Claudio Trotta, il fondatore di Barley Arts, l’italiano che in quarant’anni di carriera ha portato in Italia realtà del calibro di Bob Dylan, Queen, The Cure, Peter Gabriel e Frank Zappa, torna sulla sua battaglia storica contro l’“eventismo” (la pratica di ingigantire gli eventi sfruttando grandi produzioni, grandi palchi, speculazioni economiche, e molto altro). Al Medimex 2022 di Bari, Trotta tiene banco per circa un’ora. Ci manda la trascrizione del suo discorso per dirci cosa va e cosa dovrebbe cambiare nel mondo della musica in Italia. Questi gli estratti più significativi. “Bisogna essere indipendenti nel cuore, nel cervello, nell’anima e … nel portafoglio”. L’obiettivo polemico è chiaro, si tratta di un’economia dell’industria degli eventi malsana e deviata. “Produzioni sempre più complesse con migliaia di bilici che attraversano i continenti pieni di ferro, audio e luci” con un impatto violento sull’ambiente. Sono produzioni che spesso “nascondono l’assenza del talento”. Eventi costruiti con strategie di marketing marce, “produzioni con biglietti sempre più onerosi e oggetto di speculazioni e distorsioni di ogni genere; non solo il secondary ticketing (il mercato di biglietti parallelo a quello autorizzato), ma anche il dynamic pricing (cioè il prezzo cambia in funzione del mercato) e poi a seguire il costo degli hotel che nei giorni dei concerti aumentano ovunque i prezzi in maniera vergognosa come ho già ampiamente spiegato. […] Certo gli organizzatori di concerti e festival non sono “la Croce Rossa”, come qualcuno ha detto pubblicamente, ma non sono neanche dei negrieri e sfruttatori”.
Grazie a queste storture si riempiono gli stadi, ma le parole di Trotta confermano l’importanza della battaglia che MOW porta avanti contro i finti sold-out e la pura logica del profitto. Abbiamo intervistato alcuni importanti critici musicali, come Mario Luzzatto Fegiz, Paolo Talanca e Marco Molendini e abbiamo capito perché spesso il successo di pubblico non equivalga a un successo della band o dell’artista, né, tantomeno, della sua musica. Biglietti venduti a prezzi stracciati (ricordate il caso dei Modà e dei biglietti a 1 euro?), platee riempite senza repertorio, artisti che cavalcano il successo momentaneo ma non sanno nulla – o quasi – di musica (Fegiz ha intervistato Amoroso che ai tempi non conosceva David Bowie …).
Trotta tocca anche quest’ultimo punto. In Italia manca cultura musicale. Le scuole dell’obbligo non si impegnano su questo fronte, nonostante alcune belle iniziative come quella del trombettista Paolo Fresu per l’insegnamento del jazz alle elementari. “La scuola dovrebbe alimentare la loro innata curiosità tramite la quale apprendono, si tratta solo di dargli la possibilità di conoscere le arti. […] La forte crescita degli ultimi anni dei licei musicali e delle scuole medie a indirizzo musicale (per difetto rispetto alla richiesta) ha dimostrato che ai bambini piace fare Musica”. L’importanza della musica e dell’arte, per Trotta, è fondamentale nella formazione. “Perché sia chiaro a tutti, senza arte l'Italia non esisterebbe, si sgretolerebbe. […] L'Italia è quasi fondata sulla fantasia”.
Accanto alla denuncia dell’eventismo e alla mancanza di un’educazione musicale che parta fin dai primi anni di istruzione, serve ripensare gli spazi. “In Italia esistono più di 2000 teatri di tradizione parzialmente utilizzati anche per la Musica ma ciò che sarebbe necessario fare, magari anche accedendo ai fondi del PNRR e utilizzando il denaro delle sanzioni per concorrenza sleale o per acclarate distorsioni quali il Secondary Ticketing, è avere una visione sullo stile di ‘Un palco a disposizione in ogni città’ dove dare possibilità a giovani e meno giovani musicisti e artisti di esibirsi, di crescere artisticamente, di crearsi un seguito”. Forse ci siamo dimenticati proprio di questa gavetta fatta su piccoli palchi, lontani dalle grandi manovre commerciali realizzate prima del tempo. Gli stadi possono aspettare, soprattutto se per riempirli svendi i biglietti d’ingresso. I sold-out lasciamoli a Vasco.
Trotta parla poi di una fatica del fare arte. “C'è una idea errata dell'arte, pensata “maledetta” e senza regole. Al contrario, è la cosa più prossima alla ricerca della perfezione irraggiungibile, in questo continuo rovistare e poi togliere, tentare, sbagliare, riprovare, togliere”. Recuperare spazi più piccoli potrebbe aiutarci a riscoprire il piacere di suonare, non di arrivare. Sì, perché “la musica dal vivo è individuata in quella suonata dal vivo, con strumenti musicali così importanti che forse non ce ne rendiamo neanche conto. […] Altra cosa è l’utilizzo di vari artifici e supporti tecnologici per fare spettacolo senza suonare, e spesso manco cantare, una ricerca di una perfezione effimera, irreale, dove si bada all’effetto e non al contenuto”. Per Trotta vale la pena di tornare alla strada: “La Musica e l’Arte sono strumenti e oggetto della nostra Vita; e la nostra vita è in strada”. Da lì bisogna ripartire per “costruire dalle opere l’audience development”.
Trotta parte con una j’accuse contro la prepotenza del marketing, che “ha fatto da padrone in ogni sfera della nostra vita” e alla deriva attuale che vede i ragazzi “CONSUMARE l’attimo”. L’eventismo, come già abbiamo avuto modo di rilevare su MOW, porta all’appiattimento, alla produzione seriale di mega-eventi senza una vera e propria offerta musicale diversificata. Trotta conferma e lancia un appello a restare indipendenti, per non rimanere schiacciati da questa logica: “La sfida delle sfide, the final cut, non certo ‘l’Ultimo Valzer’, resta la capacità di restare se stessi, evolvendosi, crescendo, cambiando idea ogni qual volta lo si reputa giusto, mantenendo la propria identità”.