L’economia della Cina continua a crescere, in maniera incessante, praticamente da 45 anni. Il pil del Dragone potrà frenare o rallentare, e lo abbiamo visto soprattutto durante la pandemia di Covid-19, ma il segno “più” davanti al valore del prodotto interno lordo annuale cinese è ormai un marchio di fabbrica. Se Pechino può vantare un sistema economico così dinamico e a prova di crisi, per quale motivo la disoccupazione giovanile al di là della Muraglia ha toccato vette record, al punto che un giovane istruito su cinque si troverebbe a casa senza lavoro? Questo è soltanto uno dei dossier più caldi con i quali deve fare i conti il Partito Comunista Cinese. Ci sono infatti altre questioni rilevanti che, almeno all’apparenza, contraddicono la narrativa economica secondo cui il Dragone dorato sarebbe in perenne ascesa, incapace di conoscere choc di alcun tipo. Restando in ambito lavorativo, ci sono da mettere in conto i salari e la tipologia dei contratti lavorativi, molti dei quali instabili, precari o sottopagati. Nel frattempo, in alcuni settori dell’economia, come quello immobiliare, la crisi del debito ha travolto diversi colossi - tra cui China Evergrande, uno dei maggiori attori per vendite nel Paese – trasformandosi in uno dei problemi più urgenti da affrontare. Restando nel campo del real estate, gli alloggi rappresentano la maggior parte della ricchezza e delle passività delle famiglie, e le dinamiche di questo mercato influenzano indirettamente il numero di matrimoni, i parti e l'innovazione tecnologica. Banalmente, il mercato immobiliare, insieme alle costruzioni, alle materie prime e agli elettrodomestici, contribuisce a più di un quarto del pil nazionale. Il potenziale collasso di certi settori, unito a dinamiche socioeconomiche contraddittorie, ha sostanzialmente generato timori per un ipotetico rischio finanziario sistemico. Ecco perché, per disegnare un quadro capace di rappresentare la reale situazione economica della Cina, bisogna districarsi tra le sue luci e ombre.
Il problema della disoccupazione
Ci si potrebbe chiedere perché un’economia come la Cina debba fare i conti con una disoccupazione giovanile a livelli record. I laureati cinesi sono travolti da una tempesta perfetta, tanto che alcuni di loro sono letteralmente costretti ad accettare lavori poco pagati o ad accontentarsi di mansioni ben al di sotto delle loro abilità. I dati ufficiali mostrano come, lo scorso aprile, la disoccupazione urbana relativa ai giovani di età compresa tra i 16 e i 24 anni, abbia raggiunto il 20,4%, e cioè circa quattro volte di più rispetto al tasso di disoccupazione generale. Ci troviamo, insomma, al cospetto di una bolla universitaria che si sta gonfiando sempre di più e minaccia di esplodere da un momento all’altro. L’espansione dell’istruzione universitaria alla fine degli anni ’90 ha creato un enorme afflusso di laureati, ma oggi c’è un disallineamento tra domanda e offerta di lavoratori altamente qualificati. Il risultato è qualcosa che in Italia conosciamo molto bene: la sottoccupazione. Sempre più spesso, per evitare la disoccupazione i laureati si accontentano di posizioni poco retribuite o talvolta di un part-time, ovvero di situazioni che non sono commisurate alla loro formazione e alle loro credenziali. Considerando che una ricerca della Stanford University ha dimostrato che i laureati che iniziano la loro vita lavorativa durante una recessione o un periodo di recessione economica guadagnano meno, per almeno 10-15 anni, rispetto a quelli che si laureano durante periodi di prosperità, la bolla universitaria cinese collide con l’economia nazionale in perenne ascesa. I dati del Bureau of Statistics cinese mostrano che 6 milioni dei 96 milioni di giovani tra i 16 ei 24 anni nella forza lavoro urbana sono attualmente disoccupati. Da questa cifra, Goldman Sachs stima che ora ci siano 3 milioni di giovani urbani disoccupati in più rispetto al periodo precedente alla pandemia di Covid-19. Dato che l’invecchiamento e il declino della popolazione cinese ridurranno la popolazione economicamente attiva del Dragone, l’impatto della disoccupazione giovanile e della sottoccupazione potrebbe potenzialmente avere conseguenze molto negative per l’economia del Paese. Eppure, tutto ciò non sembra creare grattacapi ai poderosi numeri del gigante asiatico. A causa del richiamato aumento dell’istruzione, la maggior parte dei giovani cinesi istruiti non è affatto disposta a tornare ai lavori di fabbrica. È per questo che la Cina prevede quasi 30 milioni di posti di lavoro vacanti nel settore manifatturiero da qui al 2025. Far entrare queste persone nel mondo del lavoro potrebbe aiutare tantissimo la ripresa economica di Pechino, visto che così facendo si ripristinerebbe il potere di consumo dei giovani, e cioè una fascia demografica che rappresenta circa il 20% dei consumi del Paese. Solo che i lavori disponibili potrebbero non combaciare con quello che i neo laureati desiderano o sarebbero disposti a fare.
Gli altri nodi economici
Il nodo immobiliare è un rebus altrettanto complicato che getta ulteriori ombre sulla "perfetta" economia cinese. Considerando tutti i settori, l'edilizia abitativa è stata il principale ostacolo alla crescita economica della Cina nel 2022. Il mercato ha registrato un'attività ai minimi storici, nonostante gli aggiustamenti politici introdotti dalla fine del 2021. Nel 2022, le vendite di nuove case (in termini di superficie) sono diminuite del 26,8%, gli avvii di nuove case del 39,8% e gli investimenti immobiliari del 10%. Il governo ha preso importanti misure per limitare le speculazioni sulla compravendite delle abitazioni ma la questione resta delicatissima. Capitolo debito. JP Morgan stima che il rapporto debito totale/Pil della Cina sia aumentato di 11 punti percentuali fino a un massimo storico del 285% nel 2022. Si prevede che il debito totale/Pil aumenterà di altri 10 punti percentuali nel 2023. Il problema non è affatto di poco conto, visto che, sebbene il debito societario sia cresciuto più lentamente negli ultimi anni, ciò non implica necessariamente una minore vulnerabilità. Forse il contrario, poiché i bilanci societari si sono deteriorati dallo scoppio della pandemia di Covid-19. A ben vedere, i prestiti alle piccole e medie imprese (PMI) sono cresciuti più rapidamente di altri prestiti alle imprese e potrebbero rappresentare una possibile vulnerabilità nel 2023, con il rischio che le insolvenze aumentino rapidamente una volta scadute le misure di salvataggio per la pandemia. Alla luce di quanto detto, possiamo affermare che, con la sua popolazione in declino, il periodo di rapida crescita della Cina è probabilmente terminato. Non significa necessariamente che il Dragone sia un gigante dai piedi d’argilla – del resto sono decenni che gli analisti prevedono, invano, il crollo cinese – ma che il Paese deve tener conto di criticità che possono compromettere il suo modus operandi. Detto altrimenti, l’economia cinese è fatta da luci ma anche da ombre.