Non avvicinatevi a L’imbrunire di Giovanni Lindo Ferretti se cercate una canzonetta da ascoltare. È spigolosa, incomprensibile, tetra e ritmata. Ferretti fa la sua messa mistica, esordisce su synth: «sogno ponti levatoi e mura a protezione/ piccole patrie sempre sul chi vive/ risate cristalline in gelide mattine». I rompipalle vedono in questo “sogno” un manifesto politico anti migranti, un desiderio che l’autore spera si avveri, ma l’interpretazione letterale del testo ci dice che l’autore sta realmente descrivendo un sogno fatto. L’espressione “piccole patrie sempre sul chi vive” (noi) è degna di Montale e chiarisce che siamo di fronte a un altro tassello dell’opera poetica di Ferretti.
Ormai da anni GLF vive da mezzo eremita cavallaro, appollaiato sui monti d’appennino con la sua gente. Non si sa se sia vero e se faccia parte di un’immagine super costruita, ma funziona, da alla sua figura ancora più spessore ascetico. Ecco uno con le palle, pensi.
Son lontani gli anni del casino, dei CCCP ormai rinnegati e sotterrati come ricordo giovanile. È lontano pure il pubblico che lo aveva eletto a mito, a Che Guevara toscoemiliano post ‘77 e che lo ha rinnegato appena lui ha sotterrato la bandiera rossa. Lui aveva avvertito tutti: «non fate di me un’idolo mi brucerò», ma il consiglio è stato vano. È bastato sentirlo parlare del Papa, vederlo abbracciato alla Meloni e tutto lo zoccolo duro di ultras lo ha rinnegato. Che noia mortale. Tutto questo solo perché uno cambia idea.
A vederlo da fuori Ferretti stesso pare abbia chiuso con la musica. Ogni tanto tira fuori qualcosa e si lancia in brevi tour ma pare più un modo per batter cassa che un’esigenza artistica. E per questo va rispettato. Chi va a veder Ferretti è come se andasse a vedere il David, o un Cattelan, una mostra, una performance. Questo fa nella vita. Il performer. E gli viene bene.
L’imbrunire non sarà la hit dell’anno ma fa quello che nessuna barra (sparatevi) di rapper fa; nessun cantautore italiano fa; nessun artista indie fa; fa pensare. La mettete in play su Spotify e la ascoltate in queste mattine settembrine, rendendovi conto che l’atmosfera attorno a voi cambia. Ecco che parte il beat vecchio stile che ricorda i CSI: «spettri che camminano autocertificati/ finestre e balconi di balletti e canzoni/ andrà tutto bene Imagine/ avremo il vaccino Immuni/ saremo/ post tutto-Anti-pronti per il Niente». Vi suona familiare? Vi ricordate della retorica, dei concertini su balcone, dell’andrà tutto bene sgretolato su spiagge intasate di corpi abbrustoliti e titoli sensazionalistici sull’impennata dei contagi? Saremo post tutto-Anti-pronti per il Niente. «L’Europa è un reliquiario di intenzioni», e che non è vero? Dai. Ditelo agli abitanti di Lampedusa che in questi giorni sono esausti e di migranti non vogliono sentir parlare.
Poi parte lo svarione biblico. «sette, settanta volte sette/ disertori per moto interiore/ orfani, vedove, sabotatori/ sbandati e canaglia nel mondo di fuori/ sette 70volte7 l’Occidente si fotte in diretta al tg/ sette 70volte7 il vento dalle steppe eppur bisogna andar».
Settanta volte sette, questo risponde Gesù a Giovanni nel vangelo di Matteo (Mt 18,21-22) riguardo alla domanda di Pietro. La tradizione giudaica perdonava fino a tre volte lo stesso peccato, Pietro propone al suo maestro di ampliare a sette e Gesù rilancia: la benevolenza cristiana dispiega un perdono senza limiti. Sette? Settanta volte sette!
Insomma, questo pezzo è come una poesia, dice tutto senza dire niente, la leggi/ascolti una volta ogni tanto e ti prende il magone, spalanca aride distese nei tuoi pensieri e ti lascia solo a trottorellarci. Questo, di solito, fa l’arte.
E per farlo a volte deve essere noiosa, pesante, asfissiante. Eccovi serviti.