Chiara Valerio non ha fatto in tempo a finire di difendere Leonardo Caffo, il filosofo a processo contro la sua ex compagna per maltrattamenti e lesioni, che finisce in una seconda polemica, che non ha nulla a che fare con Più libri più liberi ma con Robinson, il periodico letterario de La Repubblica. Come ogni anno, la rivista del gruppo Gedi propone dei libri in edicola, tendenzialmente curati da nomi vicini a Repubblica. Il primo volume della nuova collana, presentato e pubblicizzato proprio da Chiara Valerio in collaborazione con le pagine del quotidiano, è Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf, considerato tra i libri più importanti del femminismo di inizio Novecento, definito proprio da Repubblica “il libro che ci ha fatto aprire gli occhi sulla questione femminile”. Questa edizione speciale è uscita in edicola il 24 novembre con prefazione della scrittrice italiana di romanzi rosa Felicia Kingsley e l’ultimo numero di Robinson è stato dedicato all’uscita, a partire da un intervento proprio della prefatrice, di Chiara Valerio e di Sara Scarafia. Bene, tranne per un particolare. Traduzione e note non sarebbero originali e la curatrice dell’edizione presa in prestito (e commercializzata con il logo Robinson di La Repubblica) avrebbe scoperto di questa edizione il giorno stesso dell’uscita.
È Nadia Fusini, traduttrice, anglista e scrittrice italiana di fama internazionale, docente prima a Bari e poi a La Sapienza di Roma e alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha studiato a Harvard ed è tra le principali studiose di Shakespeare in Italia (e proprio sull’autore inglese ha tenuto fino al 2008 un corso all’Università di Roma Tre). A Virginia Woolf ha dedicato vari libri, tra cui una biografia per Mondadori nel 2006, Possiedo la mia anima. Il segreto di Virginia Woolf (Premio Comisso). Ed è stata proprio lei ad aver dato la notizia sui suoi canali social: “Oggi con desolazione su Robinson mi ritrovo a mia insaputa coinvolta in un’operazione commerciale fuorviante e avvilente, in cui si presenta Una stanza tutta per sé, utilizzando la bella traduzione dell’amica Maria Antonietta Saracino, da tempo scomparsa, con le mie note al testo, riprese entrambe dai Meridiani Mondadori da me curati”. Dopo questa segnalazione, Fusini si concentra però sulla qualità della nuova edizione, entrando nel merito della manovra cultura fatta da Repubblica insieme a Chiara Valerio: “Tutto questo al fianco di una mediocre scrittrice di romanzi rosa, che firma la prefazione, e la postfazione di una scrittrice, polemista, giornalista, editorialista, organizzatrice di eventi culturali, e chi più ne ha più ne metta, che si ostina ancora a non distinguere tra Al Faro e Gita al faro. Quest’ultima, poi, su Instagram si avventura a supporre che sempre Virginia, mossa dalla sua inesauribile curiosità, magari avrebbe usato Tik Tok…”. E continua: “Ora, al mondo ci sono giornalisti e giornaliste seri e serie, persone oneste che senza troppe storie ci istruiscono in ordine alle cose che accadono nell’universo dei media. Dove nuove forme fanno irruzione e cambiano in parte la comunicazione. Adesso è arrivato il momento di scoprire Tik tok? Ok, chi vuole faccia pure. Ma questo per favore non ci induca all’equivalenza tra le diverse forme di espressione. Qualcuno tempo fa ci ha insegnato che se il medium è il messaggio, dobbiamo essere sempre più intelligenti, e non rifiutare nuovi media, ma certo non fare di tutta l’erba un fascio. E no, a dire il vero, Woolf io proprio non ce la vedo tiktokkare… O come diavolo si dice”.
Perché tentare di attualizzare una scrittrice come Woolf cercando di cucirle addosso, a posteriori, inclinazioni e intenzioni giovanilistiche o tipiche dell’epoca social? Se davvero il suo è il libro che ha “fatto aprire gli occhi sulla questione femminile”, come sostenuto nella campagna pubblicitaria per la nuova edizione, perché tentare di accaparrarsi il favore dei più giovani in questo modo? Fusini ha le idee chiare sulla manovra coordinata da Chiara Valerio: “Il punto è che giornaliste e giornalisti attivi nella gestione dell’economia del mondo editoriale, più che scrittrici e scrittori, come si autodefiniscono, sono funzionari al soldo della creazione del fatturato di tale universo e sono pronti e pronte a tutto, e pur di fare caciara alla fine lasciano perdere le distinzioni e confondono il senso stesso del lavoro culturale. Che è per l’appunto quello di distinguere. Perché questo tipo di confusione è letale, spegne l’intelligenza. Acceca di fronte alla verità. E alla fine mette a fuoco solo il successo, basato sulle copie vendute e sul numero di visualizzazioni ricevute. Virginia Woolf non merita questo trattamento. Non lo meritano le lettrici e i lettori. E penso di non meritarlo neppure io, che a quelle note ho lavorato con rigore e passione per un progetto editoriale tutto diverso”.