Giorno tredici, Saranda, rovine di Butrinto. Ferragosto è un giorno impegnativo per muoversi in zone turistiche. Da una parte c’è il rischio di rimanere imbottigliato nel traffico mentre ti dirigi verso il luogo dove intendi passare la giornata, ruolo che hai cercato pensando di essere particolarmente arguto, lontano delle mete più battute, salvo poi ritrovarci mezzo mondo, come quando ti metti in coda all’ingresso dell’autostrada la volta che hai deciso di fare una partenza intelligente. Dall’altra c’è la certezza di non trovare parcheggio una volta arrivato, e quindi passare altro tempo in auto, maledicendo il mondo. Infine c’è la forte probabilità, siamo in Albania, l’esperienza insegna, che se opti per saltare le spiagge per andare a visitare un museo, un luogo culturale, o comunque un posto che preveda una cassa, un biglietto, qualcuno che tenga aperto, scoprirai all’ultimo che un determinato luogo riaprirà il giorno dopo alle 9, costringendoti a arrivare in spiaggia a ora di pranzo, parcheggiando a chilometri di distanza, non trovando ombrellone e lettini e concentrandosi solo sul fatto che domani è l’ultimo giorno di vacanza, poi si parte. Quindi, partendo da tutte queste considerazioni, mixandole con la consapevolezza che qui fare troppi ragionamenti non necessariamente porti poi a un risultato ragionevole, decidiamo che oggi, Ferragosto 2023, mentre Giorgia Meloni starà festeggiando con la sua famiglia e Edi Rama, il premier albanese che non solo ha chiaramente stretto un patto economico col nostro governo e con buona parte dei nostri media, ma che in una recente intervista ha anche dichiarato il suo amore intellettuale, ma non solo, per la nostra premier, decidiamo di andare verso Saranda, dove intendiamo sia visitare il castello, quindi storia e cultura, sia andare al mare, come chiunque dotato di un minimo grado di male di vivere in questa giornata. Nel pomeriggio, poi, seguendo quelle tipiche traiettorie che hanno governato questo viaggio e un po’ tutti i viaggi della mia famiglia, e prima di viaggiare in famiglia anche dei miei viaggi da reporter, devoto come sono alla psicogeografia teorizzata da Guy Debord nell’Internazionale situazionista e poi portata avanti da Iain Sinclair, vagare, divagare, errare, perdersi, andare a zonzo lasciando che siano i posti e chi lo vive a decidere la trama, vorremmo andare alle rovine di Butrinto. Saranda, per capirsi, sta a nord di Ksamil, le rovine di Butrinto a sud. Professione pericolo, ma provando a mettermi nei panni della moglie di Edi Rama, direi che poteva decisamente andarci peggio. O meglio, sarebbe potuto andarci peggio, perché vuoi che durante una vacanza di due settimane non ci sia almeno uno dei figli che un giorno non manifesti un qualche malessere, questo aggiunto al mio orecchio tappato e alla mia tosse forte? Se infatti l’altroieri è partito con una mucca che mangiava i fichi del nostro giardino, e ieri con una famiglia di cavalli che veniva a pascolare nei medesimi pressi, oggi, che ci svegliamo a Ksamil, Ferragosto 2023, la giornata comincia con mia moglie Marina che infila una mano nel water di casa e raccoglie dal fondo una palla gigantesca di carta igienica, non esattamente pulita, che è andata a intasare lo scarico. Perché, la legge della privacy mi impedisce di fare il nome di mio figlio piccolo Francesco, uno dei nostri ragazzi nottetempo è stato colto in lande distanti da quelle che ne hanno generato il nome, dalla maledizione di Montezuma, e ha passato almeno un’ora sulla tazza, cagando e vomitando, spesso contemporaneamente.
I nostri piani vanno vagamente a farsi benedire. Nelle nostre intenzioni, infatti, saremmo dovuti andare alla piaggia degli Specchi, abbastanza presto, abbiamo letto che è piccola e con pochi posti, spiaggia cui si accede dal classico stradello, lungo la via che da Ksamil porta a Saranda. Qui avremmo anche dovuto mangiare, immagino nel classico ristorantino sul mare. Poi, nel primo pomeriggio, saremmo dovuti andare al Castello di Saranda, nome in codice Lekursi, per poi tornare indietro e andare verso Butrinto. Tornare a casa, docciarsi, cenare al volo e poi passeggiata sul lungomare di Ksamil. Il ragazzo non sta bene, dobbiamo riorganizzare la giornata. Innanzitutto vado in farmacia, vicino al supermercato di ieri sera, a cinque minuti a piedi da casa, stamattina in macchina ce ne avrei messi venti, vista la coda bloccata di auto che prova a andare verso il mare, fermenti lattici, medicina per bloccare l’intestino, sali minerali. Poi aspettiamo che il piccolo riprenda un po’ le forze e di andare direttamente al castello, è ormai metà mattina, quindi, semmai, dopopranzo faremo un salto in una spiaggia più comoda. Anche per Saranda la strada è bella intasata, anche se almeno a passo d’uomo si muove. Impieghiamo oltre mezz’ora, ma alla fine la vista è spaziale. Da una parte c’è Saranda, arroccata su una collina, sotto un mare smeraldo, dall’altra le colline che portano verso la vicina Ksamil, occultata alla vista. A sinistra, guardando verso Ksamil, la laguna, che sembra quasi un lago, a destra, al largo, ovviamente, la gigantesca Corfù. Il castello è piccolino, a ingresso libero, e ospita più che altro un paio di bar e un ristornino. Foto di prassi, a gruppi di due, il piccolo malato in auto con gli altri due. Si è fatta ora di pranzo, scendiamo. Io ho identificato una spiaggia comoda e, dicono, molto bella, la spiaggia del Monastero. Mangeremo lì penso, poi un bagno. Penso male, perché mia moglie vuole vedere Saranda. Risultato, un’ora in coda per fare mezzo chilometro, il tempo di poter tornare indietro e scappare a gambe levate. Il traffico qui è davvero un problema serio. Ci fermiamo un paio di chilometri dopo, al primo parcheggio che troviamo, tanto ogni due metri c’è una taverna o una pizzeria. Proprio qui sotto, per altro, c’è un piccolo chalet, che sembra incantevole. Ma vorrai mai stare comodo? A Ferragosto? No, dobbiamo andare alla spiaggia del Monastero, costi quel che costi. Google Maps dice che è qui vicino, partiamo. Parcheggiamo in uno slargo, la laguna alla nostra destra, un monumento patriottico a un metro dalla nostra macchina, sotto lo sguardo di un tipo, credo il parcheggiatore. Ci prepariamo per scendere, prendiamo le borse, cambiamo i sandali con le scarpe da mare, tanto qui non c’è da fare nessuno stradello, sembra, quando il tipo si palesa: non è il parcheggiatore, ma un operaio. Ci dice, in albanese, che la spiaggia è chiusa, la stanno ristrutturando. Immagino stiano ristrutturando il lido, ma di fatto non si può andare. Complice un ritorno di buona salute per il figlio malconcio, mia moglie torna alla carica, adesso la nostra vita dipende dall’andare alla spiaggia degli Specchi. Quella dove saremmo dovuti andare stamattina presto perché è piccola, quella con pochi posti, quella che si raggiunge con un irto stradello. Sfinito da dodici giorni di guida qui, ma soprattutto da trentacinque e passa anni di vita insieme, cedo subito, senza opporre resistenza. Metto la meta sul navigatore, e questo è addirittura a soli seicento metri da noi, ma arrivato al punto in cui dovrebbe esserci una qualche indicazione, ecco che proseguiamo dritti, cannando un piccolo sentiero sterrato alla nostra destra. Facciamo due chilometri, e alla prima piazzola torniamo dietro, stavolta attenti a cogliere l’attimo. Da quel momento, come spesso in questi giorni, dieci minuti di panico, con questo sentiero in terra battuta a picco sul burrone dove si viaggia in doppia corsia, pur passandoci a stento una macchina quindi con continue manovre rischiose, scomode, gli albanesi che fanno sempre a gara a chi è il più coglione, vincendo immancabilmente, e oggi anche beccandosi un bel vaffanculo stampato in faccia da parte mia. Trovato parcheggio arriva lo stradello da fare a piedi, scosceso, e che a un certo punto vede anche uno scooter parcheggiato, credo di Brumotti.
Quindi la spiaggia, molto bella, ma molto piccola e molto piena. Ci prendiamo un ombrellone incastrato tra gli altri a quindici euro, zero ombra e nessun bar. Bello, eh, ma la mia idea di relax è altra, parlo a suocera perché mia moglie intenda. Mio figlio non ha pranzato, e continua a chiedere di fare merenda. Beata innocenza. Notazione da capitaneria di porto, qui l’acqua è molto più calda che altrove, ma anche molto più mossa, quindi allontanarsi dalla riva risulta difficile viste le rocce che circondano la piccola calletta in questione. Pensando di dover rifare lo stradello in salita, e poi di dover rifare lo sterrato incrociando altre auto guidate da idioti che vogliono dimostrarmi la loro mascolinità tossica mi viene quasi da piangere, più di quanto già non faccia l’idea che domani è il nostro ultimo giorno qui, domani che comincerà con una diretta su Agorà Estate, su Rai3, perché il mio reportage giornalistico su MOW sta destando interesse, non fosse altro perché io sono qui, non ho difficoltà a raccontare luci e ombre, non sono pagato da nessun governo o ente del turismo, e soprattutto scrivo come un unico Dio della tastiera, nello specifico una tastiera touch di un mini iPad, provateci voi a superare le duecentomila battute, appena fatto, scrivendo su un miniscreen. Provateci, lo sto facendo ora, in una mini calletta con un cane randagio, sì ci sono cani randagi anche qui, nero sporco, che vi si spulcia a meno di mezzo metro, aprendo in voi scenari di malattie rarissime tipo il dengue o una di quelle amebe che proprio recentemente ha ucciso una ragazza che ha fatto il bagno in un lago negli Stati Uniti, mentre a due ombrelloni da me una famiglia di tamarri, stranamente locali, profana il silenzio, una volta tanto che non ci sono le moto d’acqua, sparando dalle casse musica latina decisamente discutibile, oggi si scrive dalla spiaggia degli Specchi, come se i luoghi potessero davvero cambiare lo stile, di solito scrivo da Milano, zona città Studi/Lambrate, se siete in grado di indicarmi correttamente dove ho scritto ora vi pago da bere, rigorosamente birra Korca ghiacciata. Approfitto del fatto che i tamarri hanno sgommato per provare a buttare lì una riflessione, poi magari vado a farmi il terzo bagno del pomeriggio e l’annego tra i pesci visibili a occhio nudo. Ho già detto più volte di questa stramberia per cui questa estate ogni giorno quotidiano e magazine hanno dedicato all’Albania spazio, per altro l’ho detto per una volta trovandomi nei panni per me inusuali del testimone, io non trovo mai una notizia o uno scoop per primo, mica è un caso che dopo oltre venticinque anni che scrivo per quotidiani e magazine non sia diventato per scelta né giornalista professionista e né pubblicista, la notizia non è il mio campo di gioco. Tutti parlano dell’Albania e ne parlano, direi anche legittimamente come di un luogo paradisiaco ancora low cost (certo, sottolineassero anche le mancanze sarebbero più credibili, ma sono giornalisti, mica è colpa loro. Creano quindi una aspettativa molto alta, che in buona parte verrà confermata e ripagata per chi scegliesse di venirci all’ultimo. Ma di contro tutti, ma proprio tutti tutti spalano merda su quasi tutte le mete turistiche italiane. Prezzi alle stelle. Rincari ingiustificati. Hotel e ristoranti quindi vuoti. Fughe altrove, in Albania, appunto. E poi morti annegati, morti caduti dal dirupo, morti per incidenti, ovunque, in Italia. E ancora, scontrini dove si chiedono due euro per tagliare un toast, dove si chiedono due euro per avere un piattino per far assaggiare a un commensale un ordine, prezzi sparati alle stelle senza nessun motivo plausibile. Come dire, l’inferno. Qui e noi, a sole poche miglia nautiche dal paradiso, l’Albania, le nuove Maldive del Mediterraneo, Salento scansate). Fine delle mie elucubrazioni, è ora di tornare a casa. Anche perché nel mentre sono scese in spiaggia tre ragazze, credo del nord Europa, è una sta facendo il bagno con in testa un ombrello arcobaleno a mo’ di cappellino, e credo che per me sia davvero troppo.
Il ritorno verso casa è fatto di salite a piedi per lo stradello, di nuovi incontri con minus habens locali alla guida di grandi macchine che pretenderebbero che per assecondare la loro voglia di machismo io finisca con due ruote in un burrone pur di fare spazio loro, minus habens che mi fanno dire davanti ai miei figli frasi che se le sentisse il tribunale per i minori molto probabilmente farebbe della mia patria potestà carta per pulirsi il culo. Mai una volta che in questo paese il quadro possa essere perfetto, ci deve sempre essere una crepa, cui nessun orafo giapponese ha messo una pezza poetica. Ah, per la cronaca la spiaggia degli Specchi, abbiamo scoperto una volta usciti miracolosamente dal parcheggio, non era la spiaggia degli Specchi, qualche centinaio di metri più a sud, ma Gjiri i Brilantit, meglio nota come Brillant Bey. Sempre per la cronaca le rovine di Butrinto ce le siamo perse, abbiamo fatto troppo tardi al mare, quando ci si diverte il tempo vola via che è un piacere. Infine, ma solo perché nonostante io non sia un cronista e della veridicità dei fatti mi è sempre fregato poco ma raccontare Ksamil a Ferragosto senza raccontare anche la vita notturna, giù sul lungomare, davanti alle tre isole, ecco, dopocena siamo scesi per una passeggiata tra altre migliaia di turisti, dipanati tra locali, ristoranti, bancarelle e discoteche. Molti italiani, non dico tutti, ma sicuramente una percentuale piuttosto alta, vorrei dire in buona parte provenienti da Puglia e Campania, ma siccome sto per aggiungere che molti sono davvero tamarri, mi trattengo dal farlo, consapevole che col finale mi salverò comunque in corner. Musica discutibile da tutti i locali, bancarelle che vendono souvenir, magneti, piatti, borse, statue in bronzo di aquile e Scanderbej. Ogni tanto, giusto per regalarci un bagno amaro nella realtà, qualche ragazzina a terra, buttata su coperte lise e con al fianco, anche loro a terra, bambini piccoli, anche letteralmente appena nati. Nel finale, dopo aver preso a tranche crêpes, gelati e un Negroni, fate voi gli abbinamenti, per uscire da un locale sono stato costretto da un gruppo di miei coetanei che facevano a me e Marina il ponte, a ballare. Danza Cuduro, pena per la quale, immagino, verrò sodomizzato da un diavolo che somiglia a Enrique Iglesias per l’eternità. Il tutto davanti ai miei figli, io che ballo Danza Cuduro, non la faccenda del diavolo. Neanche il tempo di girarmi per provare a assestare al più assatanato tra i festanti, brizzolato e con una t-shirt che credo sia stata resa immorale a Norimberga, che scopro che e marchigiano come me, come tutta quella compagnia. La tamarritudine è trasversale, sfuggirle è sempre più difficile. Tanto è vero che a mezzanotte precisa, anche se qui il Ferragosto non si festeggerebbe, almeno non lo festeggiano, ecco i fuochi d’artificio. Passo e chiudo.