I tormentoni tormentano. Sottolineiamolo, una volta tanto. Troppo facile parlare dei tormentoni come categoria teorica e in fondo innocua, come se non facessero il lavoro per cui sono stati assoldati. Di spazio colonizzabile ne hanno tantissimo. Palestre, piazze, ristoranti. E poi i feed social, le tv sempre accese dei bar distratti, le radio che ti accompagnano al lavoro. Lo spazio lo hanno anche in locali che spacciano per esclusive feste strutturate su playlist che ogni piscina minimamente organizzata propone come sottofondo per tuffi e splash splash assortiti. Niente di male, sia chiaro. Non fosse che la logica del tormentone, oggi, è perpetua. Il flusso della pop music, sempre oggi, fa leva su tormentoni che percorrono tutte le stagioni, mica solo l’estate. E allora riscopriamola, l’estate. Di nuovo grazie alla pop music. Quella che il senso dell’estate ha contribuito a definirlo, a incapsularlo. “Perché – come il filosofo contemporaneo Jerry Calà ebbe a scrivere in un suo trattato anni ’80 – l’estate non è una stagione, è uno stato d’animo”.
CALIFORNIA GIRLS, The Beach Boys, 1965
Solo una band storicamente vittima di tensioni, malumori e ossessioni (soprattutto quelle di Brian Wilson) poteva inventarsi la brama e il mito dell’estate. Prima dei Beach Boys, l’estate della pop music era un soffio intermittente. Con i Beach Boys è diventata un vento. Il vento del surf, dell’escapismo, del desiderio. Il desiderio che permea “California girls”: “Vorrei che tutte le ragazze fossero californiane”. Stanchi della versione originale? Vent’anni dopo, nel 1985, ci penserà David Lee Roth a rileggere il brano con gusto cialtrone, senza tuttavia cambiargli i connotati.
SCHOOL’S OUT, Alice Cooper, 1972
Che la scuola finisca prima dell’estate lo si sapeva anche prima del 1972. Solo che se è Alice Cooper, un freak allampanato col volto di uno stregone, a urlarcelo, il discorso cambia. E infatti “School’s out” è un editto, un marchio. Chiunque abbia solo un velato interesse per l’universo hard-heavy sa bene che, agli inizi di giugno, fosse anche per qualche giorno soltanto, nel cervello, parte questo inno del primo Alice. Automaticamente.
SUMMER ON A SOLITARY BEACH, Franco Battiato, 1981
Chi l’ha detto che l’estate debba essere una proiezione hawaiana e non, invece, un quadro moderno? Battiato è stato spesso percepito come il topo da biblioteca, la voce intellettuale, del nostro pop, ma diversi suoi brani evocano e rievocano la poesia degli spazi aperti, il vigore proustiano di una memoria che l’età adulta tenta di smorzare. “Summer on a solitary beach” è una fuga sospinta da un desiderio sussurrato. Niente di eclatante, ma la melodia ti entra sotto la pelle. Il “mare”, qui, è una strada per fuggire lontano. Otto anni dopo, allo stesso “mare mare mare”, Luca Carboni avrebbe chiesto pazienza: “Sto accelerando e adesso ormai ti prendo”.
SUMMER OF ’69, Bryan Adams, 1984
L’estate come nocciolo vivo di una biografia. Il rock melodico – declinato anche come AOR, FM rock e via dicendo – è stato, ed è, una fucina di gemme estive. Una di queste l’ha scritta Bryan Adams. Così “Summer of ‘69” diventa un romanzo che non dura neppure quattro minuti. Perfetto come “Stand by me”, fantastico racconto di formazione estivo girato, due anni dopo, da Bob Reiner (la storia è di Stephen King).
PEOPLE FROM IBIZA, Sandy Marton, 1984
Come i Righeira (stesso periodo, origini diverse) anche Sandy Marton, all’epoca, fu una sorta di one-hit wonder. Eppure “People from Ibiza” è molto più che un tormentone invecchiato. “La scrissi in un pomeriggio – ha dichiarato di recente Sandy. Partii copiando una sequenza jazz del violinista Jean-Luc Ponty e un arrangiamento di Ryuichi Sakamoto, da “Merry Christmas mr. Lawrence”. Funzionava e chiesi a Claudio Cecchetto se potevo parlare di Ibiza. E lui: cos’è Ibiza?” Appunto, cos’è Ibiza? Questo è il brano che rivelò il mito della Isla Blanca agli italiani.
LOOKING FOR THE SUMMER, Chris Rea, 1991
Che uno come Chris Rea sia nato a Middlesbrough – North Yorkshire – suona, da sempre, come una beffa del destino. O forse è proprio l’incontro fra il nord inglese e l’animo mediterraneo di Rea ad aver donato a questo chitarrista blues un inafferrabile esotismo. Chris Rea è uno dei grandi cantori dell’estate (“Josephine”, “On the beach”). In “Looking for the summer”, pezzo nebbioso perché aprile non è ancora estate, aspetta la stagione che più ama. La sente arrivare, la insegue. La vuole. E le dedica un brano sornione e raffinatissimo che è più eloquente di un fuoco d’artificio.
SUMMERTIME, DJ Jazzy Jeff & The Fresh Prince, 1991
Anni ’90, l’hip hop esce dagli States. Si impone non solo come strumento di lotta e polemica, ma anche come erede di una rilassatezza funk che sembra essersi persa via con la stagione di Earth, Wind & Fire, Chic e compagnia. “Summertime”, a tutt’oggi, è ancora la colonna sonora del barbecue definitivo. Fat, scialla, irresistibile.
NEEDIN’ U, David Morales presents The Face, 1998
Se c’è un pezzo che sintetizza lo spirito di Ibiza “mecca del clubbing” degli anni novanta, questo è “Needin u”, brano monstre concepito da uno dei dj/produttori più ambiti dell’epoca, David Morales. Si tratta di un imperioso viaggio house che non fa prigionieri. La notte e il giorno sono suoi. Ibiza 24/7 è sua. La radice? “Let me down easy” d Rare Pleasure. Lo stratagemma per concupirti e sottometterti? Farti attendere l’esplosione della melodia a colpi di ripetuti mini-breakdowns.
INSIDE ALL THE PEOPLE (HARVEY’S IBIZA SLEEPY MIX), Planet Funk, 2001
L’inizio del nuovo millennio è un caos, ammettiamolo. Teso, cupo. Cambia tutto: i mercati, le nazioni, i codici per intendersi o non intendersi. L’uomo moderno, oppresso da un’idea di futuro sempre più ballardiana, cerca l’ipnosi del ristoro, una pace ambient in cui ritrovarsi. La intercetta in questo pezzo di electronica orizzontale in cui quell’assoluto anticonformista di Harvey si porta a casa la melodia degli italiani Planet Funk per trasformarla in una dilatatssima trama sonora che è alba e tramonto insieme. Pure bliss.
YEAH, Usher feat. Lil Jon & Ludacris, 2004
Con un riff di synth che, in quanto a viralità – diremmo oggi –, se la gioca con pesi massimi come “Jump” dei Van Halen, “Yeah” è il cuore di ogni block-party della prima parte del nuovo secolo. Due rapper in stato di grazia a sorreggere la melodia soul di Usher e il gioco è fatto. “Yeah” è quel momento in cui ti rendi conto che la tua gloria personale inizia in un locale, attorno a mezzanotte. Ci sono i tuoi amici. Una bella ragazza in pista. E il giorno dopo sarà ancora estate.