La potremmo chiamare età dell’elio. Finito di sfogare i propri naturali pensieri, lo Scrittore prende il palloncino e fa una bella tirata, nella speranza di ricaricarsi: ma quello che esce è una parodia della sua voce, per di più autoinflitta. Qualche mese della mia vita (La Nave di Teseo, 2023) è l’acuto comico di uno scrittore che ha saputo ingannare tutti, persino se stesso, convinto di essere qualcosa che non è mai stato: se non giovane, almeno ribelle.
Un volumetto scritto di fretta, un tentativo di accampare scuse per alcuni degli ultimi eventi che lo hanno investito, dalla lite con il filosofo Onfray, altro acrobata del nulla come lui ma – proprio come lui – molto quotato, al rischio di finire nei manifesti 100x140 con un porno d’autore in cui un vecchio tenta una cosa a tre con sua moglie e un'altra donna. Qualcosa che, nella sua testa, sarebbe dovuto finire solo su OnlyFans. Sarebbe stato ingannato dalle clausole scritte in piccolo nel contratto. Ironia: uno scrittore fregato per non aver letto.
Ha tentato anche una causa e nonostante le poche speranza questo libro si inserisce nel grande tentativo di boicottare l’oblio a cui si sente destinato e che sta affrontando con enorme dramma (molto più di quello che ci aspetteremmo da uno come lui). Gerard Depardieu, d’altronde, lo ha caricato a molla. Così il pupazzo Houellebecq tenta invano di alimentare la sua fama pedalando a vuoto sulla bicicletta scassata delle sue contraddizioni: l’animale feroce impegnato per una vita a smontare il politicamente corretto fa la lista della spesa delle sue giustificazioni (e quando fece arrabbiare i mussulmani, e il raggiro per fargli girare un filmino erotico, e perché si possa ancora lottare contro l’eutanasia...).
Poco più di cento pagine per mostrare in tutte le sue sfumature la sua neanche troppo originale forma senile di vittimismo: è stato raggirato, frainteso, messo da parte. Nonostante questo, comunque convinto che si possa credere alla gente più che alle idee: “Tutto sommato, l'effetto principale di questi ultimi mesi è stato quello di rafforzare e di confermare definitivamente in me una vecchia tendenza. Non credo nelle idee, credo nelle persone”. Lo dice mentre nega qualsiasi carità interpretativa dei suoi lettori e soprattutto dei suoi critici. Anche questo, ovviamente, poco originale. Spesso i criticoni vorrebbero essere impermeabili alle critiche.
Leggendo questo libro ci chiediamo: ma quand’è che Houellebecq è invecchiato? Non ce ne siamo accorti? A leggere il suo Annientare (2022) ci sembrava tutto ok, solita anima nera. E invece ora ce lo ritroviamo sincero e trasparente, persino conciliante a tratti. Insomma, obsoleto. Semplicemente senza più energia. Possibile che un anno faccia così tanto? Ovviamente no.
Houellebecq ha sempre giocato al ribasso girando intorno alle solite quattro idee, scritte nel solito modo, nella speranza di poter apparire nei giornali e nelle discussioni su qualsiasi tema di attualità pescando nel cesto. Nulla di male fin qui se solo non ci si accontentasse di avere delle idee, puntando invece ad averne anche di intelligenti. Ma mai chiedere a un uomo stanco come Houellebecq di sforzarsi. Eccolo il grande bluff. A metà tra il voler essere un maledetto e il non voler passare per una maschera (mi si nota di più se faccio il marcio o se dimostro di essere marcio davvero?), lo Scrittore dà alle stampe la sua excusatio non petita.
Houellebecq è un po’ come quei bar ecosolidali che fanno pagare i frullati dodici euro e servono cappuccini di soia, perché sono cruelty free, ma aprono alle 9:30 del mattino, appunto per chi non ha niente da fare, mentre il piccolo bar tabaccheria è aperto dalle sei, pieno di operai onnivori e poster ingialliti. Allo stesso modo, lo Scrittore prossimo al pensionamento deve tirare i remi della pantomima in barca e ammettere che sì, l’anticonformismo non l’ha mai trovato aperto; passava di lì, ma l’intelligenza letteraria del francese aveva ancora le saracinesche chiuse. Avrebbe aperto con comodità alle 9:30, in tempo per passare di moda.