Che cosa succede tra Stati Uniti e Cina? Mese dopo mese, i rapporti tra le due superpotenze del XXI secolo sembrano deteriorarsi sempre di più. Tanti i nodi spinosi che dividono Washington e Pechino, che non sono solo di natura geopolitica. Accanto alla questione Taiwan e al futuro dell'Indo-Pacifico, una regione chiave per il controllo delle rotte marittime, troviamo infatti anche il mastodontico fascicolo economico, il dossier tecnologico, quello politico e, più banalmente, la diversa concezione del mondo. C'è abbastanza spazio per due attori principali o, presto o tardi, scatterà la famigerata Trappola di Tucidide evocata dallo storico Graham Allison, secondo cui quando una potenza emergente minaccia di spodestare quella dominante, il risultato più plausibile è la guerra? Ne abbiamo parlato con Fabio Massimo Parenti, professore associato di geografia e studi internazionali, che insegna attualmente International Political Economy, International Relations e Geopolitics in Cina e in Italia.
Professor Parenti, cosa sta accadendo fra Stati Uniti e Cina?
È in corso uno scontro di potere tra le due economie più grandi del mondo che riguarda, nel contempo, l’erosione della capacità di influenza e del controllo globale degli Usa, e la costruzione di un nuovo consenso internazionale che ruota intorno a Pechino. Pur avendo un modello economico-politico sui generis, l’ascesa cinese si è dispiegata a seguito di un processo di integrazione e adattamento internazionale al sistema economico-politico e istituzionale creato e plasmato dall’occidente a guida statunitense. Tuttavia, dati i limiti di qualsiasi sistema internazionale consolidato, compreso quello nato a Bretton Woods nel 1944, la Cina oggi è in grado di proporre ed attuare riforme di governance mondiale che stanno decretando la fine del dominio Usa.
E quindi?
Tutto questo ha messo in crisi alcuni comparti elitari della società americana, che oggi propongono una riattivazione della logica della guerra fredda, un suo prolungamento, mettendo nel mirino tanto la Russia quanto la Cina ed i Paesi a loro più vicini. Questa sorta di “nuova guerra fredda”, voluta esclusivamente da Washington, si gioca, come nel passato, in ogni ambito: dalla diplomazia all’economia, passando per la politica, la strategia militare ed il sistema di comunicazione internazionale.
Secondo lei c'è stato un fraintendimento statunitense nei confronti dell'ascesa cinese?
La Cina degli ultimi decenni si è sviluppata dando l’illusione ad alcuni di assomigliare sempre di più a noi, ovverosia di abbracciare in toto un sistema di capitalismo pronto ad avviare una sua esperienza di democrazia liberale. Nella realtà, invece, la Cina continua a perseguire la propria strada nella ricerca di un modello adeguato alle sue peculiarità storiche. Così facendo la Repubblica popolare sembra essersi resa immune da una completa assimilazione al sistema esistente, divenendo a sua volta una forza motrice innovativa, non solo in ambito tecnologico, ma anche politico-istituzionale e culturale, coerentemente con alcune fasi del proprio percorso di civilizzazione millenaria. Il fatto, ad esempio, che la Cina rifiuti la logica della guerra fredda, dei blocchi di alleanze militari, e tenti di promuovere contestualmente strade di cooperazione incentrate sul dialogo, il commercio ed il mutuo vantaggio, rappresenta il dato generale di maggior rilievo nel comprendere tanto la paura e l’apprensione di alcuni comparti delle società occidentali, quanto il cosiddetto Beijing consensus, che ha ormai attecchito nella maggior parte del mondo in via di sviluppo, ovverosia nella stragrande maggioranza della popolazione mondiale.
Ma cosa vogliono gli Stati Uniti dalla Cina?
Gli Usa vorrebbero una Cina subordinata al loro dominio, una Cina inglobata nel Washington consensus, una Cina sottomessa a regole che solo gli Usa e pochi altri possono di volta in volta violare. In altre parole gli Usa, almeno quella minoranza che oggi alimenta la strategia a tenaglia nel continente euroasiatico, che stringe la morsa tanto in Europa contro la Russia quanto in Asia-pacifico contro la Cina, vorrebbero portare indietro le lancette della storia, soffrendo così lo scotto di una visione miope e controproducente per sé stessi ed i loro alleati.
E cosa vuole, invece, la Cina?
Nel frattempo la Cina vorrebbe contribuire a realizzare una pacificazione delle relazioni internazionali, promuovendo più integrazione e cooperazione (si vedano gli sviluppi in Asia centrale, Sudest asiatico e Medio oriente), col fine di riequilibrare il sistema internazionale in senso multipolare, ove più Paesi siano in grado di stabilire, di volta in volta e da una posizione di parità, nuove regole in vari ambiti. Quindi, nei fatti, al di là delle differenze interne, la Cina sta promuovendo una vera e propria democratizzazione delle relazioni internazionali, che è l’opposto dell’approccio occidentale, anglosassone in primis, centrato sull’imposizione di questo o quel modello domestico al mondo intero. Sia nella teoria che nella prassi, la prospettiva cinese di costruire un futuro condiviso per tutta l’umanità è indubbiamente la più avanzata ed attraente.
C'è il rischio che le provocazioni possano sfociare in una guerra?
Mi sembra che le provocazioni siano all’ordine del giorno e che solo l’autentica volontà cinese di evitare il peggio stia consentendo di evitare una conflagrazione globale dagli esiti facilmente prevedibili. Proprio in questi ultimi decenni, gli Usa si sono mostrati sempre più belligeranti ed aggressivi ad ogni latitudine, palesandosi invero come la vera minaccia per l’intera umanità. La spinta allo scontro con la Cina, nonché la corsa al riarmo e il fanatismo ideologico del loro eccezionalismo sta spingendo l’occidente, e potenzialmente l’intero mondo, nell’oscurità della barbarie. Più nello specifico, l’assoluta assenza di qualsiasi chiara proposta o pratica volta alla negoziazione diplomatica sulla guerra in Ucraina, come in altri contesti regionali, conferma il loro totale, cinico disinteresse nei confronti di processi di pacificazione che, per quanto lenti e graduali, si potrebbero intraprendere. Anche in questo caso, Cina docet.
Qual è in tutto questo il ruolo giocato dall’Europa (e dall’Italia)? E cosa dovrebbero fare a suo avviso?
Europa ed Italia dovrebbero lavorare per realizzare la prospettiva più avanzata di cui abbiamo fatto menzione, che è, senza dubbio, quella cinese (sufficientemente ecumenica da non poter essere bollata come particolaristica). Dovrebbero, in altre parole, districarsi dall’abbraccio mortifero statunitense, evitare di cedere ai ricatti ed alle minacce provenienti da oltreoceano e recuperare così autonomia strategica, valutando attentamente i propri interessi a medio e lungo termine, a partire da un’attenta disamina delle tendenze di lungo periodo. Nessun compito della storia è semplice, ma ciò non giustifica l’immobilismo politico (o peggio l’attivismo bellico), continuando a far finta di essere liberi in una condizione di effettivo servaggio internazionale. Un bilancio critico dal punto di vista storico, economico e politico dovrebbe far optare per visioni e pratiche più evolute, prevedendo le tappe di un processo di emancipazione continentale dalle gabbie di visioni, approcci e pratiche oramai superate dalle condizioni strutturali, materiali, della comunità umana contemporanea.