Molti si sono interessati, e continueranno a farlo, al tema scrittura e 11 settembre. Le mie riflessioni, invece, da tempo, sono bloccate a quella data e a un romanzo: “Le Correzioni”, di Jonathan Franzen, pubblicato appena una settimana prima. L’autore, in parecchie interviste, rilasciate subito dopo il successo mondiale, ha dichiarato che non si aspettava certo un tale successo, per un romanzo che in fondo è una vicenda familiare e intima, dopo che la Storia era stata squarciata dall’attacco al World Trade Center. Non andò così, il romanzo fece di Franzen un autore di culto. In tanti, ancora oggi, tendono ad attribuire quel successo a Oprah Winfrey, che lo scelse per il suo club del libro (fatto al quale seguì una polemica con Franzen che snobbò la scelta in un eccesso/accesso di radicalità).
Io la penso diversamente. “Le Correzioni” di Jonathan Franzen diventarono un libro epocale proprio perché contemporanee all’11 settembre. Quel romanzo, quasi (o forse del tutto un’autofiction) che raccontava di una famiglia del Midwest americano che tracollava sotto il gap generazionale, e nel quale si raccontavano tutte le sfumature di tutti gli amori disfunzionali e al contempo facendoci innamorare di tutti i suoi personaggi con tutti i loro difetti, e con una lettura metafisica di sottofondo, era “Il” romanzo del quale l’America aveva bisogno per difendersi dal trauma dell’invasione delle coscienze e delle sicurezze che aveva subito con l’attacco terroristico. La componente metafisica de “Le Correzioni” è enorme. Sottolineata dal racconto (di autofiction) che Franzen scrive raccontando della polemica con Oprah Winfrey: “Ci vediamo a St Louis”, che si può tradurre in “Ci vediamo in paradiso”. Franzen, che oltre a essere un eccellente scrittore è anche bravo nel rilasciare interviste e nello sviare le sue finalità, a un certo punto, dal ritenere l’evento dell'11 settembre un accadimento tale da cancellare lo stesso concetto di romanzo dalla faccia della terra, arrivò a dire: “L’11 settembre è stato un fatto minore”.
Sono d’accordo con lui: l’11 settembre è stato un fatto minore che però ha bloccato il mondo a quella data e la Letteratura a quel romanzo: dal 2001 in poi nessun romanzo ha avuto quella portata totale de “Le Correzioni”. Siamo rimasti intrappolati in un trauma globale e in un romanzo familiare. Abbiamo reagito a quella tragedia rinchiudendoci tra le mura di casa. Siamo diventati, in qualche maniera degli Hikikomori della vita e della scrittura. L’unico a cercare di “sbloccare” questa situazione è stato proprio Franzen, con “Purity”, un romanzo “pynchoniano”, dietrologico, cospiratorio, surreale (con l’11 settembre la “surrealtà” è diventata l’unica “realtà” da raccontare), che però non è riuscito a “sbloccare” niente. Siamo ancora lì, in quella prima metà del settembre 2001, nelle nostre coscienze e nella nostra letteratura. Siamo in quell’autofiction “familiare” all’interno della quale ci ripariamo da una sindrome post-traumatica da stress. Come uscirne? Fisica Teorica al posto delle Trame, Teologia al posto delle Religioni, Metafisica al posto della Psicanalisi: sono questi i temi che la Letteratura dovrebbe assorbire, così come il mondo intero. Attendiamo.