La caccia a Banksy è ancora aperta e, periodicamente, saltano fuori nuove identità sotto le quali potrebbe celarsi il writer più misterioso di sempre. Meno di una settimana fa si è parlato di Neil Buchanan, il conduttore inglese noto per il programma Art Attack, visto che anche lui è un musicista e avrebbe lasciato “tracce” del suo passaggio durante la tournée. L'interessato ha smentito con un messaggio sul web, ma noi siamo certi che la pista che ha condotto fino a quel punto non sia poi così sbagliata. Secondo noi, infatti, il vero Banksy è Giovanni Muciaccia, che con Neil ha condiviso il noto programma di “attacchi d’arte”. Il sito satirico Lercio ci ha scherzato, ma il diretto interessato – che abbiamo contattato – non smentisce. Anzi, rilancia: “Chi vi ha detto che non sia io e stia lanciando un messaggio al mondo?”.
Noi lo speriamo. Vediamo se voi trovate altri indizi.
Giovanni, qualche giorno fa il sito Lercio ha lanciato una delle sue solite provocazioni. Ma noi siamo certi, sei tu Banksy!
Mah, per adesso posso dirti che avrei voluto comprare una delle sue opere e non ci sono riuscito, perché quel disgraziato ha tagliato la tela in diretta facendo aumentare i prezzi di tutte le altre. Sono anni che cerco di acquistarne una. Sono un collezionista, ma ormai i prezzi sono alle stelle. L’ultima asta è stata terribile. Anche se ha detto che Girl With Balloon avrebbe voluto tagliarla completamente io non ci credo. C’è stato un imprevisto.
A cosa ti riferisci?
Secondo me si è inceppato il meccanismo. La testa della bambina si ferma all’interno della cornice. In realtà avrebbe voluto tagliare tutta la figura e se guardate la distanza tra la testa e il palloncino è lo stesso dello spessore della cornice. Doveva uscire tutta tagliata, come se appartenesse a un altro mondo concettualmente, lasciando all’interno solo il palloncino con il cuore. L’opera, se la osservate bene, appare sgraziata. Non è bello che la testa della bambina non si veda.
Ok, allora se vuoi comprare una delle sue opere non sei Banksy…
Chi te l’ha detto che non sono io? Magari sto mandando un messaggio al mondo.
Hai ragione. Facciamo finta che non sia tu. Cosa ti affascina di questo artista?
Che è riuscito a riportare in auge l’arte figurativa dopo anni di concettuale. Attraverso il graffitismo ha riportato l’arte alla portata di tutti. Non solo è un grande artista, con idee straordinarie e metafore visive incredibili, ma è anche un genio del marketing. Non si muove se prima non costruisce una storia intorno all’opera. Guarda quello che ha combinato alla Royal Academy: ha mandato un’opera con un altro nome e gliela hanno rifiutata, quando l’ha rispedita con la sua firma l’hanno accettata. Non credo che sia avvenuto davvero, però ha costruito questa vicenda e tutti sono stati lì a vedere una esposizione collettiva di cui prima non fregava nulla a nessuno. È molto bravo, come con il progetto della nave per i migranti nel Mediterraneo. È tutto finalizzato a tirare su le opere, mantenerle alte nel mercato. Acquistare un’opera di Banksy è come avere un assegno circolare che ti frutterà moltiplicandosi.
Ma se non sei tu, chi potrebbe essere?
Banksy si sa chi è. Le più grandi case d’aste sanno benissimo la sua identità. Però ci sono degli interessi commerciali che garantiscono l’anonimato. Il suo ex mercante, Steve Lazarides, ha scritto un libro sapendo benissimo di chi sta parlando. Ma non lo dice perché gli fa comodo per vendere copie. E nonostante abbiano litigato non lo rivela. Tutti coloro che gli ruotano intorno sanno benissimo chi è. Se volessi saperlo, probabilmente ci riuscirei. È solo un gioco commerciale. Questa specie di Robin Hood dell’arte funziona soprattutto per i non addetti ai lavori. Comunque, non è una cosa impossibile sapere chi è, ma anche se lo sapessi non vorrei certo rovinare tutto.
Di Maurizio Cattelan l’identità si conosce benissimo, solo che nell’immaginario collettivo è sempre in bilico fra il capolavoro e lo sberleffo. Tu come lo valuti?
È un altro bravissimo. Lo apprezzo. È più concettuale di Banksy, ma sempre raffinato. Il water d’oro è meraviglioso. Con un altro nome non sarebbe stato lo stesso, ma chiamandolo “America” ha svoltato. Gioca su questi effetti dissociativi. Come da Prada quando installò dei piccioni impagliati e, pur essendo in un luogo chiuso, la presenza dei volatili ti faceva sentire all’esterno. O la famosissima e contestata banana. È proprio la rappresentazione di ciò che accade nello studio di un artista. Capita anche a me di appendere cose al muro. Sono appunti visivi a cui faccio riferimento, li asservo, ci medito. Credo sia vero che se la portava in giro questa banana in cerca di ispirazione e a un certo punto ha capito che l’opera era la banana stessa. E poi ha grandi riferimenti nel passato, come la copertina dell’album dei Velvet Underground di Andy Warhol. Non è banalmente una banana, come commentano sui social, ci sono dietro dei riferimenti culturali.
Il tuo capolavoro invece è Art Attack?
Credo di sì. Ho avuto la fortuna di crescere diverse generazioni di bambini, cioè chi oggi ha dai 10-12 anni fino ai 32-33. È un programma che è durato vent’anni, però non potevo immaginare che sarebbe arrivato così lontano, che avrei fatto parte dei ricordi da adulti di tante persone. E lo vedo nei commenti sui social, con incredibili dimostrazioni di affetto. È meraviglioso. Infatti, continuo a fare cose per loro, anche se con chiavi di lettura diverse. Racconto il mondo con Art Attack politici o in una serie sui social in cui facciamo creazioni artistiche con i meme più virali. Rielaboro i linguaggi in base allo sviluppo della tecnologia e del mondo in continua evoluzione.
Quindi superati i 50 anni ti diverti ancora con gli “attacchi di arte”.
Sì, molto. Nella vita di tutti i giorni mi dedico a queste attività, per cui da cinquantenne non mi costa nulla continuare a giocare con il linguaggio, le costruzioni e farne un racconto ricco di manualità e “colpi d’arte”.
Come ti spieghi il successo di quella trasmissione?
Credo che sia grazie alle scuole, dove prendevano spunto per i loro lavoretti. In quel periodo c’è anche stato un rilancio delle materie artistiche che stavano morendo. E poi è entrato nel tessuto sociale, tanto che i ragazzini alla maestra dicevano “hai fatto un art attack”, non un lavoretto. La mia figura, poi, si è legata indissolubilmente perché ho partecipato a tutte e due le serie, dal 1998 al 2005 e nel 2010 hanno cambiato tutti i conduttori in giro per il mondo tranne me. Un po’ perché ero ancora simile a 5 anni prima e un po’ perché in Italia ero talmente associato a questo format.
Ti rimane ancora un sogno nel cassetto?
Penso di aver avuto già tanto dalla vita e non cambierei nulla. Sono arrivato a Roma e da self made man riuscendo a emergere e avere una credibilità con quel programma. Mi interessa la divulgazione e non punto a Sanremo. Preferisco entrare in una piramide piuttosto che presentare un cantante.