Diciamolo apertamente, la faccenda che ognuno di noi avrebbe al mondo sette sosia è palesemente una puttanata. Una di quelle credenze, non fatemi usare a sproposito la parola notizie, che non può trovare nessuna prova scientifica, e che quindi, in quanto credenze, come tutte le credenze, attecchisce e si diffonde così, tanto per dire, basandosi su un passaparola bonaccione, tanto che male potrebbe mai fare pensare sia tutto vero. Del resto, chi di noi non ambisce a pensare che tra i sette sosia che ci sono stati destinati non ci sia un qualche personaggio famoso, possibilmente molto ma molto figo? Questo il non detto, figlio magari più dell’epoca recente, la credenza dei sette sosia è vecchia come il mondo, certo, da che cioè essere famosi è diventata un’ambizione comune, slegata alla presenza di un qualche talento. Resterebbe da capire come sia possibile che, in un mondo in cui l’incremento demografico procede a larghe falcate, quando sono nato io, credo, alla fine degli anni Sessanta, non eravamo neanche quattro miliardi, oggi siamo circa il doppio, perché mai i sosia che ci sono stati destinati da contratto all’atto della nascita sono rimasti solo sette e non sono diventati quattordici? E come funziona, sono tutti nostri coetanei, oppure c’è un gap generazionale, un mio sosia ha oggi pochi mesi, quindi potrebbe semmai scoprire di essere stato per qualche tempo mio sosia fra chissà quanti anni, e un altro oltre novanta, e all’epoca in cui lui aveva la mia età, negli anni Settanta, non c’erano mica gli smartphone che facevano le foto una via l’altra, di foto se ne facevano pochissime, e spesso venivano anche male, vai a capire se ci sarà mai modo di constatare in effetti questa somiglianza?
Insomma, ci piace credere di avere questi benedetti sette sosia, e pensare che uno sia Brad Pitt o Charlize Theron, a scelta, ma nei fatti è chiaramente tutta propaganda. Anche se, sempre stando a una credenza ormai posso affermare piuttosto diffusa, io un sosia in effetti sembro averlo davvero, e anche abbastanza famoso. Cioè, non uno di quelli famosissimi, che se capito in una strada di Berlino o di New Orleans, circoscrivo al solo occidente perché altrimenti il discorso diventerebbe troppo lungo e farraginoso, la gente mi ferma e esclama “Wow!”, ma comunque abbastanza famoso in patria, quasi sicuramente più famoso di me, Stefano Bollani.
Ne ho parlato più volte, e non ne ho parlato solo io, Selvaggia Lucarelli ha raccontato quando, a ridosso del lancio della notizia della sua direzione di Rolling Stone, direzione che vedeva me nei panni di suo collaboratore, mi ha confuso con lui in un treno Milano-Roma, o meglio, ha confuso lui con me, caspita, quando si è sosia di qualcuno capiterà anche che il più noto a volte venga confuso col meno noto, questo il caso, e tempo fa vi ho raccontato dell’anziano signore che abita nella piazza sotto casa mia che ormai è convinto che io in effetti sia il pianista di Via dei matti numero zero, ma tanti sono gli episodi in cui mi è capitato di sentirmi chiedere se sono Bollani, domanda a cui ho sempre risposto, per ora, con divertimento, mai con fastidio, perché agli occhi di chi veste i panni di uno degli otto sosia, è chiaro, le famose somiglianze appaiono sempre piuttosto slabbrate, per non dire ridicole, buffe.
L’altro giorno, però, mi è capitato di essere protagonista, mia malgrado, di una situazione che più che buffa mi è parsa paradossale. Ero di passaggio nella mia città natale, Ancona, e quando sono di passaggio in città, credo capiti un po’ a tutti, il mio già piuttosto marcato accento marchigiano si è fatto ancora più evidente, netto. Dovevo incontrare un paio di persone per un pranzo di lavoro, persone che venivano da fuori città, sempre in regione. Visto il grande caldo che in questo 2022 sta ammorbando un po’ tutto il Paese, e vista la possibilità comunque di fare una bella figura, ho deciso di portarli in un ristorantino affacciato sul mare, con un pergolato ombreggiato che si è rivelato per altro inattesa fonte di frescura. Ho prenotato a nome mio, in realtà neanche due ore prima dell’arrivo dei miei ospiti, poi con un colpo da maestro uno dei due avrebbe trasformato me nel ruolo di ospite, offrendo senza neanche dover passare dalla cassa, ma questa è altra faccenda, e quando siamo arrivati è con quel nome che mi sono presentato, “Ho prenotato un tavolo per tre a nome Monina”. Il cameriere che ci ha fatto accomodare, un tipo piuttosto basso, calvo, dai modi gentilissimi e affettati, mi ha guardato con lo sguardo di chi la sa lunga, dicendomi una frase che sulle prime mi è risultata sibillina, “Sì, ho visto che ha prenotato a nome Monina”. Ma visto che non mi ero ancora accomodato al fresco, e fuori c’erano circa quaranta gradi, non ho prestato alla cosa più di troppa attenzione. Il tempo di riprendere fiato, consultare il menù, grazie a Dio di carta, fanculo i QRCode, optare due su tre per “spaghetti coi moscioli”, che il tipo è tornato da noi, l’ordinazione l’ha presa una cameriera. Si è avvicinato e con fare sempre di chi la sa lunga, e condivide con te questo suo sapere, come si fosse coscritti o parte di una qualche lobby, mi ha detto sottovoce, occhieggiando, “Lei è il maestro Bollani, vero?”.
Domanda che, confesso, mi ha spiazzato, proprio in virtù del mio aver prenotato a nome mio, un cognome, Monina, piuttosto diffuso e noto in città, e per il mio accento marcato, e a cui ho risposto, sorridendo, con un secco “No, mi dicono molti che gli somiglio, ma non sono io”. Dentro di me avrei anche voluto aggiungere qualche riferimento meno gradevole alla sua statura e alla sua capigliatura, ma avevo poco prima letto un articolo in cui si sottolineava, a ragione, come dare del nano a Brunetta non fosse esattamente un’idea di sinistra, quindi mi sono trattenuto anche mentalmente.
Io e i miei due commensali abbiamo iniziato a parlare di lavoro, del resto per quello ci eravamo incontrati. È arrivato il cibo e abbiamo continuato a parlare di lavoro, assaporando il sapore dell’Adriatico dentro la caratteristica cozza del Conero, il mosciolo. Il tipo girava per i tavoli, come un capo cameriere, con quei suoi modi eleganti, quasi fuori dal tempo. Quando ha visto che per una breve pausa abbiamo smesso di parlare, concentrandoci sul cibo, si è avvicinato felino e mi ha chiesto, sicuro: “Immagino sia qui per un qualche concerto, magari sul Conero?”. L’ho guardato, stavolta manifestando anche fisiognomicamente una vera meraviglia, perché credevo che la faccenda Bollani fosse stata chiusa col primo scambio di battute, e con una voce un po’ imbarazzata ho detto, “No, guardi, davvero, non sono Bollani. Sente? Parlo anconetano, non sono Bollani”. Alla assistente della persona con cui stavo parlando di lavoro, arriva una telefonata, e lei, per non disturbare la nostra conversazione, anche troppo educata, si è alzata e spostata fuori dal pergolato. Il tempo di scambiare qualche battuta e ci ha di nuovo raggiunto al tavolo. Mi guarda con fare imbarazzato e mi dice, “Sai che il cameriere è venuto da me a dirmi che ha capito che in realtà sei Bollani, ma che fingi di essere anconetano perché non vuoi essere riconosciuto?”.
Ora, a prescindere dal fatto che sì, è vero, Bollani è uno showman scafato e so che fa delle grandi imitazioni, abbiamo amici comuni che me ne parlavano ben prima che iniziasse a fare televisione e diventasse a suo modo famoso, e sì, magari potrebbe anche essere in grado, una volta arrivato in un posto, di fare l’imitazione della parlata locale, anche se l’anconetano è accento assai poco diffuso, la mia città natale conta centomila abitanti, resterebbe da capire perché mai uno come Bollani, non appunto Brad Pitt o Madonna, dovrebbe ricorrere a tutti questi sotterfugi per non essere riconosciuto.
Nel senso, i suoi programmi vanno bene, sono divertenti, colti, alti, ma fanno un’audience non certo da finale dei mondiali di calcio, non è che la gente, lo riconoscesse, si getterebbe su lui strappandosi le mutande e implorando un selfie o un autografo, credo. Non dovrebbe andare in giro col naso e i baffi di Groucho Marx, e il fatto che anche a me, personalmente, capiti piuttosto spesso di essere riconosciuto, temo più per essere stato spesso ospite di Striscia la Notizia o per quando facevo radiovisione su RTL 102,5 che per i miei libri o i miei articoli, una volta mi hanno anche chiesto un selfie dentro la Santa Casa di Loreto, al cospetto della Madonna nera, non è che mi spinga a andare in giro camuffato come Diabolik, si vive tranquilli, al massimo ogni tanto si fa una sosta e via. L’ho sempre pensata così, anche quando a fermarmi era gente che pensava fossi Bollani, appunto, ma ieri ho capito che la faccenda a volte può diventare più pressante. Che cioè, qualcuno, un cameriere particolarmente gentile, può pensare che la fama sia qualcosa di difficile da gestire, al punto da mettere in conto una radicale volontà nel non essere riconosciuti, al punto di negare l’evidenza. Quando, infatti, si è presentato a fine pranzo con un vassoio con su mignon di vari dolci, dal tiramisù alla crema catalana, passando per zuppa inglese e panna cotta ai frutti di bosco, “offerti al maestro Bollani”, con tanto di occhiolino della serie, “sappiamo tutti e due come stanno realmente le cose”, ho capito che a volte, per questi VIP, essere riconosciuti sempre e ovunque, può risultare davvero invadente, fastidioso, quasi allarmante. A volte, è chiaro, meno.
Sarà per questo che oggi ho prenotato un tavolo per tutta la mia famiglia nel medesimo ristorante a nome Bollani, e che passerò il resto dell’estate andando in giro spacciandomi per lui, nella speranza che altri si dimostrino altrettanto carini, magari in cambio di selfie e autografi. Oh, se è necessario io ho studiato cinque anni di pianoforte, non sarò un drago ma all’occorrenza un concertino me lo posso pure permettere.