Venni dal sud
con la mia valigia di cartone
Il padrone
gettò al volo cinquanta lire
al guardiano delle macchine:
“Tieni ragazzo, divertiti!”
Le cinquanta lire rotolarono
sull’asfalto fermandosi
vicino ad un tombino.
Soddisfatto il padrone
entrò nell’Hotel
con la sua puttana.
Guardai la moneta
allungai il piede
spingendola nel buco.
Pioveva. Lunga,
lunga la strada
per la periferia. Quella
sera non presi il tram,
mi mancavano cinquanta lire.
Venni dal Sud
con la mia valigia di cartone
S. Vittore 25 marzo 1970
Questa poesia non l’ha scritta un letterato, come si capisce leggendola, ma Sante
Notarnicola, morto a 82 anni per complicanze legate al covid. Bandito, così si definiva. Che parola desueta, quasi romantica (nel senso della corrente letteraria degli eroi romantici tormentati, non del sentimento romantico che dovrebbe rendervi tenero un criminale, giammai). Ma prima del criminale c’è l’uomo e quest’uomo è un romanzo. Ricorda Edward Bunker, lo scrittore-criminale americano che ha ispirato James Ellroy.
Torniamo a Notarnicola: nato a Castallaneta in provincia di Taranto, dove a detta sua l’unica industria era l’emigrazione, è stato trapiantato a Torino dove ha conosciuto subito la strada, gli operai, il caos.
E bandito lo è stato a tutti gli effetti militando nella banda criminale di Pietro Cavallero. Vicino agli ambienti del terrorismo rosso, il suo nome comparve tra le richieste dei compagni da liberare che le BR volevano in cambio della scarcerazione di Moro. Eppure lui diceva: «Ho fatto il partigiano quando la resistenza era finita e la lotta armata quando ancora non c’erano le Brigate Rosse». Anarchico, inclassificabile, criminale. Rifiutò pure la glorificazione dopo essere stato trasportato al cinema, reso un film: Banditi a Milano di Carlo Lizzani con Don Backy. Non erano i tempi di Gomorra o di Scarface con Pacino e non c’era nessun onore nello stare dietro le sbarre, così Sante snobbò il film, anzi se ne disse schifato. Dino Buzzati che lo seguiva al processo disse che somigliava a un “bambino imbronciato” e quel bambino era presente in lui. Padre assente, educazione in collegio, tra le immagini che ricordava dell’infanzia quella delle suore che mettevano le mutande bagnate in testa a chi faceva la pipì a letto dicono tutto.
Notarnicola muore e si porta con se un tempo di cui non c’è più traccia. Immaginatevi Lupin: secondo voi oggi potrebbe mai uscire un cartone con protagonista un ladro sciupafemmine che ridicolizza la polizia? No, non potrebbe. Eppure quest’uomo a cui scrisse pure Primo Levi, aveva molto da dire. Uno dei tanti esempi:
APPUNTAMENTO AL CARCERE
Con gli ultimi spiccioli
avevo comperato
un piatto di carne fredda
un limone
una bottiglia di vino rosso
un pacchetto di sigarette
una cartolina illustrata
e una rosa.
Tutto era pronto amore mio
e tu non sei venuta.
Procida 28 luglio 1972
Sembra Celine, o Bukowski. Eppure è Sante. Che tutto era tranne che Santo e che è stato coinvolto in diciotto rapine a mano armata con svariati morti e violenze. Forse anche allocco per certi versi. Perché secondo lui i soldi delle rapine servivano alla rivoluzione. Fu il capo della banda a dirgli, prima che in cinquecento agenti lo arrestassero in un casolare che i soldi se li era spesi tutti lui per i suoi vizi. Sante rimase muto e si fece il carcere, dove nel 72 pubblicò il primo libro di poesie. E anche questa è roba di un altro tempo. Le rivoluzioni sono finite e hanno fallito, la poesia pure, oggi le sfide sono altre e questa storia forse è puro memorabilia nostalgico.
Però una cosa ce la insegna: dentro a ogni criminale c’è sempre un uomo. Lo condanni e lo punisci, ma se vuoi capire come mai ha commesso i suoi crimini devi andare a conoscerlo. E mai come nei suoi scritti puoi ascoltare l’animo di una persona.
«[…] ci ho messo 50 anni a diventare comunista.
E 20 anni 8 mesi e 1 giorno di prigione.
E 11 anni di carcere di massima sicurezza. E
5 anni di celle punitive. E la posta censurata.
E i vetri divisori ai colloqui […] E le cariche
dei carabinieri nei corridoi delle prigioni. E
il sangue nelle celle. E il sangue dal naso. E il
sangue dalla bocca. E i denti rotti. E la fame
all’Asinara. E il silenzio obbligatorio al bunker
della Centrale, a cala d’Oliva. E i racconti
dei torturati. E i colpi contro la porta per non
farti dormire. E i colloqui respinti senza un
motivo. E la posta sottratta. E il linciaggio del
vicino di cella. E il vivere col cuore in gola.
E la pressione che sale. E il cuore che senti
ingrossare. E il compagno che se ne va con la
testa. E le divisioni a 5 nei cortili. E le rotture
politiche. E le divisioni che teoricamente dovevano rafforzarci.
E il dilagare del soggettivismo. E i vetri infranti ai colloqui.
E le rivendicazioni coi pugni chiusi. E la ritirata strategica.
E gli scioperi della fame condannati. E i sorrisi spariti.
E i soggettivisti sconfitti. E gli odi tra compagni.
E le demolizioni personali.
E la disgregazione umana. E le perquisizioni
anali. E le sei diottrie perse. E l’assalto coi cani
nelle celle. E i compagni colpiti da schizofrenia. E i primi tradimenti. E la massa di dissociati.
E l’isolamento politico. E la piorrea che
avanza. E gli anni che passano e i giorni che
conti. E i silenzi, i silenzi, i silenzi»
Materiale interessante. Liberi dal silenzio, Palermo, Edizioni della Battaglia, 1997