“Spesso certe polemiche sorgono per riempire i giornali”. Renato Mannheimer non ha dubbi sul fatto che il discusso caso del generale Roberto Vannacci possa essere solo l’ennesimo destinato a far parlare di sé per alcuni giorni e a spegnersi repentinamente come molte polemiche di mezza estate in passato. E che, nonostante l’assalto alla diligenza e i dibattiti su temi come la “libertà d’espressione” evocati da destra, non sia il segno di un calo di consensi per Giorgia Meloni. Il sondaggista e sociologo, dialogando con MOW, traccia le linee della ripartenza della stagione politica dopo un’estate tutt’altro che scevra di polemiche e scontri tra maggioranza e opposizione.
Mannheimer, dunque lei ritiene che la polemica scoppiata a destra contro la linea dura scelta da Guido Crosetto su Vannacci non sia il primo segno di un calo di consensi del governo?
No, a mio avviso singoli fatti di questo tipo non sono tali da influenzare l’opinione pubblica. Un default o una guerra sono singoli eventi che possono stravolgere i consensi da un giorno all’altro, ma l’opinione pubblica ha tempi di modifica delle sue sensazioni più strutturati sul medio-lungo periodo. E plasma l’evoluzione dei consensi su serie di avvenimenti, piuttosto che singoli fatti.
Com'è la situazione per Giorgia Meloni e il governo al finire di agosto, in termini di consensi?
Ad ora positiva. I consensi per Giorgia Meloni sono stabilmente sopra il 40% e di poco sotto sta il tasso di approvazione per il governo in generale. La premier si è consolidata su un tasso di approvazione del suo operato che le permette di essere giudicata in termini relativamente positivi anche da sacche di elettorato di partiti di opposizione, in primo luogo chi ha votato il Terzo Polo e in seguito alcune frange di elettori Pd. Fa eccezione solo l’elettorato Cinque Stelle, che è il più anti-Meloni”.
Quali sfide dovrà affrontare la maggioranza dall’autunno?
Guardando all’esperienza e alle sfide che attendono il Paese, ritengo che la vera partita non si giocherà su questioni secondarie come il dibattito su Vannacci. Piuttosto, il Paese è atteso dalla dura prova della sfida economica d’autunno ed è sulle partite economiche chiave che il governo si giocherà nei prossimi mesi la difesa del suo consenso.
Rincari, carovita, un’inflazione vischiosa e mordente. Il piatto è ricco…
Sì. E semplificando si potrebbe dire che sarà la capacità dell’esecutivo di far fronte a quei problemi che governano la quotidianità di ogni cittadino a fare la differenza. L’elettorato teme l’incertezza e le preoccupazioni: una crescita delle inquietudini economiche della quotidianità potrebbe risultare in una svolta sui consensi se emergesse una situazione di crisi. E in un certo senso molto si vedrà da come sarà impostata la manovra: c’è un’oggettiva difficoltà nel reperire le risorse che saranno destinate a coprire le misure proposte dall’esecutivo. E se per reperire risorse Meloni fosse costretta a imporre nuove tasse ecco che il clima potrebbe cambiare.
Sul fronte delle opposizioni, invece, c’è stato il riallineamento sul salario minimo. Come lo giudica?
Politicamente, una buona mossa. Staremo a vedere se sarà amplificata oltre le prese di posizione iniziali. Ma la sinistra ha indubbiamente segnato un punto portando per la prima volta Meloni sul suo terreno a parlare di un tema che appare sentito dal 60-70% dell’elettorato secondo molte rilevazioni. Una platea dunque ben più ampia del solo elettorato di centrosinistra. Vedremo Meloni come risponderà a questa sollecitazione e soprattutto se la proposta delle opposizioni saprà articolarsi ulteriormente”.
Insomma, una questione bandiera concreta che può influire…
Una questione reale e sentita. Per la prima volta Meloni deve parlare apertamente e confrontarsi su un tema politicamente rilevante e con cui soprattutto il Partito Democratico può costruire un’agenda di opposizione chiara e più efficace parlando, appunto, di temi che sono interessanti per la popolazione. Politicamente molto più rilevanti di questioni bandiera come i diritti civili, che sono più legati a nicchie elettorali”.
E Conte e il Movimento Cinque Stelle, possono capitalizzare il fatto di essere stati i primi a portare sul tavolo il salario minimo dopo la fine del reddito di cittadinanza?
In questo caso direi che di fronte all’opinione pubblica il Pd e Elly Schlein sono parsi più attivi nel prendere le mosse per la battaglia sul salario minimo, piuttosto che Conte e il M5s. Del resto, Pd e M5s hanno esigenze diverse. Il Movimento può agglomerarsi attorno a battaglie chiavi e unificanti, il Pd ha bisogno di costruire un ampio consenso interno tra correnti interne e visioni del mondo diverse. Elly Schlein può aver segnato un punto nel cercare di unificare il partito in vista delle battaglie future con il tema del salario minimo. Vediamo cosa ci riserveranno i prossimi mesi.