In una recente intervista (Il Fatto Quotidiano, 25 agosto), lo storico Franco Cardini ha detto che “Il Mondo al Contrario” del generale Roberto Vannacci “è come il Mein Kampf, il Capitale o la Bibbia: lo citano tutti, ma non l’ha letto nessuno”. In effetti, l’opinione che ne hanno tratto quasi tutti, finora, si è basata su poche citazioni, solitamente breve e secche, estratte senza un minimo di contestualizzazione, come invece sarebbe d’obbligo fare per qualsiasi libro, anche quando non se ne condividano le tesi. Il guaio, per l’ex comandante, oggi sostituito alla presidenza dell’Istituto Geografico Militare e sotto indagine disciplinare, è che se si approfondisce il contenuto leggendo la sua opera per intero, fioccano altre affermazioni che confermano, semmai caricandole in peggio, le quattro o cinque estrapolate a tutta prima (come l’ormai famosa “Cari omosessuali, normali non siete: fatevene una ragione!”). Di seguito, quindi, il lettore troverà dei brani, a volte anche di una certa estensione, corroborati da un commento esplicativo, così da orientarsi un minimo e afferrare il senso di fondo di quella massa veramente imponente di proposizioni di cui è autore Vannacci. Ogni citazione farà riferimento al capitolo a cui appartiene, dei dodici che compongono il tomo, di oltre 300 pagine.
La lingua batte dove il progressista vuole (e la notte si lavora)
Nel primo capitolo, dedicato al “Buonsenso” che per Vannacci è, né più né meno, l’insieme di giudizi che lui attribuisce alla “maggioranza”, il Nostro tocca, come fa sempre del resto, molti temi. Uno di essi è il tentativo, da parte “progressista”, di piegare la lingua italiana all’inclusività di genere. Solo che, per dimostrare tutta la discutibilità dell’operazione, si lancia in una caricatura a sua volta caricaturale.
“Il soldato deve diventare anche soldatessa, l’ingegnere si tinge di rosa diventando ingegnera ed anche il colonnello si deve rassegnare, anche lui avrà il suo alter ego al femminile perché anche e soprattutto la nostra melodica ed antica lingua è sessista! Peccato che non si sia mosso alcuno per far diventare la maschera (quello che al cinema o a teatro ci indica il posto dove sedere) il “maschero” o la guida il “guido” o la guardia il “guardio”….”.
Il capitolo 2 è riservato all’ambientalismo, bestia nera del generale che non condivide affatto gli allarmi sul cambiamento climatico e sull’inquinamento dell’ecosistema. Anche qua, si lascia andare a ipotesi per assurdo decisamente assurde (e un po’ comiche), a proposte di fantasia senza appoggi con la realtà, nello specifico, produttiva e sociale, o a ragionamenti scombiccherati, confondendo ad esempio Ogm e sessualità biologica umana.
“Se dovessi preservare l’ambiente così com’è, e come Madre Natura l’ha concepito, dovrei rinunciare a lottare contro il vaiolo, prodotto squisitamente naturale”
“Se l’Etna erutta e la sua colata lavica si dirige verso Catania, dovremmo assolutamente astenerci da ogni tentativo di deviarla per non ledere un processo evolutivo naturale dell’ambiente che, come soggetto giuridico, ha i suoi inalienabili diritti?”
“Se ormai da anni superiamo o ci avviciniamo ai 40 gradi in estate non ci vuole un genio per capire che in molte situazioni è maggiormente indicato lavorare di notte. Ho servito in Iraq, complessivamente, per quasi due anni e, nei mesi estivi, quando le temperature superano i 50 gradi all’ombra e quando a toccare il fucile a mani nude ci si ustiona, le forze militari irachene che addestravamo svolgevano l’attività “esterna” dalle quattro alle nove del mattino. (…) Nei paesi mediterranei avremmo potuto organizzarci strutturalmente da tempo per consentire questo slittamento dell’orario di lavoro estivo senza, ogni estate, lamentarci di quanto sia improponibile “faticare” con la canicola. I nostri nonni, soprattutto al sud dello Stivale, abbassavano le serrande dall’una alle cinque del pomeriggio e si concedevano la “siesta”, ma loro vivevano a contatto con la Natura e forse, proprio per questo, erano molto più saggi di noi”.
“Fatto ancora più esilarante, nella sua assurdità, è la preoccupazione immotivata ma assillante verso il patrimonio genetico dei cereali e delle piante che si contrappone al menefreghismo totale circa il genoma umano: oggi, infatti, a prescindere dai nostri cromosomi, ci possiamo chiamare uomo, donna, trans o come ci pare solo in base alle nostre percezioni e abbiamo socializzato l’idea che l’essere genitori non discenda anche e soprattutto dai legami biologici e dal sangue, ma costituisca unicamente un atto di “amore”. La genetica applicata al genere umano è stata svilita a semplice “narcisismo”.
I No Vesuvio e l’attrattività della Mongolia
Al capitolo numero 3 si trova una lunga dissertazione sull’energia. Si può intuire che Vannacci sia: nuclearista, contro il new deal elettrico, attaccato con affetto all’auto privata e, ancora e sempre, avversario del green, di Greta, dei movimenti come Ultima Generazione e dell’intera critica ecologista al modello di sviluppo occidentale (legittimamente e non senza alcune buone ragioni, per altro). Ma anche stavolta, si abbandona a paragoni che si commentano da soli.
“Pensate, infatti, alla zona attorno al Vesuvio ed ai Campi Flegrei, classificata ad alta pericolosità vulcanica, dove si trova una delle aree a più alta densità abitativa d’Italia. L’eventualità che un’esplosione piroclastica metta a rischio la vita di milioni di persone – come peraltro già realmente avvenuto un paio di migliaia di anni fa – ci spaventa di meno di una centrale super controllata, monitorata e costruita secondo i più stringenti requisiti di sicurezza. Gli adesivi con “Vesuvio? No grazie” non li ha mai commercializzati alcuno!”
Il quarto capitolo racchiude la visione vannacciana sulla società multiculturale e multietnica, di cui si dichiara fiero nemico. Fino a sostenere, per controbattere ai paladini dell’immigrazione come fenomeno inevitabile, che un migrante ha l’imbarazzo della scelta, quanto alle destinazioni in cui riporre la speranza di rifarsi una vita. Ce ne sono eccome, di Stati in cui, “tutto sommato”, i diritti umani sono tutelati…
“…l’ospite, qualora non contento di quello che la nostra società possa offrire, è libero di andarsene, di spostarsi e di trovare un luogo a lui più congeniale. Ci sono tanti altri paesi, oltre l’Europa, che garantiscono l’assenza di guerre, carestie, e fame. In Algeria, Marocco, Tunisia, Egitto, Turchia, non si muore d’inedia e non vi sono conflitti. In Senegal ed in Ghana neanche, come tutto sommato sono garantiti i diritti umani fondamentali in India, in Pakistan in Kazakistan, in Mongolia, in Nepal, in Sudafrica, in Niger ed in tutta l’Indonesia (…)”.
Attento, il vicino ti guarda (magari armato fino ai denti)
Il capitolo 5 tratta un argomento che sta molto a cuore all’opinione pubblica, specialmente di destra, ma non solo: la sicurezza. Il generale propone la linea dura: più controlli (e anche, va da sé, l’esercito nelle strade). Manganelli di polizia, aneddoti personali alquanto inquietanti ed elogio dell’autodifesa armi in pugni sono solo alcuni, ma molto significativi, scampoli del Vannacci-pensiero sull’urgenza di garantire, anzitutto, il diritto di proprietà.
“I giovani possono delinquere, spacciare e occupare spazi pubblici e privati dove inscenare rave parties perché il loro diritto a essere giovani scapestrati prevale sull’inviolabilità della proprietà privata. Guai a reprimere, vietato vietare, mal gliene colga al povero poliziotto che, manganello in mano, tenta di fermare le orde di violenti manigoldi”.
“Anni fa mi trovavo in Germania, in una ridente località sulle Alpi e, correndo con un collega tra le strade sterrate mi fermo a osservare un bel chalet isolato che oggi sarebbe definito “green” per la presenza massiccia di pannelli fotovoltaici in ogni spazio disponibile. Guardiamo attentamente per qualche minuto, facciamo qualche considerazione avvicinandoci all’ingresso della villa e riprendiamo il nostro jogging disquisendo su quanto osservato. Poco dopo raggiungiamo una strada asfaltata e, questione di poche falcate, veniamo raggiunti da un’auto della polizia che accosta davanti a noi. Un po’ stupiti ci fermiamo ai bordi della strada e i due agenti, scesi dall’auto, ci salutano cordialmente e cominciano a questionarci su che cosa facessimo, chi fossimo, dove andassimo, perché ci fossimo fermati vicino ad un’abitazione con fare – a dir loro – sospetto e avessimo scrutato attentamente l’interno di uno spazio privato. Sprovvisti di documenti di identità, poiché in pantaloncini e maglietta, rispondiamo candidamente a tutte le domande e, comunque, veniamo molto cortesemente accompagnati presso il nostro albergo al fine di verificare se, effettivamente, la nostra versione dei fatti fosse veritiera. Erano stati i proprietari dello chalet ad avvisare le forze dell’ordine che sono immediatamente intervenute, anche se non era stato commesso alcun reato, per il semplice fatto che si fosse percepito un comportamento che poteva suscitare dei sospetti. Pressione sociale, efficienza delle organizzazioni statali e certezza della pena”.
“Dove si trova lo Stato quando il malvivente è già entrato nella mia camera da letto con una spranga in mano e minaccia me e la mia famiglia? Perché non dovrei essere autorizzato a sparargli, a trafiggerlo con un qualsiasi oggetto mi passi tra le mani o a catapultarlo giù dalle scale o dalla finestra dalla quale sta tentando di entrare e renderlo per sempre inoffensivo. (…) Se non posseggo un’arma, almeno quale extrema ratio, cosa posso fare? Quale sarebbe l’alternativa dell’onesto cittadino? Aspettare, arrendersi e pregare che i malviventi siano magnanimi? Dar loro tutto quello che chiedono? E se oltre ai soldi, gioielli e valori che mi sono costati anni di sacrifici e di onesto lavoro volessero anche farsi una sveltina con mia moglie o con mia figlia minorenne?”
Il focolare di una volta e Pol Pot fluido
Il capitolo 6 riguarda la casa, custode del “focolare” (scrive proprio così, con retorica da primo Novecento). Qui le disquisizioni fanno pendant con quelle precedenti sulla sicurezza, anche se si concentrano maggiormente sull’emergenza, per Vannacci assoluta, delle occupazioni abusive di immobili sfitti. C’è troppa libertà, troppa. E parte il volo pindarico.
“…l’esistenza di un qualsiasi diritto non può implicare la perpetrazione di un reato per permettere il godimento del diritto stesso. “Tutti gli uomini nascono liberi” – titola l’articolo 1 della “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”, ma non è che se uno sprovveduto mi confina dentro una casa, un ufficio o un aereo io spacco tutto e malmeno lo sconsiderato procurandogli lesioni per godere del diritto alla libertà”.
Nel settimo capitolo Vannacci esamina quella che considera la formula “vincente” di ogni società dagli albori dell’uomo: la famiglia, intesa come nucleo familiare di padre, madre e figli (il cui mito “tradizionale” ha in realtà solo, grossomodo, due secoli, ma lasciamo perdere). Superfluo rivelare che per il generale non esiste nient’altro al di fuori di essa. E in essa, a contare è la gerarchia. I luoghi comuni e un certo tono da caserma si sprecano.
“…gli animalisti che sostengono che l’amore, che assolutamente non può definirsi affetto, è possibile anche nei confronti di una tenera bestiolina e che, quindi, pretendono esteso il concetto di famiglia a chi vive con un gatto, un cane, un porcellino d’India o, addirittura, un maiale. Non si spiegano il perché, dunque, alla scomparsa del padroncino l’adorato essere peloso non debba avere il diritto di percepire la pensione di reversibilità come invece l’avrebbe un coniuge o un figlio minorenne”.
“Tutte le collettività evolute hanno il problema di non farli nascere i bambini piuttosto che di promuovere la procreazione. È per questo che ci siamo inventati i preservativi, le pillole anticoncezionali e l’aborto!”.
“La genitorialità non legata al sesso esiste in Natura ma fa parte di particolari e specifici casi in cui ci si è dovuti adattare a tragedie non previste o a condizioni estreme ma sempre preservando l’interesse della perpetrazione della specie. Negli albatros – per esempio – ci sono pochi maschi e moltissime femmine (beati quei pochi!)”.
“Per quanto sia sicuramente fuori luogo parlare di “diritto” applicato ai fenomeni naturali – governati da ben altre leggi rispetto a quelle dei codici giuridici – è manifesto che in Natura sono prevalentemente i dominanti ad accoppiarsi. L’opzione di procreare, quindi, più che un diritto verrebbe definita un privilegio riservato ai pochi che, più di altri, danno dimostrazione di quelle caratteristiche irrinunciabili a fare progredire la specie. Una vera e propria élite che si guadagna spesso a suon di cornate, lotte, morsi, calci e lunghe azzuffate il privilegio di mettere al mondo un altro esemplare della propria varietà. La Natura, quindi, ragiona proprio con una logica opposta a quella che vorrebbe imporre il concetto di “diritto alla genitorialità” che, in quanto tale, dovrebbe essere invece esteso senza alcuna discriminazione ad ogni elemento della società umana (…)”.
“Nel tragico esperimento della Cambogia di Pol Pot i genitori perdevano da subito ogni autorità sui bambini che venivano affidati a comunità controllate dai rappresentanti del terrificante regime. Ora, la fluida società moderna degli Stati che si professano liberi e progressisti sta conseguendo i medesimi risultati con metodi che solo apparentemente appaiono meno coercitivi. Creare lo stato di necessità, o approfittarne, per imporre un sistema sociale dove entrambi i genitori siano spinti a lavorare, e a dover quindi affidare i figli a istituzioni pubbliche, ed esaltare questo modello quale simbolo dell’emancipazione femminile, della giustizia sociale e del riscatto degli oppressi alla fine porta agli stessi esiti”.
“In una famiglia, per dirla semplicemente, c’è chi comanda, i genitori, e c’è chi esegue, i figli. Per quanto contestato sia il modello gerarchico, è proprio la Natura che lo ha imposto dalla notte dei tempi allo scopo di evitare che giovani ed inesperti esseri, se lasciati a loro stessi, andassero incontro a morte prematura”.
Il gay è come il masochista (o il vegano)
In un libro prolisso e ripetitivo, in cui l’autore torna e ritorna sulle stesse cose in più punti, meglio attenersi a un criterio selettivo, e perciò, in questa sede, chiudere in bellezza (o in bruttezza, dipende dai punti di vista), con il bersaglio forse preferito da Vannacci, l’incarnazione stessa di ciò che non è “normale”: la rivendicazione di parità da parte delle categorie lgbtq+ (a cui aggiunge altri due segni +, facendo ironia comprensibile, anche se spicciola). La tesi di fondo è ribadita: per sapere in cosa consista la “normalità”, basta rivolgersi all’Istat e suddividere tutto, ma veramente tutto, secondo il rapporto fra maggioranza e minoranza. Riduttivo, ma efficace.
“In Italia l’ultima ricerca ISTAT sul tema risale al 2011 lasciando evincere che solo un milione di persone si è dichiarato omosessuale o bisessuale. Rapportato alla popolazione italiana sopra i 16 anni di età si tratterebbe pertanto di un misero 2%. (…) Giusto per fare dei paragoni pensate che in Italia, da fonti del Ministero dell’Economia e Finanze, circa 1,6 milioni di italiani hanno un reddito annuo lordo superiore a 60.000 euro: eppure associazioni e movimenti di ricconi che manifestano nelle piazze avocando a chissà quale protezione in nome di un’appartenenza ad una minoranza di censo discriminata innanzitutto dal fisco non esistono. Secondo l’INAIL, 6 persone su 10 nella Penisola soffrono settimanalmente di mal di schiena: eppure nelle nostre serie TV, giornali, spot pubblicitari e cartelloni non vediamo rappresentate schiere di lombopatici che deambulano a malapena e che reclamano busti ortopedici gratis. Infine, sempre secondo dati ISTAT, la comunità degli over 80 rappresenta oltre il 7% della popolazione italiana: eppure i nostri cari anziani non vantano una loro bandiera e non sfilano in una manifestazione di orgoglio geriatrico, come invece la comunità gay ostenta”.
“…un matrimonio gay non è normalità per una semplice considerazione: nel mare magnum dei matrimoni le unioni omosessuali, seppur in crescita, rappresentano ancora una risicata minoranza significativamente limitata tale da configurarle come un’eccentricità (…) Un esempio al riguardo: chiunque in Italia può farsi un tatuaggio in fronte emulando l’etnia Maori della Nuova Zelanda, niente e nessuno glielo proibisce ed è una pura questione di gusti e di estetica, ma certo costui viene considerato quanto meno un eccentrico e un diverso e, comunque, non è ammesso nei concorsi per entrare nelle Forze Armate e forse nemmeno in Magistratura o nella carriera diplomatica. Il gay, il masochista, il vegano, il mangiatore di cani o di gatti pure è un eccentrico, e tutte le porte gli devono essere aperte nel nome della parità, ma almeno non dovrebbe ostentare la sua eccentricità nel rispetto dei comportamenti e dei valori comuni”.
“Anche gli Scozzesi vestono le gonne, ma se vedi uno con un kilt a Palermo qualche sghignazzata alla Vucciria è scontata, ed anche pienamente legittima!”.