Joe Biden avrebbe dovuto vincere in tutti gli swing states, producendo quella che viene chiamata “la valanga blu”, una vittoria a catena in grado di assegnare la presidenza al candidato Dem nel giro delle ore notturne. Donald Trump avrebbe dovuto replicare il successo clamoroso del 2016, anno in cui nonostante i sondaggi contro di lui riuscì a conquistare tutti gli stati in ballo e portare a casa la presidenza prima delle 6 del mattino (italiane).
Ma niente di tutto questo è successo e per chi non avesse seguito la nottata delle elezioni, convinto di svegliarsi questa mattina leggendo il nome del nuovo Presidente degli Stati Uniti, la confusione è sicuramente tanta.
La possibilità di un ritardo nei conteggi dei voti era stata ampiamente preventivata nelle scorse settimane, considerando il record di affluenza ai seggi e il grande numero di voti arrivati via posta, più lenti da scrutinare e soggetti a un ritardo sistematico tra schede dimenticate, da ricontare o da controllare più volte.
Molti stati hanno già assegnato i propri exit poll, rivelando una situazione molto bilanciata che potrebbe portare a una presidenza risicata, se non addirittura a uno storico pareggio. Un voto conclusivo nella zona grigia della vittoria porterebbe sicuramente un eventuale riconteggio, e un'assegnazione lunga e travagliata, simile a quella che vide protagonisti Al Gore e George W. Bush. Se nel 2000 il caso, finito tra le mani della Corte Suprema, vide come punto nevralgico lo stato della Florida, quest'anno tutte le attenzioni sono puntate su tre paesi in bilico: Pennsylvania, Michigan e Wisconsin.
Biden e Trump - sul filo del rasoio - hanno bisogno della vittoria in questi paesi, ma lo scrutinio tarderà ad arrivare. Gli stati hanno infatti annunciato che continueranno il conteggio dopo la notte americana, ricominciando quindi in quello che sarà il nostro pomeriggio. Il risultato delle elezioni quindi, se non discusso e accettato da entrambe le parti in causa, potrebbe arrivare nella serata italiana.
Una scissione che, come detto, era stata ampiamente annunciata ma che ci dice molto dei risultati di queste elezioni: da una parte abbiamo un Joe Biden indebolito negli stati in bilico, come successo alla Clinton nel 2016, ma sicuramente un risultato meno netto rispetto a quanto successo quattro anni fa. Dall'altra parte abbiamo un Trump in ballo per una rielezione testa a testa, un risultato che se non dovesse ottenere sarebbe storico: è dal 1992 - con Bush - che un presidente eletto al primo mandato non viene confermato per il secondo.
Tra i dati più interessanti di quanto visto in queste ore c'è sicuramente una netta scissione degli immigrati: da una parte quelli della Florida, di origine cubana e venezuelana, che toccati dal ricordo di regimi comunisti si sono affidati a Trump, aiutandolo all'assegnazione dello stato. Dall'altra invece ci sono gli immigrati più vicini al Messico, che quest'anno si sono affidati a Biden, e gli hanno permesso di ottenere i grandi elettori in bilico in Arizona.
Le possibilità che si prospettano a questo punto sono tre:
- Il risultato netto che arriva nella giornata (italiana) di oggi, con gli scrutini che ripartono in modo celere e l'assegnazione dei grandi elettori nei tre stati fondamentali per la vittoria: Pennsylvania, Michigan e Wisconsin.
- Lo scrutinio che si prolunga fino a giovedì/venerdì. Dalla Pennsylvania vanno sapere che per avere risultati certi in tutte le contee potrebbero servire giorni, non ore. Il voto per posta ha dato qualche problema in fase di conteggio e questi paesi sono storicamente tra i più lenti nell'assegnazione dei grandi elettori.
- Conosceremo il nome del Presidente solo tra qualche mese. Si potrebbe ripetere il caso del 2000, quando la presidenza di Bush venne assegnata il 12 dicembre, dopo oltre un mese di caos nelle contee della Florida, stato in cui Bush vinse con uno scarto dello 0,5%. La conclusione della diatriba portò il Presidente a un vittoria di 271 vs 266 grandi elettori.
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