È morto Milan Kundera. Per alcuni uno dei più grandi, minuzioso quanto complesso. Silenzioso quanto autore di una ricca bibliografia. Non dobbiamo mentire. Kundera è stato un autore influente, entrato anche nell’immaginario collettivo dello scrittore non commerciale ma popolare, una sorta di unicum in grado di tenere insieme un forte magnetismo (anche per via di alcuni dei suoi titoli, tra cui L’insostenibile leggerezza dell’essere) e una ricca e approfondita visione delle cose, quasi mai valorizzata da una scrittura leggera. In un certo senso, purtroppo, Kundera è stato uno scrittore inflessibile, in grado di regalarci delle grandi opere che, allo stesso tempo, rischieranno di diventare volumi scolastici, noiosi, perfino antiquati. Forse pesanti come l’epoca del loro autore. Grandi ma immobili, in cui la capacità di prendere seriamente i giochi, parafrasando Citati, diventa l’eterno scherzo di prendere per gioco le cose serie. Eterno ma stancante. Kundera è invecchiato male. Ma impossibile non dirlo grande, anzi grandissimo. Se ne va a breve distanza da un altro autore appartato, McCarthy, nonostante il loro ritiro autoimposto ha assunto due connotati diversi. Da un lato McCarthy è uno scrittore di clausura, che ha scelto per sé qualcosa che avrebbe potuto evitare; dall’altro lato, invece, Kundera è un recluso, ingabbiato in una forma di stanchezza – forse – senile. Negli ultimi anni parlava solo ceco, non accettava, per così dire, il compromesso, come l’anziano che evita le buone maniere perché troppo stanco.
È morto Milan Kundera, in molti non lo capiranno. Altrettanti credono di averlo capito ma è solo apparenza. Lui vive (ha sempre vissuto) di questo doppio, grande profondità ma nessuna leggerezza. Un binomio forse necessario, ma inattuale. Kundera ricorda più un autore della prima metà del Novecento che non un autore vissuto per vent’anni nel nostro secolo, che avrebbe potuto in qualche modo assorbire un po’ della velocità dei nostri giorni. Non ha voluto. Avrebbe potuto farlo, come alcuni autori dotati di un’eccezionale giovinezza, almeno a partire dagli anni ottant’anni, vent’anni prima della virata del Millennio. Ma forse non serviva a lui e non serve a noi. A volte abbiamo bisogno di penne anchilosate per scoprire anche nelle pagine che sembrano meno contemporanee una spunta di attualità. Quindi cosa ci lascia Kundera? Ci lascia Lo scherzo, il suo più grande romanzo, e un cucchiaio di legno, come quello di Cusano, per scavare in profondità dove oggi si cerca con altri strumenti, come quelli della letteratura politica. Kundera, che di politico aveva meno di quanto si credesse, è l’occasione di approfondire senza cedere ai libri volantino, i libri propaganda. Leggerlo, almeno qualche volta, significa ricongiungersi con la letteratura, che è fatta sì di avventure e intrighi di sostenibilissima leggerezza, ma anche di drammi e Storia di insostenibile complessità.