Stanotte non ho chiuso occhio. Ho una tosse fortissima, un orecchio tappato, il destro, e a un certo punto ho iniziato a tremare come se fosse freddissimo, nonostante non fosse affatto freddissimo. Mi sono dovuto infilare una t-shirt, e poi tirare su delle coperte che non abbiamo mai usato. Ho anche chiamato mia moglie, per un supporto psicologico, ma lei non si è svegliata. Di fatto, però, non ho chiuso occhio e di mattina mi sono alzato con un forte mal di testa, immagino dovuto alle migliaia di colpi di testa, e non di ottimo umore. Anche perché oggi è in programma quella che mia moglie, sempre lei, ha fissato come “giornata di relax al mare”, indicando come spiaggia Jale Beach. Bene, Jale Beach è a neanche quattro chilometri da Gjipe, più a sud, quindi più lontano da noi, oggi è domenica, la domenica prima di Ferragosto, quindi immagino ci sarà l’assalto degli Unni e stando ai vari blog, onde evitare di finire con la macchina in un sentiero, chiamiamolo così, come quello che conduce a Gjipe, difficile da fare a piedi, impossibile da fare in auto a meno che uno non abbia una jeep anche bella grande, tocca lasciare la macchina nel villaggio di Vuno, per poi farsi cinque, dico cinque, chilometri a piedi. In discesa, all’andata, in salita al ritorno. Giusto per la cronaca, la strada da Valona fin qui è sempre quella che passa dal Llogara National Park, miliardi di tornanti a picco sul nulla, bellissima vista ma stato d’ansia livello pro. Traduco, per arrivare a Jale, dice Google Maps, ci vogliono circa due ore, ieri sera diceva un’ora e mezza, la prima metà a scalare una montagna, la seconda metà a scendere sull’altro fronte, fino a Dhermi, per poi arrivare a Vuno e farsi cinque chilometri a piedi, per arrivare quindi a ora di pranzo della domenica prima di Ferragosto in una spiaggia piena di gente e senza, ipotizzo, neanche un ombrellone per noi, il tutto dopo aver passato la notte in bianco a tossire e tremare. Sintetizzando, e facendo mie le parole di mia moglie, ecco la giornata relax al mare.
Dovete sapere che inizialmente non era l’Albania la nostra meta. Lo scorso anno siamo andati in auto in Francia, Loira e poi il punto che congiunge Normandia e Bretagna, con puntata a Digione, Parigi, Poitiers e Lione. Un viaggio bellissimo, che mi ha però visto guidare per oltre seimila chilometri. Quest’anno, per questioni legate agli anziani della nostra famiglia, e non parlo di me, siamo arrivati ad agosto particolarmente cotti e di andare così lontani, l’idea era di riprendere dalla Normandia, con altre migliaia e migliaia di chilometri ci sembrava impensabile. Così abbiamo optato per l’Albania, che comunque ci incuriosiva molto, e dove in realtà sarebbe voluta venire nostra figlia Lucia, che poi ha optato per la Croazia (appena più cara, ma senza disfunzioni riguardo i mezzi pubblici, qui in Albania inesistenti). Ci siamo imbarcati in Ancona, che è dove vivono gli anziani di cui sopra, e comunque anche volendo tornare in auto, in caso di emergenza, questo diceva incautamente o in malafede Google Maps, la distanza era sempre inferiore alla Normandia. Solo che qui il problema non è il numero di chilometri da fare, ne abbiamo fatti relativamente pochi, neanche mille, ma quanto tempo ci metti a farli. Ieri, per dire, abbiamo fatto circa duecentoventi chilometri, ad andare e tornare da Berat, prima, e andare e tornare, senza essere manco scesi, dal lungomare di Valona, ma io ho passato sette ore alla guida. E lo stesso è successo quando siamo arrivati qui da Korce, altre sette ore. Proprio in quell’occasione, per altro, causa aria condizionata a palla, perché qui le ore alla guida sono ore alla guida in strade dissestate, con gente che ti supera in curva, o che ti trovi di fronte in curva mentre sta superando qualcuno in senso opposto, a bordo di Mercedes. Molto più faticoso che guidare in autostrada. Diciamo che un’ora di guida qui è pari a quattro ore di guida in autostrada. Ma oggi andiamo al mare a due ore da casa. Come, per dire, se invece che andare sul Conero, dalla nostra Ancona, decidessimo di andare al mare a Punta Aderci, parco naturale al confine tra Abruzzo e Molise. In Italia non lo faremmo mai, qui lo stiamo facendo adesso, mentre salgo per il Llogara National Park, con ancora quasi un’ora di guida per tornati di fronte, poi i cinque chilometri a piedi. Scaliamo, facendo una coda alle nostre spalle, perché per quanto siano spericolati, superare nei tornanti è difficile anche per questi sciamannati, scendiamo col belvedere, idem come sopra, storiamo Dhermi, chiedendoci ancora come cazzo si arrivi al Monastero Bianco, risaliamo una collina, seppure il mare resti sempre più in basso, e arriviamo a Vuno, dopo una coda a un semaforo gestito da un poliziotto, persona cui qualcuno dovrebbe spiegare come funzioni l’alternanza di flussi delle auto nelle strettoie.
Solo che di parcheggi dove lasciare la macchina non ce ne sono, e il mare appare davvero lontanissimo, i famosi cinque chilometri. In compenso c’è una bella strada asfaltata che scende, recita, verso Jale Beach. Quella, suppongo, che a un certo punto diventerà una mulattiera percorribile solo se hai vinto tre edizioni del Camel Trophy. La prendiamo, perché sono troppo stanco per pensare di camminare alle 12 per cinque chilometri, ma la mulattiera non si palesa, e dopo qualche minuto sto parcheggiando per tre euro in un parcheggio a dieci metri dalla spiaggia di Jale. Diciamolo subito, con Gjipe, a parte l’acqua cristallina, caraibica, e le rocce a fare da contorno, non c’entra nulla, nonostante siano contigue. Questa è una spiaggia molto servita, con chalet e lidi con ombrelloni e lettini, altro che sdraio. Non ci sono tendine in spiaggia, nessun figlio di fiori, anzi, un’utenza in apparenza alta. Questo nonostante un ombrellone con due lettini si paghi quindici euro, contro i venti di Gjipe, e lì, ripeto, c’erano le scomodissime sdraio. Certo manca quella natura li, il canyon, il lato selvaggio, ma è un gioiello incorniciato tra le rocce e con un mare pulitissimo, e freddissimo. Un mare a due ore da casa, che poi dovrò fare a ritroso, come Huysmann, ma da favola. L’acqua, ma qui siamo nello Jonio, è gelida, e tale rimane, ma almeno ci sono delle nuvole amiche che ci preservano dal sole dell’ora di pranzo. Piccola notazione di servizio, visto che ieri parlavo dei due soli albanesi stronzi, esclusi tutti quelli alla guida, qui abbiamo incontrato il terzo. Il ragazzo che gestisce il lido centrale della spiaggia, ombrellone e due lettini dieci euro, perché meno elitario di quello che si trova a destra, ci ha trattato di merda. Dicendo che il lido era pieno, quando era chiaro che non lo fosse, e atteggiandosi a boss di stocaz*o, atteggiamento che se impersonato da uno che prende il soldi per gli ombrelloni, non da uno che salva vite aprendo toraci è operando al cuore gente altrimenti destinata a morte certa, mi fa diventare come la Cirinnà, piccolo terzomondista del cazzo. La giornata, era ovvio, si dimostrerà poi molto rilassante, perché il mare qui è spettacolare, un’acqua limpida quasi mai vista in Italia, spazi comodi, i pochi italiani presenti mariti di mogli albanesi, e solo Dio sa quanti sia bello stare lontano dai compatrioti. Dopo un ennesimo pranzo ci siamo fatti un giro per la spiaggia, noi siamo, guadando il mare, all’estrema destra, e dalla parte opposta c’è una lunghissima scalinata che porta verso quello che sembra un grande albergo. Appunto passeggiando scopriamo che no, non è un albergo, quanto piuttosto un caseggiato anni Settanta, quindi probabilmente fatto pochi anni fa (qui c’è questo gap temporale). Da lontano sembrava fighissimo, da vicino meno, ma la vista che si ha da lassù è sorprendente. Innanzitutto perché scopriamo che dopo una serie di scogli che sta alla nostra destra, nostra di dove abbiamo l’ombrellone, c’è una seconda spiaggia, altrettanto grande. Poi scopriamo che in effetti la strada sterrata, quella che avevamo visto online, c’è, che parte dalla seconda spiaggia, sopra, e arriva a una terza caletta piuttosto piccola, tutto è bene quel che finisce bene.
Infine scopriamo, o meglio, scorgiamo lo stradello che porta a Gjipe. Ben visibile a poca distanza da noi. La spiaggia risulta invisibile, perché parte di un’altra baia, come questa, ma si vede chiaramente lo stradello, quindi è chiaro quanto vicino a noi sia. Il tempo di un gelato e un aperitivo, nel mentre fa qualche goccia di pioggia, del tutto irrilevante e ci rimettiamo in auto, consapevoli che tempo qualche minuto è tutto questo relax sarà svanito. Anche in questo, va detto, le mie aspettative, negative, si dimostrano sbagliate. Tutto fila via liscio. Certo, dopo pochi minuti siamo di nuovo in coda al semaforo, ma stavolta due relativamente poco. Per la cronaca, e per inciso, a parte quelli incontrati a Tirana, con tanto di count down sotto forma di timer, e led colorati, che te li rendono visibili da lontano, qui in Albania non ne abbiamo mai visti. Non ci sono proprio. In una città come Valona, ripeto, il corrispettivo urbanistico del buco del culo del diavolo, ci sono al limite dei paletti, infatti, a terra per ordinare il traffico, nessuno ha pensato di usare dei semafori, manco fosse una diavoleria tecnologica inventata da poco. All’andata abbiamo passato gli oltre dieci minuti fermi in coda davanti a un semaforo gestito dal poliziotto minus habens, parlando della necessità di fare un tutorial per spiegare a questo popolo che i cassonetti vanno usati per infilarci dentro l’immondizia, non per spargercela intorno, anche qui in vago odore Cirinnà, lo so, ma per quanto la contraddizione tra la sciatteria e il fascino di posti così belli sia parte integrante del fascino di questo nostro viaggio, i seri problemi che qui ci sono con infrastrutture, come le strade, o la semplice gestione della pulizia delle strade e delle città, per non dire del numero gigantesco di cani randagi che abbiamo incontrato, alcuni dei quali ovviamente morti in strada (ieri ne abbiamo incrociato uno morto evidentemente da poco, con un altro cane al suo fianco che ululava, sua forma di lutto, immagino), è qualcosa con cui il premier Edi Rama dovrà fare i conti, se vuole davvero entrare nel mercato serio del turismo, altro che meme che paragonano turisti e migranti della Vlore. Stavolta non facciamo in tempo a pensare a tutorial o altro, perché ripartiamo subito. Prima sosta, dopo qualche chilometro, quando stiamo già cominciando la risalita, per acquistare del miele da uno di tantissimi rivenditori, questo particolarmente appetibile perché alle spalle del capottino di vedono decine e decine di arnie.
Dieci leke per un barattolo grande direi che è un buon affare, per entrambi. Seconda sosta, quando ormai di salita ne abbiamo fatta tanta, e stiamo quasi per scavallare la vetta, coi suoi mille metri, al Big Bunker. La prima a parlarmi del Big Bunker, mentre ero ancora a Milano, è stata la solita Naftis, che mi ha suggerito il passo di Llogara per scendere verso Ksamil, cosa che faremo domani, non accettando il suo consiglio. Ignorava, lei, che lo avremmo fatto, questo passo, tre volte in cinque giorni, ignoravo, io, che questa strada comportasse salire per mille metri, tra mille tornanti, e poi scendere per mille metri tra mille tornanti. Comunque, nel suo suggerimento, c’era una tappa a questo Big Bunker, il più grosso di Albania, diceva. Ignoravo io, confesso, che di bunker, quelli tondi con la fessura per le armi, ne avremmo visti a migliaia, e che li avrei anche fotografati tutti, unico segno del comunismo oltre alle orribili case popolari. Il Big Bunker non è tondo. E non sta come gli altri, infrattato un po’ ovunque, soprattutto vista mare. Cioè, il Big Bunker sta vista mare, qui in alto ha una vista pazzesca, ma è una specie di casolare, con sotto una trince, di fianco un bunker tondo ma rialzato, e a fianco qualche altra casetta. Tutto letteralmente lasciato andare a pezzi. Con dei murales che però, a differenza di altri che hanno reso i bunker di volta in volta uno smile, una coccinella, una tartaruga, qui risultano sciatti, come certe tag fatte male che si vedono nelle nostre città. Dentro poi è un porcaio, cartacce, cocci di bottiglia, rifiuti vari, cagate umane a volontà. Uno scempio, tanto più che questo è a suo modo un monumento storico. Già trovarlo in è facile perché sta in una curva a gomito, uno dei tanti tornanti, e non ha né indicazioni, figurati se mettono indicazioni in Albania, né un parcheggio che si possa definire tale, e a vederlo passaggio sembra più che altro un rudere, tanto è vero che ci fermiamo qui al nostro sesto passaggio lì davanti. Comunque ne vale la pena, per la vista, e anche perché se questo è il mood locale nei confronti di quella determinata parte della loro storia, credo sia bene per chi vuole conoscere il paese farci i conti. Ripartiamo, incrociamo mucche, cavalli, gente che lava la macchina, e alla fine ci fermiamo in uno chalet lungomare, a cinque minuti da casa, per farci una mangiata di pesce prima di lasciare la zona, settantacinque euro in cinque, credo, sia incorniciabile come un ottimo prezzo, tanto più che è stata una cena ottima e abbondante. Ci ha anche offerto occasione di fare chiarezza su uno dei tanti misteri che ci ha attanagliato in questi giorni, perché mai in molte case, specie nelle zone più interne, ci sono degli enormi peluche di orsacchiotti appesi sopra le porte, o altrove, comunque ben visibili, come se qualcuno ce li avesse impiccati? Anche qui, allo chalet Veliera di Ridhemi, c’è un orso rosa impiccato sopra la porta, e dire che per il resto è un posto molto elegante, curato. Si chiamano Dordolec, e sono un modo, credo non esattamente scientifico, per tenere lontano il malocchio. Qualcosa tipo se mi devi augurare il male sarà il peluche a prenderselo al posto mio, stando a quanti ne abbiamo visti in giro deve proprio funzionare, questa faccenda, ho una mezza idea di impiccare un certo orsacchiotto che su trova da qualche parte nella cameretta dei miei figli maschi, quando torneremo a Milano. Domani, invece, si va verso Ksamil, nel mentre Violet, la padrona di casa della nostra ultima magione albanese ci ha mandato la posizione e, incredibile, è proprio a Ksamil. Però faremo il giro lungo, ripassando da Valona e poi prendendo il distretto di Fier, di monti, per questa vacanza, ne ho saliti abbastanza.