Gli habitué del tubo catodico non scordano i ventotto anni di rassicurante, professionale ed “esplosiva” presenza estetica di una delle più amate “Signorine Buonasera” della tv. Emanuela Folliero, milanese, rimase a lungo oltre alle colleghe della Rai a riassumere al pubblico i classici del cinema italiano ed estero con ‘I Bellissimi’ a cura della redazione di Rete 4. Noi di MOW siamo andati a trovarla, mentre è impegnata al Festival di Venezia proprio per portare questa sua esperienza legata al cinema, a farle qualche domanda sul grande schermo e la femminilità, sul senso della vita e sull’amore nell’epoca del Metoo, sulle avances sul lavoro ai freudiani sensi di colpa. Ecco cosa l’ex modella e presentatrice ci ha risposto.
Emanuela, come va con ‘I Bellissimi’ a Venezia?
Non li ho mai abbandonati, sono legata da sempre al mondo dei film, non solo perché ne ho presentati moltissimi, ma perché il cinema mi ha sempre abitato e continua a farlo, e nel modo migliore: l’amore per il cinema è una benedizione e al contempo anche la maggiore maledizione. Quando guardiamo un film troppo spesso dimentichiamo tanti perché: se il protagonista in primo piano cammina nel sole e dietro “passano” con gli ombrelli, facciamo finta che sia un caso.
Niente è per caso nel cinema?
Come nella vita. Cerco di far capire a chi mi segue e a chi amo, come a mio figlio Andrea, come guardare con l’occhio del regista: quindi i passanti sono comparse pagate e hanno un significato. Il segreto è continuare a guardare i film “consapevolmente”. È il lavoro di un regista ma è anche uno spettacolo di cui godere. Esattamente come la vita.
Cosa pensa del cinema italiano oggi?
È vivissimo, e tutto lascia intendere che lo sarà sempre di più. Trovo allucinante da una parte che una eccellenza come Cinecittà, che negli anni ‘50 era considerata la “Hollywood sul Tevere”, non sia valorizzata. Certo, in Italia abbiamo vissuto troppo tempo facendo paragoni con un passato cinematografico ingombrante, con geni come Visconti, Fellini, Rossellini, Comencini, mentre ci siamo messi da parte per dare troppo spazio a molti blockbuster soprattutto americani. Lo stesso è capitato al cinema francese. A differenza loro, noi ci stiamo riprendendo alla grande. I sei film in concorso quest’anno a Venezia hanno tutte le premesse per restare: perché sfidano il tempo senza vendersi ai poteri del tempo. Ed è questa la forza del vero cinema.
Quale messaggio vorrebbe che il cinema oggi diffondesse?
Sono cresciuta con Rossella O’Hara. Un film che può formare ancora le nuove generazioni su cosa siano i tempi dell’amore: dal corteggiamento alla conquista, perché l’amore è una quiete accesa ma oggi mi sembrano tutti impegnati a bruciare i tempi. La magia del cinema, di certi film, è di raccontare ancora che una emozione non deve essere bruciata subito per essere vissuta. Da questo problema nasce ed è nato il Metoo. Un movimento che è arrivato sui media ma che non ha cambiato la realtà nelle strade, dove la violenza anche psicologica verso le donne esiste minuto per minuto. Credo che anche in questo il cinema possa fare molto.
Pensa che la nostra sia una società ancora maschilista?
Non lo penso, la è! Altrimenti non ci sarebbe bisogno di rispondere alla domanda.
Basti vedere che quest’anno tra i sei film italiani in concorso a Venezia non c’è neanche una donna.
Crede che la donna approfitti, talvolta, del suo essere seducente e della sensibilità maschile al fascino femminile, per scopi legati alla carriera?
Certo che sì. Succede in tutte gli ambiti lavorativi. Non è che il nostro mondo sia peggiore di altri. Anzi...
Lei è una donna bella e di successo, è stato difficile coniugare bellezza e lavoro,
in passato e ora?
È molto più difficile coniugare famiglia e lavoro. Ci sono riuscita ed è questo il mio obiettivo, sempre. Per il resto il successo è il participio passato del verbo succedere.
Le è mai accaduto di ricevere una proposta indecente in cambio di incarichi di lavoro appetibili?
Una proposta è sempre indecente, se no sarebbe una domanda. Mi è successo più volte, ma il vero problema non è l’uomo che propone, e non dovrebbe nemmeno proporlo, ma la donna che accetta.
Per una donna è semplice condurre una propria evoluzione lavorativa riuscendo ad affermarsi senza dover scendere a compromessi?
Sì, mi viene in mente Al Pacino quando ne Il Padrino dice: “La mia risposta è: niente!”.
A che punto è la lotta per l'affermazione femminile nella società?
Fino a quando dovremmo farci questa domanda e rispondere, senz’altro siamo lontani. Trovo assurdo lottare per qualcosa che è naturale.
I binomi bella-stupida e brutta-intelligente hanno fatto sempre parte della vita delle donne, come pregiudizi coi quali scontrarsi e misurarsi. Come se ne esce?
L’unico problema, mai come oggi, è che gli stupidi sono sempre pieni di sicurezze, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi.
Le donne favosriscono questo status quo tramite l'asservimento ai canoni di bellezza a tutti i costi?
Sì, senza alcun dubbio. Ci pensavo proprio in questi giorni che sto rileggendo Freud. Nel suo Mosè annota: “Un essere umano senza qualità è un essere con tutte le qualità senza l’essere umano”. Le donne hanno un senso di colpa atavico, sin dai tempi di Eva e Adamo. Ecco, forse è arrivato il momento di liberarcene.