Se di questi tempi esci con un disco che non tenga conto dei social o che non sia legato a qualche evento pubblicitario, per converso, diventi volente o nolente un caso. Un unicum. La classica mosca bianca. Se in più il tuo lavoro si configura a tutti gli effetti come una rarità nel panorama discografico italiano per raffinatezza e introspezione e una certa dose di preveggenza verso l’attualità che stiamo attraversando (il distanziamento sociale a causa del Covid-19), non puoi che suscitare il nostro interesse. È questo quello che è successo con l’autore di Al blu mi muovo, album con il quale Fabio Cinti dimostra che la buona musica può vivere e prosperare nonostante le deformazioni del mercato e della comunicazione.
D’altronde Fabio ha avuto un grande maestro come Franco Battiato, il quale ha dimostrato come fosse possibile scalare le classifiche inserendo nei brani riferimenti astrusi a “gesuiti euclidei” o allo “shivaismo tantrico”, passando dall’elettronica al pop, senza mai abbandonare la sperimentazione, elevandoci al misticismo, e in definitiva concentrandosi sull’uomo e la sua anima, senza la quale non sarebbe altro che “l'animale più domestico e più stupido che c’è”.
Cinti ha fatto suoi molti di questi insegnamenti (Battiato è un mondo da continuare a esplorare), senza perdere di vista una personale sensibilità nella visione delle cose. Anche qulle che, apparentemente, sono le più quotidiane o scontate, ma che spesso se viste sotto una nuova luce sono in grado di chiarire un impianto generale che prima ci appariva confuso. È così che le otto tracce distribuite dall’etichetta Private Stanze, senza tenere conto di tante regole (o imposizioni?) dello showbiz sono come una cura a tappe da godersi senza fretta, per ritrovare finalmente quel gusto antico per le cose belle. Lo potrete ascoltare live prossimamente, proprio stasera a Priverno (Latina), il 28 agosto a Rapolano Terme (Siena) e il 3 settembre a Tempio Pausania (Sassari).
Se non sbaglio eri titubante nel far uscire un disco in questo periodo così complesso. Che cosa ti ha convinto a farlo?
"A dire la verità non ero titubante a farlo uscire in questo periodo, ma ero indeciso se farlo uscire o meno in generale. Una volta deciso, però, la pandemia non mi ha fermato, anzi, mi è sembrato un bel gesto, quasi doveroso nei confronti di chi era a casa. Molti hanno contribuito con le dirette eccetera, io avevo il disco pronto… L’indecisione iniziale era invece dovuta al fatto che fare dischi, almeno per me, è un’operazione che mi costa molto a livello emotivo, oltre che costare a livello economico, e questa emotività è ricambiata sempre da meno persone, a cui sono affezionato. Farei meno fatica a invitarle tutte a casa! Mi ha fatto però cambiare idea il consiglio di un amico a me molto caro, consiglio che consisteva nel considerare gli effetti di un’azione non in riferimento alla sua portata immediata e contingente al momento ma nella sua possibilità di reazione nel tempo e nell’insieme delle cose che si fanno per il mondo. Un gesto artistico puro, insomma".
Il sottotitolo recita: “Come evitare di diventare giovani”. Sembra un ossimoro in un’epoca come quella attuale, nella quale quasi tutti cercano di combattere in ogni modo la vecchiaia.
"Lo è! Ed è un orrore. Come se la vecchiaia fosse una colpa, un momento della vita da sopportare. Questo perché il divertimento non è considerato come qualcosa di serio e formativo, ma come svago, spensieratezza a cui solo i giovani possono accedere. Il vuoto, insomma. Il fatto è che finché si è giovani si è giovani (io mi sento nel mezzo), e va bene; ma quando si supera l’età di mezzo, aggrapparsi ai quattro capelli che ci restano in testa per fare i giovanilisti è imbarazzante".
In Tra gli alberi combatto canti: “È la solitudine la sola cosa che non cambierà”. Qual è il tuo rapporto con la solitudine?
"È fondamentale. È una condizione senza la quale non potrei fare un bel niente. La mia vita si basa sulla solitudine e solo attraverso essa posso godere dei momenti di condivisione con gli altri. Io sono la mia solitudine, nient’altro".
C’è un brano che oggi appare profetico, Amore occasionale, dove nel testo sembri anticipare la Fase2 dei rapporti sociali dovuta al Coronavirus: “Ma che cos’è questa distanza? Gli sguardi incattiviti nei caffè, dalle temperature mai precisamente adatte a te”. Era voluto o è avvenuta la magia che a volte capita nell’arte di anticipare le vicende umane?
"È il brano più vecchio tra gli otto dell’album, cioè quello scritto prima, due anni fa almeno, quindi la pandemia era davvero lontana. Perciò sì, direi che ho toccato quei fili invisibili a cui è appeso il futuro. Ma è sicuramente dovuto al mio stile di vita ritirato…".
Come un po’ in tutta la tua discografia, si sentono anche in questo album le influenze di Franco Battiato e non hai mai nascosto di ritenere il suo modo di fare musica la tua “grammatica di base”. Riesci a spiegare in cosa consiste?
"Battiato dalla fine degli anni 60 agli inizi degli anni 80 è passato dallo scrivere canzoni in qualche modo convenzionali alla sperimentazione estrema (con dieci album) per arrivare a una forma canzone nel lirismo, nelle strutture, nei suoni e negli arrangiamenti, del tutto nuova: una grammatica che lui ha messo a punto in tutti quegli anni. Da lì si è trasformato e ha continuato a modificare e smussare quelle forme, fino diventare - insieme a pochi altri - riconoscibilissimo. Io vengo da lì, ho studiato quegli album fin da bambino, da adolescente e da adulto, ho imparato a suonare con quelle canzoni, a cantare in quel modo. Certamente ho altre influenze, alcune anche molto forti, come Roger Waters per esempio, i Sigur Rós e Bon Hiver, ma la base è quella".
In passato hai dichiarato: “Battiato non ha tradito le mie aspettative umane”. Ti va di raccontarci un episodio da cui emerga il lato più umano di un maestro come lui?
"Una volta, eravamo a Catania con Morgan, che ai tempi era gestito dallo stesso management il quale avvertì l’autista di passare a prendere anche Franco per andare in aeroporto e fare insieme il viaggio verso Milano. Bene, al mattino andammo a Milo, suonammo alla porta e lui rispose dicendo che voleva essere aiutato a portare alcune valige pesanti, dunque di entrare tutti. Ma, una volta entrati, non c’era nessuna valigia: era semplicemente in leggero ritardo, era lì con la camicia sbottonata fuori dei pantaloni, e per ingannare l’attesa ci aveva fatto preparare un’abbondante colazione a tutti".
Battiato sta vivendo una situazione molto delicata e altrettanto personale, quindi non ti chiederò cosa ne pensi delle polemiche scatenate dopo l’ultimo album. Ma se potessi rivolgerti a lui, cosa gli diresti?
"Che gli si vuole molto bene. Che avrei bisogno ancora di qualche consiglio, non sulla musica soltanto. E che mi manca molto".
Passando invece alla discografia, che momento tra attraversando?
"Non so, sono molto confuso a riguardo. Da una parte mi sembra che qualcosa stia cambiando, dall’altra mi sembra che tutto sia diluito. In generale mi pare che manchi il coraggio, che manchino discografici e artisti in grado di lottare per le proprie idee, perché qui o si seguono i gusti del pubblico, oppure sei destinato a smettere. E allora tutto diventa solo intrattenimento".
Il virus è stato uno tsunami per tutti, ma ora le conseguenze peggiori rischia di pagarle chi lavora nel mondo degli spettacoli. I grandi eventi sono stati tutti spostati al 2021, ma se gli artisti più famosi riusciranno a resistere, quelli meno attrezzati e soprattutto gli addetti ai lavori come faranno a sopravvivere?
"Quelli meno attrezzati sono sempre sopravvissuti facendo anche altro. E il mestiere legato alla musica è sempre stato portato avanti per pura passione, per testardaggine e per vanità".
Vedi anche
Morgan tende la mano a Grignani: “Chiamatelo Maestro! Mi batterò perché non perda la casa come me”
La Siae ha stanziato per ora solo un Fondo di solidarietà di emergenza di 500 mila euro per acquistare 2.500 pacchi alimentari che saranno distribuiti agli associati in condizioni di indigenza o di invalidità e in precarie condizioni di salute che ne faranno richiesta. Non ti sembra un po’ pochino?
"Pochino? È una vergogna. Mi piacerebbe sapere quanti soldi entrano all’anno in Siae… ma saperlo davvero, sapere la verità".
Visto che non mi sembri uno che si nasconde nei giudizi, per esempio quando ti hanno chiesto della canzone di Paradiso-Elisa che consideri “imbarazzante”, quali sono per te le canzoni italiane più brutte degli ultimi cinque anni?
"Il fatto è questo: quando uno dice 'eh ma tu non puoi avere la pretesa di stabilire cosa è bello e cosa non lo è'. No, non io, certo, ma la cultura e la sensibilità comuni sì! E che ci siano però! Che vengano potenziate! che non si abbia la pretesa di comprendere o addirittura creare senza di esse. Perché di geni e intelligenze sopraffine o ultrasensibili ce ne sono davvero molto poche. Mi è stato detto (e scritto) che Paradiso o Brunori sarebbero artisti malinconici, pensa. Evidentemente il concetto di malinconia è completamente cambiato o quantomeno travisato. E allora come faccio a dire quella canzone è brutta se i parametri sono altri? Se io considero poesia quella di Emily Dickinson, come faccio a considerare la poetica (poetica?) del “vado a capo e basta” di Gio Evan? Forse molti di quelli che amano Gio Evan, conoscono solo Gio Evan… perché se non è così allora c’è qualcosa che non va nello sviluppo dei sentimenti…".
E quelle più belle?
"Niccolò Fabi ha scritto una canzone che mi ha molto colpito “Io sono l’altro”, un pezzo così non si sentiva da tanto. Devo ammettere però che, seppure bello, nell’album non c’è episodio altrettanto forte".
In un tuo post segnalavi come “in Italia oggi non c’è un cantautore che abbia fondato e improntato la sua produzione sulla malinconia”. Vogliamo tutti vivere o morire felici, anche fintamente?
"Assolutamente sì, questi due sono i problemi di base: la finzione (di essere quello che non siamo e forse non saremo mai) e i desideri. Non siamo capaci di rinunciare a niente, nemmeno all’aperitivo e alla passeggiata. Figurarsi alle ossessioni che abbiamo da sempre, ai bisogni di soddisfare il nostro ego. E i social amplificano questa roba…".
Hai partecipato a sette edizioni di X Factor come producer al fianco di Morgan. I talent ormai sembrano, se non l’unico, il modo più semplice di emergere. Quali sono i pro e i contro, se dovessi mettere in guardia un giovane cantautore?
"In due parole, se partecipi a un talent tieni ben presente che quella è televisione, se vuoi fare il cantautore la devi prendere come 'un' modo per farti promozione, che potrebbe non funzionare o che potrebbe addirittura ritorcersi contro (come nell’ottanta per cento dei casi almeno…) l’attività stessa di cantautore. Essere (più che fare) un cantautore ha a che fare con l’emotività, non con la fama. Che, semmai, se è il momento giusto, se c’è il talento eccetera, arriva dopo. E non è detto".
Non siete stati solo colleghi, perché mi sembra di capire che siate amici anche fuori dal mondo dello spettacolo. Un consiglio da amico a Marco Castoldi, più che a Morgan artista?
"Gli consiglierei di lasciare l’Italia per almeno cinque anni, di viaggiare, sparire da qui per un po’, aggiornarsi e vivere il presente, non il passato. E di abbandonare definitivamente la televisione".
Sei originario di Ceprano, in provincia di Frosinone, ma da anni vivi a Schio, in Veneto. Che cosa ti porti dentro della tua terra d’origine e cosa ami del luogo in cui ti sei trasferito?
"Molto poco, quasi niente. Lì ci sono nato ma, dopo che è morto mio padre (avevo 6 anni) è iniziato un periodo infernale. Fortunatamente mia madre è sarda, e i ricordi migliori sono legati alla Sardegna. Ho un bel ricordo degli anni del Liceo, anche se sono stati profondamente tormentati. Poi ho studiato a Roma, l’Università, bellissimi anni… poi Milano (circa cinque anni) e poi il Veneto: qui sono in un’isola felice, almeno finora. E sto costruendo il futuro…".
Un sogno che Fabio Cinti ha ancora nel cassetto?
"Mi piacerebbe essere completamente libero da desideri e aspettative. Sto scrivendo un libro (anzi, due, in realtà…): stanti le regole di sopra, se saranno buoni e verranno pubblicati, potrebbe essere un momento felice".