Ecco un estratto di “Vannacci al contrario” di Alessio Mannino, dal capitolo 5, "Sangue, suolo e lampredotto"
(...) Che il senso di patria sia bene o male ancora sentito, e che la forma-Stato abbia tuttora una cogenza non meramente coercitiva ma anche identificativa, su questo non ci piove. Lungi da noi, pertanto, mettere in cattiva luce l’oleografia che fa Vannacci della sua “prima” Patria: “la terra, la tradizione, la memoria ed il senso di appartenenza ad una comunità e ad una nazione”. Idem per la “seconda”, quella “fatta di simboli, riti, inni e cerimonie”, fra i quali “l’alzabandiera ogni mattina, la lettura delle motivazioni delle medaglie d’oro concesse a chi era morto per l’Italia, le note del silenzio durante le cerimonie, gli onori ai caduti, la guardia al milite ignoto”. Lo stesso dicasi per la terza, un po’ troppo da supereroi, da spirto guerrier ch’entro rugge, ma nel complesso sottoscrivibile, “costituita dalle poche persone che, nonostante le avversità, non mollano mai; che vogliono eccellere oltre ogni barriera; che sono pronte a tutto; che ogni giorno spingono un po’ più in là i propri limiti e che ogni volta che rosicano un’oncia di terreno al muro dell’impossibile si sentono realizzati e soddisfatti”.
Semmai, verrebbe da ironizzare sul preclaro esempio di “vero patriottismo” che il generale scova per associarlo agli “Arditi” precursori del “Col Moschin”: l’osteria “All’Antico Vinaio”, celeberrima mecca fiorentina dei panini da asporto. Il proprietario - racconta la nostra guida con trasporto - ha ricevuto un’offerta dagli Emirati Arabi Uniti ma oppose italianissimo diniego, perché “il dna toscano non si tocca”. Lampredotto nostro Piave. Dice: fa ridere, questa. Sbagliato. Vannacci propone una micro-storia un tantinello, sì, sproporzionata all’elevatezza dell’Ideale, ma simbolicissima e di popolarissima comprensione. Dunque, efficace.
Ottimo comunicatore, il Vannacci (o chi lo consiglia). Riferito al suo target, ovviamente: uomini e donne semplici che su Google scoprono “per caso”, com’è accaduto a lui, l’esistenza di Google Ngram Viewer, programma che permette di togliersi lo sfizio di verificare quante volte i termini Italia, Stato, Nazione, Patria siano ricorsi “dagli anni ’50 sino al 2012”. Prevedibile risultato: “frequenza bassissima”. Male, male. L’affetto per il Belpaese si è affievolito progressivamente, massacrato da “ideologie” quale, immancabile, la mala pianta dell’“Internazionale Socialista, tanto cara a Marx”, sfociata nelle lugubri “dittature comuniste”. Nemmeno l’inno di Mameli è stato risparmiato: c’è chi addirittura voleva sostituirlo con le “zingaresche note della ballata di Bella Ciao”. Signora mia, dove andremo a finire.
E che dire del “colmo” raggiunto al Festival di Sanremo 2021, “con il ‘cantante’ Achille Lauro che, vestito di piume, si presenta sul set con il tricolore tra le braccia per poi gettarlo a terra”, prima di terminare “la sua grottesca rappresentazione”. Un vero “ scempio!” (punto, punto e virgola, e soprattutto punto esclamativo: ma sì, abbondiamo). E di sua moglie, rumena, che gode della cittadinanza italiana senza uno straccio di “esamino” per testarne “le basi” di italianità, non ne vogliamo parlare? E “le femministe”, e “la compagine lgtbq+”, scriteriati che “se la prendono con la Patria perché il nome trae origine dalla ‘terra dei Padri’”? Orrore. “Niente più limiti, porti aperti, confini cancellati, immigrati sostituiti da ‘migranti’ che vagano senza meta, senza dogane e senza regole e popoli ben contraddistinti che cedono il passo ad un’umanità che ha per patria il mondo. Eccola la patria progressista”.
Il quadretto, che sembra uscito da un talk show in cui si fa a gara a chi mitraglia più clichés, muove a sdegno l’accigliato Vannacci, uno tosto, che non si fa abbindolare: “a me”, esclama stentoreo, “questa fregnaccia” delle “patrie aperte, ideologiche o di tutti”, “non la raccontate”. Fuori battuta: anche qui, l’indignato in uniforme mescola annotazioni condivisibili (il ridicolo massimalismo linguistico che vorrebbe cancellare o modificare parole che stanno bene come sono), irritazioni di comica grettezza (Achille Lauro nemico della patria, ad leones!), e polemichette di nessun seguito realistico (l’inno resterà quello di Mameli, stia tranquillo generale).
Ma dove, al nostro prode, scappa un’espressione che indurrebbe a sospettare un sostrato di rimandi alla Germania anni ’30, è verso la fine del capitolo: “Il sangue, il suolo, le radici e la tradizione, contrariamente a quanto sostenuto da molti, continuano ad avere il loro perché!”. Il sangue e il suolo? Ahi ahi ahi, signore, lei mi è caduto sul Blut und Boden… Ma come, generale nostro: un fine auto-propagandista come lei che mi scivola su una buccia così sconveniente, così alla Walther Darrè e, per giunta, così di botto? Non comprende, signor generale, che collegare “il sangue e il suolo” alla pur condivisibile necessità di radicamento e al giusto riconoscimento della tradizione significa infiocchettare un bel regalone ai suoi disistimatori - fra i quali, nel nostro piccolo, ci mettiamo anche noi? E poi, quale tradizione? Fino a quando arriva, questa benedetta tradizione? Alla dieta mediterranea? Alle basi Usa di guarnigione sul suolo nazionale? Alla liretta? A Craxi-Andreotti-Forlani? Ai cartoni animati giapponesi? A Dallas e alle telenovelas? Al telefono a gettoni? Ce lo dica, signor generale, che ce lo segniamo.