C'è chi l'ha definita la versione indiana de Il Padrino e chi un mix tra Romanzo Criminale e Gomorra. Roberto Saviano, l'ispiratore della nota serie ambientata a Napoli e autore dell'omonimo romanzo, ha addirittura scritto un lungo articolo (o meglio intervista) sul Corriere della Sera per esaltare qualcosa che, nel resto del mondo, è stato accolto con più di una riserva. L'oggetto della contesa è L'età del male, il primo libro della trilogia ideata dalla scrittrice indiana Deepti Kapoor, da poco uscito in Italia per i tipi Einaudi. Kapoor, nata a Moradabad, nell'Uttar Pradesh, ha vissuto a Delhi e Goa prima di trasferirsi in Portogallo, a Lisbona. In 648 pagine, nella sua ultima fatica la 43enne racconta le malefatte dell'immaginaria famiglia Wadia, tra corruzione, speculazione edilizia e colpi bassi in una Nuova Delhi moderna e in continua espansione. “Ci parla di un'India violenta, affarista, prevaricatrice, dove la linea di confine tra la mafia, la politica e l’imprenditoria si assottiglia a tal punto da rendere quasi impossibile una definizione accurata dei ruoli sociali”, ha commentato Saviano riferendosi al testo di Kapoor. I Wadia incarnano tecnicamente lo stereotipo della ricchissima famiglia indiana che controlla ampi settori dell'economia, di settori strategici che, a loro volta, consentono di controllare l'intera nazione.
Niente di nuovo sotto il sole, soprattutto se pensiamo al contesto di riferimento. L'Asia è infatti un continente nel quale molti Paesi hanno realizzato sviluppi economici roboanti, con famiglie che hanno accumulato grandi ricchezze dal nulla o grazie ad azioni politiche più o meno opache. Se in Cina e in Giappone esistono fenomeni criminali cristallizzati e definiti, come quelli delle Triadi e della Yakuza, in India, e più in generale nel sud-est asiatico, si fa una grande fatica a ricorrere al termine “mafia”, inteso come concetto utilizzato per definire le mafie italiane. Per Saviano non c'è tuttavia differenza: basta che un libro parli in qualche modo di mafie anche in maniera molto romanzata, come nel caso della Kapoor, ed ecco che quel volume diventa automaticamente il libro dell'anno, da leggere subito. Intendiamoci, nessuno vuole mettere in dubbio il valore de L'età del male, “un caldo romanzo di gangster indiano che emoziona e abbaglia” per usare le parole del Los Angeles Times che ha però sottolineato come l'autrice potesse “fare molto di più”. Il punto di riflessione riguarda le modalità con le quali l'opera di Kapoor è stata presentata agli occhi dell'opinione pubblica internazionale. Già, perché il suo libro ha più le sembianze di un testo arrangiato per essere tradotto in serie televisiva su Netflix che non di un accurato studio sociale valido per misurare la presenza della mafia in India. Non è un caso se L'età del male sia stato venduto in 35 Paesi e che i suoi diritti siano stati venduti a FX Studio per ricavarne una serie televisiva. La supposta mafia indiana, per affrontare il tema di fondo del libro di Kapoor, non ha niente a che vedere con quanto siamo abituati a pensare noi di Camorra e 'ndrangheta. Spesso non è neppure definibile come mafia in senso stretto, visto che parliamo di gruppi o famiglie impegnate a gestire determinati business su base locale, senza l'utilizzo di armi o violenza, ma usando influenza familiare e culturale.
Tutto legale quindi? Per i nostri standard, nemmeno per idea. Per quelli nebulosi delle economie asiatiche in via di sviluppo, del far west dove vale tutto, siamo in una zona grigia. Che non necessariamente può essere bollata come mafia, facendo credere ai lettori che tutto il mondo assomigli alla Gomorra savianiana. Non a caso la stessa Kapoor ha risposto ad una domanda di Saviano mettendo i puntini sulle “i”: “Bisogna anche dire che spesso è difficile distinguere un fenomeno mafioso da un business legale, perché la legalità è spesso fangosa. “Tra un mafioso, un politico e un potente uomo d’affari capita che non ci sia molta differenza”. Questo, come dicevamo, è quello che succede in alcune nazioni in via di sviluppo. Dove accanto a personaggi chiaramente criminali come Dawood Ibrahim, boss della droga e ricercato in tutto il mondo, troviamo figure sorte dal nulla, tycoon arricchitisi dall'oggi al domani grazie ai giusti agganci nella politica o a mosse moralmente deprecabili ma lontane dal mondo del crimine. Bastava semplicemente dire che L'età del male è un libro che “cavalca il confine tra narrativa commerciale e letteraria” (New York Times) senza tirare in ballo la ramificazione di fantomatiche mafie indiane. In un’India in rapida crescita, Kapoor fa emergere gli eccessi dei ricchi in un mare di poveri senza accesso al potere, e questo è apprezzabile e degno di interesse. Focalizzare invece l'attenzione di un discreto romanzo pop sulla storia dei gangster, al contrario, offre un risultato sentito e risentito. L’India, come altri stati capitalisti, ha voltato le spalle a qualsiasi idea di ricerca del bene comune per tutti: questa, sì, potrebbe essere una chiave di lettura molto più valida e universale.