno di civiltà, ma di debolezza. Di cosa ha bisogno il figlio del presidente del Senato, di un team di apologeti? Ha ragione Dacia Maraini, non possiamo chiedere a una donna di dimostrare che non fosse consenziente. Perché se il consenso non viene espresso il consenso non c’è. Non valgono ammiccamenti, silenzio assenso, mezzi sorrisi. Il consenso è, per definizione, una forma di approvazione. Ha a che fare con le parole, con il pensiero, con la chiarezza. La mancanza di consenso non la si dimostra così come non si può dimostrare la non esistenza di qualcosa. Proviamo a difenderci dall’opinionismo assolutorio alla bisogna. Io alle mie sorelle credo, anche solo perché mi è più facile che credere al figlio di un potente chiamato come un elicottero d’attacco dell’esercito italiano.